Nel Samtskhe-Javakheti, in Georgia, i cattolici armeni sono una minoranza nella minoranza, etnica e religiosa. Fra sopravvivenza e speranze, in attesa di Francesco.
Entrare nella regione del Samtskhe-Javakheti significa passare da una Siberia ad un’altra. Da quella armena, a sud, attraverso Ashotsk e Bavra, a quella georgiana, a nord, fino a Ninotsminda e Akhalkalaki. Ad ovest, il confine con la Turchia dista solo una manciata di chilometri. Le rovine di Vardzia, simbolo del Samtskhe-Javakheti, sono da qualche parte a nord. Fra i monasteri ortodossi, come quello di Sapara, il fascino e il peso della storia sono così forti da togliere il fiato. Tutt’intorno, un pulviscolo di cittadine e villaggi cresciuti lungo le strade a quasi duemila metri sul livello del mare, in un eterno alternarsi di primavera e inverno. All’orizzonte, il panorama si spacca fra il verde delle praterie e l’azzurro del cielo. La poesia del paesaggio non è comune e non sorprende che molti scrittori armeni siano nati in questa regione, come Vahan Terian, il poeta della pioggia e dei campi dai colori eterei. Perché se il Samtskhe-Javakheti appartiene politicamente alla Georgia, la maggioranza della sua popolazione è armena. Da qui l’appellativo di “terza Armenia”, dopo quella nazionale e il Nagorno-Karabakh.
Ex Repubblica sovietica, da tempo in Georgia si registrano crescenti tensioni. Nel Samtskhe-Javakheti quasi la metà della popolazione è armena e nei distretti di Akhalkalaki e Ninotsminda arriva a superare il 95%. Gli armeni lamentano una scarsa rappresentazione nella vita pubblica, specialmente al governo. Tbilisi è lontana e percepita come ostile. Anche l’uso in pubblico della lingua armena, ufficialmente, è proibito. Le spinte per l’autonomia del Samtskhe-Javakheti dalla Georgia sono forti, così come per l’annessione del Javakheti all’Armenia. In molti guardano alla Russia e quasi ogni famiglia ha almeno un suo membro emigrato da quelle parti.
Maggioranze e minoranze, qui, non sono però solo etniche. Anche dal punto di vista religioso il Samtskhe-Javakheti è il frutto di secoli di incontri e di scontri e la religione – qui la maggioranza è ortodossa – è spesso vissuta come parte integrante della propria identità nazionale. Una visione che porta a considerare gli appartenenti ad altre confessioni come una minaccia. Musulmani, ebrei, evangelici, ma soprattutto apostolici armeni e cattolici, questi ultimi inquadrati sui iuris nella Chiesa armeno-cattolica del patriarca di Cilicia degli Armeni, Grégoire Pierre XX Ghabroyan.
I cattolici – i “Franchi”, come li chiamano da queste parti – sono una minoranza nella minoranza, nei secoli doppiamente discriminata. Minoranza etnica, di fronte alla maggioranza georgiana; minoranza religiosa, di fronte alla maggioranza ortodossa. “Altri”, anche fra gli stessi armeni. Eppure nel Samtskhe-Javakheti la loro è una presenza antica, precedente lo scisma del 1054. Oggi i cattolici si raccolgono per lo più nel distretto di Akhaltsikhe e nei 21 villaggi circostanti, così come nelle aree di Akhalkalak e Ninotsminda. È il cuore del Cattolicesimo armeno nel Caucaso. Comunità rurali, distanti fra loro anche un centinaio di chilometri, per le quali ancora oggi il comune Cattolicesimo costituisce un fattore di aggregazione. Emigrazione, matrimoni misti e gli effetti dell’avversione alla vita spirituale degli anni del Comunismo stanno riducendo la minoranza cattolica al lumicino. Un fatto di non poco conto, quando si è già l’1% della popolazione. Anche l’Armenia è sempre più lontana: le nuove generazioni passano rapidamente da una lingua all’altra, ma parlano soprattutto russo e georgiano, frequentano scuole georgiane e quasi nessuno è stato in Armenia. Il loro legame con il monte Ararat è culturale, talvolta simbolico, sempre più spesso labile.
Anche in Georgia al tempo della dittatura comunista si sono soppresse parrocchie, chiusi luoghi di culto, imprigionati sacerdoti. Come in molta parte dell’ex Unione Sovietica, anche qui la fede è sopravvissuta grazie al lavoro dei preti in clandestinità, alle donne che si riunivano per il Rosario e alle piccole cappelle approntate nelle case. Nonostante il Cattolicesimo sia considerato un tratto identitario, la Chiesa organizzata è percepita come lontana. La Chiesa armeno-cattolica, cui fanno riferimento i cattolici del Samtskhe-Javakheti, ha sede in Libano e il suo primate, il patriarca di Cilicia Grégoire Pierre XX Ghabroyan, risiede a Beirut. Anche in Georgia la Chiesa armeno-cattolica ha minori risorse e minore influenza rispetto alla più grande ed istituzionalizzata Chiesa apostolica armena. Per molti anni la cura d’anime è stata affidata a missionari polacchi: una sfida partecipare alle celebrazioni dato che sono in pochi, qui, a capire il polacco. Il seminario più vicino è quello di Gyumri, in Armenia, fondato nel 1994 e distante poco meno di 200 chilometri. Là i candidati al sacerdozio affrontano la formazione di base, prima di trasferirsi al Pontificio collegio armeno di Roma, fondato nel 1883 da Leone XIII. Era il 2002 quando a Tbilisi giunse il primo sacerdote cattolico armeno.
Nel 2013 nel Samtskhe-Javakheti è stata avviata una missione cattolica. A portarla avanti Cappuccini e suore. Lo scopo: riscoprire l’appartenenza alla Chiesa, lavorando sulla vita parrocchiale, la celebrazione dei sacramenti, la visita agli ammalati. I principali candidati sono i giovani, attraverso oratori e Grest, grazie anche all’aiuto di volontari italiani. Una nuova generazione di armeni – cattolici e ortodossi – da accompagnare verso l’incontro e la reciproca conoscenza. Una minoranza nella minoranza, che guarda alla prossima visita di papa Francesco con la speranza di veder rispettata la propria storia di fede.
Nell’immagine: Georgia, Samtskhe-Javakheti. Bambini armeni del villaggio di Kumurdo accendono candele presso una roccia. Foto di Daro Sulakauri.
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