In Germania è la Kirchensteuer, in Svezia la kyrkoavgift: in entrambi i casi si tratta di una tassa ecclesiastica. Uguali? Non del tutto. E se Francesco per ora non si esprime, Benedetto XVI si è già detto contrario.
Dando ufficialmente il via alla partecipazione cattolica alle commemorazioni per i 500 anni dalla Riforma, in Svezia Francesco si appresta ad incontrare una comunità cattolica che è minoranza, cui è riconosciuta piena libertà di culto solo dal 1860. Le statistiche ufficiali raccontano per il 2014 di 106.873 cattolici presenti in Svezia, pari all’1,1% della popolazione totale, in calo percentuale rispetto agli anni precedenti (nel 2010 erano l’1,5% e nel 2004 l’1,6%), ma in aumento quantitativo. I dati tengono però conto solo dei cattolici registrati e la percentuale sarebbe dunque superiore: la diocesi di Stoccolma – l’unica della Svezia e che comprende l’intero Paese, attualmente retta dal vescovo carmelitano Anders Arborelius – parla di almeno 150mila cattolici, pari all’1,5% della popolazione totale (9.779.000 abitanti nel 2015). Il che significherebbe che quasi la metà dei cattolici presenti in Svezia non è registrata nelle liste ufficiali.
Tutta colpa della kyrkoavgift, la tassa ecclesiastica svedese. Al versamento della quota sono tenuti gli svedesi di almeno 18 anni con un reddito imponibile da lavoro dipendente o da pensione, appartenenti ad una delle comunità religiose riconosciute dallo Stato, principale delle quali è la Svenska Kyrkan, la Chiesa (luterana) di Svezia. La tassa ecclesiastica è calcolata sul reddito imponibile e per la maggior parte delle comunità religiose – Chiesa cattolica compresa – ammonta ad una quota pari all’1% (con l’eccezione della Comunità Bosniaca Islamica e delle Associazioni Islamiche Unite in Svezia, che si fermano allo 0,7%) del reddito imponibile. La tassa è raccolta annualmente dall’Agenzia delle Entrate svedese, che si incarica poi di far pervenire gli incassi alle relative comunità religiose.
«La tassa ecclesiastica rende possibile per noi avere un’economia più stabile e la maggior parte del denaro raccolto è destinata alla pastorale nazionale», spiegano dal sito ufficiale della diocesi di Stoccolma. Se i proventi della tassa ecclesiastica sono infatti utilizzati per il pagamento degli stipendi di sacerdoti, religiosi e laici e per la manutenzione degli edifici di proprietà della diocesi, il denaro non manca di essere impiegato anche per la costruzione di chiese e centri comunitari, per sovvenzionare Caritas Svezia e in progetti educativi ed editoriali (come la casa editrice Veritas, di proprietà della diocesi), nonché per il mantenimento del centro per ritiri Stiftsgården Marielund di Ekerö, sullo splendido lago di Mälaren, poco fuori Stoccolma.
Tutto come nella Kirchensteuer, dunque, la tassa della Chiesa in Germania? Non proprio. L’ottenimento dell’esonero dal pagamento della tassa ecclesiastica in Svezia è decisamente più semplice (è sufficiente l’invio di un modulo alla diocesi di Stoccolma) e la cancellazione dalle liste della Chiesa ha conseguenze meno gravose che in Germania, dove si arriva di fatto alla scomunica, fermo restando che anche da Stoccolma specificano come non sia possibile recedere dalla Chiesa cattolica in Svezia e continuare ad esserne membro in un altro Paese, dato che «la Chiesa cattolica è una comunità globale che non è legata ai confini nazionali». A richiedere l’esonero dal pagamento della kyrkoavgift sono per lo più persone con basso reddito, pensionati e malati, ma dalla diocesi fanno sapere che in molti casi a cercare un escamotage sono i fedeli più ricchi. Da notare che dalla kyrkoavgift sono escluse le spese per il funerale – fra gli aspetti più contestati della Kirchensteuer tedesca – che da tutti i cristiani svedesi registrati sono dovute alla Chiesa (luterana) svedese, responsabile dei servizi funebri in Svezia. Dietro espressa richiesta, anche i fedeli non più registrati alla Chiesa cattolica possono comunque ottenere un funerale cattolico.
Papa Francesco – comunemente dato in sintonia con la linea teologica e pastorale di alcuni esponenti della Chiesa in Germania, uno su tutti il card. Walter Kasper – per il momento non si è ancora espresso in merito alla Kirchensteuer, nonostante nel 2013 abbia dovuto misurarsi direttamente con lo scandalo di mons. Franz-Peter Tebartz-van Elst, vescovo di Limburg, travolto da un’inchiesta della stampa tedesca che ne aveva rivelato le finanze allegre, in particolare per le spese sostenute per la ristrutturazione dello storico palazzo del centro diocesano di Limburg, pari a 31 milioni di euro, con 2,9 milioni destinati alla sola residenza privata del presule, dotata di una vasca da bagno da 15mila euro divenuta celebre. Attenuatasi l’attenzione mediatica, nel dicembre 2014 il vescovo dimissionario venne nominato delegato per la catechesi del Pontificio consiglio per la promozione della nuova evangelizzazione.
Ad esprimersi in più di un’occasione sulla Kirchensteuer durante il suo pontificato è stato invece Benedetto XVI, che è tornato recentemente a farlo nelle sue Ultime Conversazioni. «Effettivamente ho grossi dubbi sulla correttezza del sistema così com’è», ammette Ratzinger. «Non intendo dire che non ci debba essere una tassa ecclesiastica, ma la scomunica automatica di coloro che non la pagano, secondo me, non è sostenibile». Nella stessa occasione, il Pontefice emerito sottolinea come «in Germania abbiamo un cattolicesimo strutturato e ben pagato, in cui spesso i cattolici sono dipendenti della Chiesa e hanno nei suoi confronti una mentalità sindacale. Per loro la Chiesa è solo il datore di lavoro da criticare. Non muovono da una dinamica di fede. Credo che questo rappresenti il grande pericolo della Chiesa in Germania: ci sono talmente tanti collaboratori sotto contratto che l’istituzione si sta trasformando in una burocrazia mondana».
Il quadro generale della Chiesa cattolica in Svezia appare comunque diverso rispetto a quello tedesco. Se in Germania il denaro raccolto con la Kirchensteuer – 6,1 miliardi nel 2015, con un aumento del 7,1% rispetto all’anno precedente – serve ormai a coprire i costi dell’enorme macchina burocratica di una Chiesa in grave crisi, la Chiesa cattolica in Svezia appare più vitale. Minoranza, sì, ma in crescita di fedeli – qualche migliaio in più all’anno, grazie soprattutto agli immigrati e alle conversioni – ma anche di parrocchie e di vocazioni. Una tendenza, quest’ultima, che non si è ancora interrotta dal 1949 e che nel 2014 ha condotto la Svezia a contare su 159 sacerdoti (78 secolari e 81 regolari, 1 ogni 672 battezzati), 31 diaconi e 269 religiosi (173 donne e 96 uomini).
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