Dopo l’attacco a Londra da parte di un 19enne armato di coltello, si torna a parlare di malattia mentale e terrorismo. Tentativo di dare delle rassicurazioni? Buonismo e negazione della violenza di matrice islamica? Soltanto uno scenario prevedibile, che darà presto nuovi, nefasti, frutti.
10 maggio, Grafing, Germania, un tedesco di 27 anni aggredisce quattro passeggeri su un treno diretto a Monaco, uccidendone uno. Secondo i testimoni l’uomo urlava “Allahu Akbar”. 12 giugno, Orlando, Florida, un cittadino statunitense di 29 anni spara all’interno di un night club frequentato da omosessuali. 49 le vittime, 53 i feriti. Si parla di omofobia, ma l’attentatore si rivela lui stesso omosessuale. È la più grande sparatoria nella storia degli Stati Uniti e l’atto terroristico con più morti dopo l’11 settembre 2001. 13 giugno, Parigi, quartiere di Magnanville, un uomo con precedenti per terrorismo uccide con un coltello un alto funzionario di polizia e la moglie. Trasmette l’omicidio in diretta su Facebook Live. 14 giugno, Rennes, un uomo di 32 anni ferisce gravemente una ragazza di 19. Dice di uccidere per celebrare il Ramadan. 14 luglio, Nizza, un 31enne con doppia nazionalità francese e tunisina investe intenzionalmente quanti stanno assistendo ad uno spettacolo pirotecnico allestito per le celebrazioni della festa nazionale francese sulla Promenade des Anglais. 84 morti, 200 feriti.
E ancora. 18 luglio, su un treno della tratta Treuchtlingen-Wurzburgo, in Germania, un rifugiato afgano 17enne ferisce con un’ascia quattro persone. 22 luglio, Monaco di Baviera, nei pressi del centro commerciale Olympia-Einkaufszentrum un cittadino tedesco-iraniano di 18 anni spara sulla folla. Il bilancio della strage è di 9 morti e 35 feriti. Fuggito, l’attentatore viene trovato morto in una stradina laterale: probabilmente si è suicidato. 24 luglio, Reutlinger, nei pressi di un negozio di kebab un uomo armato di machete uccide una donna polacca e ferisce altre due persone. 25 luglio, Ansbach, un rifugiato siriano di 27 anni che aveva tentato più volte il suicidio e a cui era stato rifiutato l’asilo politico in Germania un anno fa, si fa esplodere vicino ad un ristorante nei pressi del quale si stava tenendo un concerto. Muore solo l’attentatore, 12 i feriti. 26 luglio, Saint-Étienne-du-Rouvray, don Jacques Hamel viene ucciso mentre celebra la Messa. I due killer sono francesi nati a Rouen. 3 agosto, Londra, un 19enne norvegese di origine somala accoltella i passanti. Muore una donna americana, cinque i feriti.
Sono solo gli ultimi casi dello stillicidio che sta insanguinando l’Europa. Ad accomunare gli autori l’essere per lo più di origine straniera – ma nella maggior parte dei casi nati e vissuti in Europa – e con una storia più o meno grave di malattia mentale, talvolta di tossicodipendenza. Lupi certamente solitari, portatori di una escalation di atti disumani che è complesso spiegare e impossibile comprendere. Nuova strategia del terrore? Indottrinamento nelle moschee o solitaria auto-radicalizzazione attraverso internet? Una micidiale combinazione di disagio mentale e violenza, con la religione – ma con ogni probabilità avrebbe potuto essere altro – a fare da innesco e canale di sfogo, accompagnato dall’opportunistica e sempre più improbabile rivendicazione dell’Isis.
Islam e terrorismo
«Se io parlassi di violenza islamica, dovrei parlare anche di violenza cattolica. Non tutti gli islamici sono violenti; non tutti i cattolici sono violenti». Sebbene il terrorismo organizzato non possa equipararsi alla comune criminalità, come le parole di papa Francesco potrebbero suggerire, è condivisibile il recente rifiuto del Pontefice di accostare in automatico islam e violenza. È però un fatto che l’appartenenza all’islam – più o meno reale o soltanto proclamata – sia un tratto comune a tutti gli attentatori delle recenti stragi. Come a dire: non tutti i musulmani sono terroristi, ma tutti gli ultimi terroristi si sono dichiarati musulmani. Pur rigettando interpretazioni da “guerra di religione”, questo rimane un dato di cui tenere conto e che non può essere ignorato.
Migranti e mancata integrazione
Inevitabile parlare di migrazioni. Anche se il recente rapporto di Europol, l’agenzia di polizia europea, afferma che «non c’è alcuna prova concreta che i terroristi nei loro spostamenti usino il flusso di rifugiati per entrare in Europa», la maggior parte dei terroristi che hanno compiuto le più recenti stragi sono di origine straniera, talvolta immigrati di seconda o terza generazione, cittadini nati nei Paesi nei quali hanno colpito. In molti Paesi europei i caratteri delle esperienze coloniali di un passato più o meno recente negli anni sono stati soppiantati da ghettizzazione, mancata integrazione e dal permanere di pesanti differenze sociali ed economiche fra popolazione autoctona e di origine straniera. I Paesi di vecchia immigrazione – come Gran Bretagna e Francia – hanno perseguito modelli di accoglienza diversi fra loro, ma con i medesimi risultati fallimentari. Né il modello pluralista britannico, né quello assimilazionista francese hanno infatti evitato ghettizzazione e discriminazioni. Anche la Germania, dove è tradizionale un’immigrazione di provenienza turca, non è stata in grado di realizzare una piena integrazione. L’Italia, ad oggi ancora priva di politiche organiche di integrazione e soprattutto di un modello di riferimento, ha finora evitato gli esiti di ghettizzazione di altri Paesi europei, ma sembra ciecamente orientarsi proprio in quella direzione.
Migrazione, terrorismo e malattia mentale
Sempre da Europol giunge la conferma che dietro ai recenti attentati «non c’è l’Isis ma “lupi solitari” malati di mente». Ciò che sta venendo finalmente alla luce – rimane da vedere con quale grado di approfondimento del fenomeno e con quali risultati – è il rapporto fra malattia mentale e migrazione e il legame fra malattia mentale e violenza. Se gli studi dimostrano che sono pochissimi i migranti affetti da malattie mentali prima della partenza, il dolore per il distacco, l’isolamento, la discriminazione e il fallimento del progetto migratorio costituiscono per i migranti le cause principali dello sviluppo di patologie mentali nel Paese di accoglienza, ieri come oggi. Schizofrenia, Disturbi Post-Traumatici da Stress (DPTS) e Disturbi dell’Adattamento (DA) sono storicamente fra gli esiti più frequenti. È bene sottolinearlo: non tutti i migranti soffrono di disturbi mentali e tanto meno tutti i migranti sono potenziali terroristi. La salute mentale della popolazione immigrata rimane comunque una questione di salute pubblica a lungo denunciata come emergenziale eppure ancora ignorata, sottovalutata o del tutto negata.
Malattia mentale e violenza
Un’analisi francese sui foreign fighters di Daesh rivela che il 10% di essi manifesta sintomi di schizofrenia. Se l’Isis non si fa problemi ad arruolarli, ancora meno se ne fa chi in Europa li incita all’azione nel proprio Paese. Emulazione, estraneità e distacco dai rapporti umani fanno il resto. Anche malattia mentale e violenza insensata sono specchi della crisi – umana, civile e culturale, prima ancora che economica – che sta vivendo l’Occidente e ne riflettono un’immagine tutt’altro che positiva.
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Il Sismografo