Barzellette (scopiazzate) su predicatori e perdono. Chat che danno l’illusione di “parlare” con i santi. Robot che aiutano i cattolici impossibilitati a recarsi in chiesa. E poi le omelie. L’intelligenza artificiale ha fatto ufficialmente il suo ingresso nella religione. E noi oltre la soglia ridicolo.
» Español (Agencia Católica de Noticias)
Ultima in ordine di tempo l’Ungheria, dove nel paesino di Dömös – un migliaio di abitanti – Viktor Holló Csanádi, guida di un’oscura comunità ecumenica e che vanta studi all’Ateneo Pontificio Regina Apostolorum di Roma, ha deciso di affidare l’omelia domenicale non alla propria bensì ad un’intelligenza artificiale (in coda, il testo completo dell’omelia).
Di per sé, una non-notizia. Ma se c’è chi da qualche tempo teorizza che l’intelligenza artificiale nel prossimo futuro sostituirà i giornalisti nella scrittura delle notizie, ora Csanádi pensa che qualcosa di simile potrebbe accadere anche con i sacerdoti.
Tutto sta a capire cosa sia un sacerdote (e anche un giornalista). A ben vedere, la strada verso la “sostituzione” è – per fortuna – ancora molto lunga, e il punto in cui siamo sembra più la moda del momento che non l’orizzonte del futuro. Tanto più che l’omelia scritta da ChatGPT è un susseguirsi di ripetizioni e banalità che difficilmente scuoterebbero un’assemblea.
È però lecito chiedersi: le omelie scritte da preti in carne ed ossa, invece, sono ancora in grado di infiammare gli animi dei credenti? Si direbbe una crisi che va di pari passo con l’intiepidirsi di fede ed evangelizzazione, oltre che con il rovinoso esempio offerto da molti falsi maestri.
Ne parlo con il Rev. Prof. Sergio Tapia Velasco, professore associato di Retorica e Antropologia, Media Training & Public Speaking alla Pontificia Università della Santa Croce di Roma. Vanta collaborazioni con diverse testate televisive, fra cui Rai International, CNN International, Univision e Trece. È cofondatore, insieme al prof. Alberto Gil, del Centro internazionale di ricerca “Retorica e Antropologia”. Con Gil ha scritto Ars praedicandi. Come comunicare efficacemente la bellezza di Cristo e del suo messaggio (Edizioni Santa Croce, 2022).
La curiosità di un’omelia scritta da un’intelligenza artificiale ha riacceso le speculazioni sulla futura sostituzione degli uomini anche nell’ambito della religione. Siamo giunti alla fine dei predicatori?
Già nel 2010 la Facoltà di Comunicazione Istituzionale della Santa Croce pubblicò un’indagine internazionale per capire quanto e come i sacerdoti utilizzassero internet. Fin da quel momento fu chiaro che il primo utilizzo della rete da parte dei sacerdoti era per cercare materiale valido in ordine alla preparazione delle omelie. La possibilità di utilizzare la rete, incluse le intelligenze artificiali, allo scopo di trovare materiale utile sarà sempre benvenuta.
Tuttavia, il cuore dell’omelia non si potrà mai delegare ad una intelligenza artificiale, in quanto l’omelia, così come qualsiasi forma di predicazione, dovrebbe nascere dallo sforzo del ministro (sacerdote, diacono, catechista) per capire le domande che si pone il popolo, per portale alla preghiera, in modo che la predicazione possa configurarsi davvero come dialogo tra Dio e il suo popolo (cfr. Evangelii Gaudium 137).
E lì la tecnologia, ancora, non può arrivare.
La tecnologia sarà sempre un aiuto che dovremo apprezzare, tuttavia nessuna intelligenza artificiale può sostituire lo sforzo di ascolto e di preghiera da parte del sacerdote. Già nel 1974 Joseph Ratzinger denunciava nel suo famoso libro Dogma e predicazione che se oggi abbiamo omelie noiose è perché abbiamo smesso di ascoltare il popolo per capire quali sono davvero le domande che esso si pone.
Ogni omelia dovrebbe nascere dall’ascolto attento del predicatore, sia nel confessionale che negli altri momenti della sua vita pastorale, per capire quali sono i problemi, dubbi o angosce che soffocano la speranza del suo gregge, in modo che, portando questi problemi alla propria riflessione durante la preghiera davanti al Santissimo, riesca a focalizzare quali degli elementi della liturgia della messa del giorno o della domenica possono gettare una luce per riscaldare il cuore dei fedeli, accendendo in essi nuovamente la fiamma della fede e dell’abbandono nelle mani del nostro Padre celeste. Un’omelia che si limitasse ad un mero copia-incolla dai testi trovati su internet tradirebbe il nostro ministero, e risulterebbe in grave danno per i nostri fedeli: la fede viene dalla predicazione (cfr. Rom. 10:17)!
Anche per questo, la sensazione è che non servisse un’intelligenza artificiale per evidenziare le lacune nell’arte della predicazione. C’è chi dice – ed è il Papa – che alcune omelie siano un «disastro». Come giudica la situazione?
Una delle cose più belle e più consolanti della vita sacerdotale è rendersi conto che noi, i sacerdoti, davvero siamo soltanto “ministri”. La Chiesa è di Cristo e Lui continua a guidarla e a suscitare la fede malgrado noi. È vero, purtroppo tante omelie sono un disastro: anni fa, nel 1983, è stato pubblicato un piccolo libro intitolato La predica tormento dei fedeli (a cura di Rienzo Colla, La locusta, Vicenza, ndr). Oggi le cose non sono cambiate. Ciò è dovuto a due cause principali: i seminaristi ricevono poca formazione retorica per la predicazione e poi, una volta divenuti sacerdoti, tante volte ascoltiamo poco il popolo e preghiamo poco per loro.
Già all’inizio del V secolo sant’Agostino dedicò una delle sue opere – il De Doctrina Christiana – ad insegnare ai suoi sacerdoti e catechisti l’arte della predicazione, perché già allora le prediche potevano risultare noiose. Per affrontare questo problema, il santo vescovo di Ippona chiedeva ai suoi sacerdoti di salire quattro grandini: 1. Crescere nel timore di Dio, perché saremmo giudicati anche di ogni parola. 2. Crescere nella pietà, perché senza l’amore di Dio non riusciremo a smuovere il cuore dei nostri ascoltatori. 3. Crescere nella scienza, perché senza lo sforzo per conoscere meglio le Scritture e la retorica per esporle faremmo un magro favore alla Chiesa. 4. Crescere nella fortezza, nella fame e sete di giustizia, per denunciare ciò che non va e portare il popolo dalle cose che passano all’amore per la Trinità e al desiderio della vita eterna.
E se fosse lei a stilare le regole per una buona omelia quali sarebbero?
Ascoltare, pregare e studiare. Ogni omelia dovrebbe partire da una domanda del popolo, che abbiamo portato alla nostra meditazione e che, con l’aiuto di Dio, abbiamo cercato di studiare per capire come è stata risolta in passato dai Padri della Chiesa, dal Magistero e da tanti santi che ci hanno preceduto.
Una volta capita la domanda e le possibili risposte toccherà focalizzare l’attenzione per limitare il discorso all’essenziale e trovare un’immagine o una storia che possano aiutarci al momento di presentare la questione ai fedeli. Tutto questo sforzo, si tradurrà in un “momento redazionale”, magari venerdì mattina, in modo da poter portare con noi una piccolissima traccia a partire dalla quale parleremo ai fedeli.
Esistono regole anche per un buon ascolto dell’omelia da parte dell’assemblea?
Ha ragione: anche i fedeli si dovrebbero preparare interiormente alla celebrazione della Santa Messa. Penso che, tante volte, abbiamo perso l’abitudine di arrivare con un po’ di anticipo alla celebrazione. Se ci riuscissimo, forse saremmo in grado, come fedeli, di metterci già all’ascolto di Dio, di chiedere il suo aiuto per partecipare a quella celebrazione. Joseph Ratzinger nel citato libro Dogma e predicazione spiega come l’unico scopo possibile della predicazione sia quello di portare il popolo all’adorazione del Signore che si consegna nuovamente per noi nella Santa Messa.
Se riuscissimo tutti, pastori e popolo, a vivere con più fede e maggiore silenzio e attenzione la celebrazione dei Divini Misteri, allora, forse, anche se la predica non è perfetta tutti riusciremmo a trarre più frutto della celebrazione domenicale e a ripetere, come i santi martiri di Abitene, “senza la domenica non possiamo vivere!”.
Testo integrale dell’omelia scritta da ChatGPT per la Libera Comunità Ecumenica Ungherese – Chiesa dei 1000 anni (traduzione propria dall’originale)
Cari fratelli e sorelle nel Signore!
Oggi ci riuniamo con gioia per glorificare Dio e ascoltare il suo messaggio. Ti preghiamo di aprire i nostri cuori e le nostre menti per comprendere meglio ciò che Dio ha voluto dirci oggi.
Dio può scegliere chiunque per trasmettere i suoi messaggi, indipendentemente dai nostri errori passati o dai limiti presenti. Il Signore sceglie le persone per portare il suo messaggio secondo la sua volontà e non in base ai nostri giudizi. Secondo la Bibbia, Davide era l’uomo meno adatto al titolo di re, ma fu comunque scelto da Dio per essere il re del popolo ebraico. E Pietro era un ex peccatore medio che alla fine divenne uno dei più grandi apostoli.
Dio può dare a chiunque il potere e il coraggio di cui ha bisogno per trasmettere i Suoi messaggi. Secondo la volontà del Signore, decide chi sarà colui che trasmetterà il suo messaggio, e sa quale persona è più adatta a questo compito.
Il popolo eletto di Dio non deve temere di fallire perché il Signore è con lui e lo aiuta nelle difficoltà. Il popolo eletto di Dio ha bisogno di confidare in Lui, e ha bisogno di abbandonare le sue paure ed essere aperto alla volontà del Signore.
Il popolo eletto di Dio ha bisogno di pentimento e fedeltà a lui per diventare ciò che Egli intendeva che fosse. Il popolo eletto da Dio ha bisogno di servirlo per condividere il suo messaggio con gli altri e contribuire così all’edificazione del suo regno.
Il popolo eletto di Dio ha bisogno di pregarlo per godere della sua benedizione e per ricevere l’aiuto dello Spirito Santo nel trasmettere il suo messaggio. La preghiera è molto importante, perché attraverso la preghiera otteniamo forza e coraggio per svolgere il compito che Dio ci ha affidato. Attraverso la preghiera, ci avviciniamo a Dio e scopriamo qual è la via secondo la sua volontà.
Dio può scegliere chiunque per consegnare i suoi messaggi, ma ciò che conta è come rispondiamo a questo onore. Se Dio vuole che trasmettiamo il suo messaggio, allora facciamo quello che ci dice di fare e non lasciamo che la paura, l’insicurezza o qualsiasi altra cosa ci impedisca di servirlo con tutto il cuore.
Il compito del popolo eletto di Dio è quello di trasmettere il suo messaggio e di ispirare gli altri a seguire il suo cammino. Se Dio ci ha scelti per trasmettere i suoi messaggi, allora il nostro compito è fare del nostro meglio e servirlo con tutto il cuore.
Infine, ricorda che Dio è sempre con noi e che ci aiuta sempre nelle difficoltà. Se cerchiamo coraggio e forza, rivolgiamoci a Dio con cuore aperto e chiediamo la sua benedizione e guida per trasmettere i suoi messaggi. Amen.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.