L’8 settembre la Chiesa celebra la nascita di Maria e sei giorni dopo, il 14 settembre, la storia fa memoria della morte di Dante Alighieri. Per il Poeta tredici secoli di tradizione cristiana e per noi sette secoli di riletture convergono nell’individuare Maria come vero cardine della Commedia. È Maria a muovere Beatrice e Virgilio in soccorso di Dante e di ogni uomo che si trovi nella selva oscura; è Maria la costante dell’itinerario spirituale di Dante, che la celebra con profondità umana, poetica e teologica; è Maria che sospinge Dante alla visione dell’Amor che move il sole e l’altre stelle; è Maria, infine, che da secoli impetra agli uomini la misericordia di Dio, tanto che duro giudicio là sù frange e muove a devozione generazioni di fedeli. Accade così anche nell’arte. Che a piene mani, al pari della religiosità popolare, attinge tanto ai testi sacri quanto agli apocrifi alla ricerca di nuovi spunti per celebrare Maria in ogni luogo, dall’infima lacuna dell’universo (Par. XXXIII, 22) al ciel dell’umiltà (Vita nuova, XXXIV).
«Di contr’ a Pietro vedi sedere Anna, / tanto contenta di mirar sua figlia, / che non move occhio per cantare osanna» (Par. XXXII, 133-135). Il contesto pensato dagli artisti per la nascita di Maria, non riferito nei Vangeli, è molto diverso da quello di Gesù: non una stalla, bensì una ricca abitazione, nella quale spesso abbonda la servitù. Non fa eccezione l’opera di Erasmus Quellinus II: sono ben nove, fra levatrici e inservienti, le donne che assistono l’anziana Anna, coricata a letto, possiamo immaginare attirate anche dalla curiosità per un parto inatteso. Maria è deposta in una culla, in luogo della mangiatoia di Gesù, mentre in cielo si consuma la battaglia fra gli angeli – un Michele in armi e un Gabriele armato di gigli – e il Maligno in forma di drago. Questi artiglia una mela e una pergamena con l’iscrizione “Eva”, che si contrappone in un simbolico gioco di parole e di significato a quella con “Ave” impugnata da Gabriele. Maria neonata, ancora in fasce, è oggetto di una specifica devozione, particolarmente diffusa in Lombardia.
Fra le molte interpretazioni artistiche della presentazione di Maria al Tempio, quella di Tiziano colpisce per la capacità di contrapporre la maestosità dei volumi architettonici all’umiltà di Maria fanciulla. Non ci si lasci ingannare, però: l’incedere sicuro della Vergine sulla scalinata, sotto gli occhi del Sommo sacerdote, e la luce che la circonda indicano una disposizione d’animo di solida libertà, tutt’altro che arrendevole, «onde si coronava il bel zaffiro / del quale il ciel più chiaro s’inzaffira» (Par. XXIII, 101-102).
«Quella / ch’ad aprir l’alto amor volse la chiave; / e avea in atto impressa esta favella / ‘Ecce ancilla Dei’» (Purg. X, 41-44). Maria è la serva del Signore, emblema di chi accoglie la sua volontà, pagandone il prezzo. Esemplare è un presunto episodio della vita di Maria, riferito dai testi apocrifi: l’ordalia dell’acqua di amarezza, descritta nel libro dei Numeri (5, 11-31) e riservata alle mogli sospettate di infedeltà. Dopo la scoperta della gravidanza anche Maria sarebbe stata sottoposta a tale prova, dalla quale uscì innocente. L’episodio, poco noto, è raramente ripreso nell’arte: è il caso di un particolare della cattedra vescovile di Massimiano, ma anche di un affresco altomedievale, parte di un ciclo sull’infanzia di Cristo risalente al X secolo, della chiesa di Santa Maria foris portas a Castelseprio (Va), patrimonio dell’umanità Unesco.
«Nel ventre tuo si raccese l’amore, / per lo cui caldo ne l’etterna pace / così è germinato questo fiore» (Par. XXXIII, 7-9). La versione di Rembrandt della presentazione di Gesù al Tempio si distingue dalle scene monumentali proposte da altri pittori per l’intensa carica di intimità, ottenuta anche grazie al sapiente uso della luce. Sono presenti tutti gli elementi principali dell’episodio evangelico: l’attento raccoglimento di Maria, lo stupore di Giuseppe, la delicatezza di Simeone, il gaudio di Anna. È un compendio dell’infanzia di Cristo per come è stata vissuta da Maria, dall’annunciazione al matrimonio con Giuseppe, dalla nascita di Gesù alla fuga in Egitto fino al rientro a Nazaret.
«Luce intellettual, piena d’amore; / Amor di vero ben, pien di letizia; / letizia che trascende ogne dolzore» (Par. XXX, 40-42). Non facile, la vita dell’artista. Soprattutto quando si assume il gradimento del pubblico come parametro del proprio lavoro. I guai, per Liebermann, iniziano all’Esposizione internazionale d’arte di Monaco di Baviera del 1879, sull’onda delle nascenti ideologie antisemite in Germania. Il giovane Gesù ritrovato al Tempio nella prima versione del dipinto di Liebermann (a destra) è definito dalla stampa dell’epoca “il ragazzo ebreo più brutto e saccente immaginabile”. In risposta alle critiche, Liebermann ridipinge la figura di Gesù – biondo, più accomodante – prima che il dipinto venga presentato in una nuova mostra, a Parigi, nel 1884 (a sinistra). Sopravvive, però, uno schizzo della versione originale e, con esso, il Gesù dai capelli scuri, corti e spettinati, con un profilo ebraico stereotipato.
Gli artisti della bottega di Fernando Gallego, di chiare influenze ispano-fiamminghe, hanno dalla loro la chiarezza espositiva: nelle giare, sulla destra, è versata acqua e ne viene spillato vino, in basso, in una sorta di catena di montaggio con al centro Cristo. È il suo primo miracolo pubblico, alla nozze di Cana. Protagonista defilata, Maria, intenta ad istruire i servi, sulla sinistra: «La tua benignità non pur soccorre / a chi domanda, ma molte fïate / liberamente al dimandar precorre» (Par. XXXIII, 16-18).
La crocifissione è culmine ed emblema delle strazianti vicende che accompagnano la morte di Gesù. Ce ne restituisce una prospettiva insolita, cinematografica, James Tissot: i nemici che irridono, sulla destra; la folla anonima e silenziosa, sullo sfondo; il sepolcro aperto; Maria, le donne e Giovanni, in pianto, sotto la croce; i soldati all’intorno, in atteggiamento di annoiata ufficialità. Di Gesù, al quale per un istante rubiamo il punto di vista, si intravedono soltanto i piedi insanguinati. Sopra ogni cosa, il silenzio. Un momento di solitudine, tanto che Dante immagina che ad accompagnare Cristo sulla croce sia soltanto la povertà: «Sì che, dove Maria rimase giuso, / ella con Cristo pianse in su la croce» (Par. XI, 71-72).
«Quivi è la rosa in che ’l verbo divino / carne si fece; quivi son li gigli / al cui odor si prese il buon cammino» (Par. XXIII, 73-75). Pentecoste è anche molteplicità dei carismi e dei linguaggi. Forse per questo in tutto il mondo il fumetto, anche di ispirazione religiosa, fa parte della storia culturale. Anche in Italia rappresenta un fenomeno tanto vasto quanto misconosciuto: da decenni riviste raccontano, a strisce, le Scritture e la vita dei santi. Nicchie di mercato per bambini? Tutt’altro. Una delle matite più note del settore è quella di don Giovanni “Gioba” Berti; fra le più interessanti (e social) quelle di Andrea Botturi di nuovenuvole e di Tom Gould di Tomics Comics; e fra i grandi classici del fumetto, anche cristiano, dovremmo annoverare anche i Peanuts, almeno a leggere su La Civiltà Cattolica padre Giancarlo Pani, docente di storia del Cristianesimo. Alcune fra le principali manifestazioni internazionali dedicate al fumetto si sono accorte da tempo del valore (anche grafico) della fede. È il caso del francese “Prix International de la BD Chrétienne d’Angoulême” o del belga “Prix européen Gabriel de la BD Chrétienne”. In Italia si annoverano il Premio “Fede a Strisce” di Cartoon Club e Rimini Comix, giunto nel 2020 alla XV edizione, conferito alle opere che meglio hanno trasmesso i valori religiosi attraverso l’approccio del fumetto; e, ancora, “Fede e fumetto”, la rassegna organizzata in occasione del Lucca Comics & Games, con un occhio all’ecumenismo.
La tradizione vuole che, dopo la morte e resurrezione di Gesù, Maria abbia seguito l’apostolo Giovanni e infine si sia addormentata nel Signore e sia stata assunta in cielo. Il soggetto della morte di Maria – più correttamente della sua dormitio – ha dato vita ad innumerevoli interpretazioni, dalle più discusse (come quella di Caravaggio), alle più tradizionali. Elemento ricorrente è l’assunzione di Maria in cielo, talvolta rappresentata come figura intera, altre come anima (o animula). A rappresentarne la purezza, questa è spesso raffigurata come una neonata in fasce, accompagnata da Cristo in cielo. Tenero, ed evocativo, il paragone con Gesù in fasce stretto al petto da Maria nelle Natività. D’altronde, Maria è «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, / umile e alta più che creatura, / termine fisso d’etterno consiglio» (Par. XXXIII, 1-3).
La giovanissima, e per questo anacronistica, Maria proposta dall’artista contemporanea Stefania Massaccesi si staglia dirompente contro un cielo turchese. Forme e cromie dell’abito che avvolge l’Assunta sono ricorrenti nella produzione della Massaccesi (Corto circuito, Pronto soccorso). Lo sguardo estatico, al di sotto di un’aureola appena accennata, è già rivolto all’ampiezza dei cieli, mentre ai piedi di Maria, nudi, la Gerusalemme delle innumerevoli cupole è quasi ripiegata su sé stessa, serrata nei propri confini terreni, minacciata dalle fiamme di un incendio che promette altra violenza. Ancora il cenno di una mano intercede, come sempre, presso la Misericordia. «Con le due stole nel beato chiostro / son le due luci sole che saliro» (Par. XXV, 127-128). Modernissima donna vestita di sole, con le contraddizioni umane sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di eternità.
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