Sono le k’alebi, le donne, la vera anima della Georgia. Le dedebi, le madri instancabili che sostengono la famiglia e piangono di nascosto. E le beboebi, le nonne, nella loro malinconica dignità, che accompagnano le note del panduri nelle canzoni popolari. È sempre stato così in Georgia, come in buona parte dell’Europa, dell’Asia e, in fondo, del mondo intero. Anche nella fede. A poco più di un centinaio di chilometri ad est di Tbilisi, non distante dal confine con l’Azerbaigian, si trova uno dei simboli religiosi più importanti della Georgia, il Monastero di Santa Nino di Bodbe. Insieme alle reliquie della santa, custodisce una delle storie più affascinanti della Cristianità d’Oriente. Un misto di evangelizzazione e Divina Commedia, tutta al femminile.
Caucaso
«Malattia non è castigo di Dio». Essere cattolici in Georgia e Azerbaigian
Minoranza religiosa, ma attivi nel sociale: è questo il ritratto dei cattolici in Georgia e Azerbaigian, riuniti attorno ai Camilliani di Tbilisi e alle Missionarie della Carità di santa Teresa di Calcutta a Baku. Perché «la malattia non è castigo di Dio, come predicato spesso dal clero ortodosso», ricorda padre Paweł Dyl, che accoglierà papa Francesco il prossimo ottobre.
La trappola del “giardino nero” attende Francesco in Armenia
Il Papa è in partenza per l’Armenia. Ad attenderlo le speranze di due popoli e un trappola: quella del Nagorno-Karabakh, il “giardino nero” al confine tra Armenia e Azerbaigian.
Armenia, terra di genocidi. Stragi fatte e subite
Di genocidio si è tornati a parlare in vista del viaggio apostolico di papa Francesco in Armenia. C’è il genocidio degli armeni, riconosciuto dalla Germania, negato dalla Turchia e che ha provocato le inaudite scuse del vicario del Patriarcato armeno a Istanbul. Ma anche l’eccidio dimenticato di Khojaly, nella guerra fra Armenia e Azerbaigian. Un’insidia che attende il Papa in autunno.