Artistico passaggio di testimone nel Padiglione Expo della Santa Sede: il 28 luglio l’Ultima cena del Tintoretto cederà il passo ad un arazzo con soggetto di Rubens. Una nuova epoca di evangelizzazione per immagini, ancora oggi in grado di interrogare e istruire l’osservatore.
Dopo aver accolto i visitatori del padiglione della Santa Sede per i primi tre mesi dell’Esposizione universale in corso a Milano, il 28 luglio prossimo l’Ultima cena del Tintoretto farà ritorno alla chiesa di San Trovaso a Venezia. Al suo posto giungerà dal Museo diocesano di Ancona il grande arazzo realizzato da Jan Raes a partire da una composizione di Pieter Paul Rubens raffigurante l’Istituzione dell’Eucaristia. Databile fra il 1632 e il 1650 e dunque successivo di una sessanta-cento anni al dipinto tintorettiano, l’arazzo, di manifattura fiamminga, affronta uno dei temi cardine del Cristianesimo, frequente nell’arte del tempo della Riforma cattolica: la reale presenza di Cristo nell’Eucaristia, contestata dai Protestantesimi. Una nuova epoca di evangelizzazione per immagini, ancora oggi in grado di interrogare e istruire l’osservatore.
L’arazzo rappresenta un’opera chiave nell’intera produzione artistica d’ispirazione rubensiana, ricollegandosi in particolare alla pala d’altare commissionata all’artista fiammingo da Catherine Lescujer per l’altare del Santissimo Sacramento nella chiesa di San Romualdo a Malines (1631-1632), dal 1817 conservata nella pinacoteca milanese di Brera. Il bozzetto della composizione si trova invece al Museo Puskin di Mosca, mentre le due tavole della predella sono conservate al Musée des Beaux-Arts di Digione. La composizione ebbe ampia diffusione durante il Seicento, prevalentemente ad opera di maestranze fiamminghe.
L’ambientazione della scena della Comunione agli apostoli è una chiesa dall’imponente struttura architettonica, aperta su un cielo notturno. La luna – piena, che precede la Pasqua – e i decori della navata e dell’altare, di matrice barocca, collocano l’episodio cristologico all’adorazione eucaristica del Giovedì Santo o alla festa del Corpus Domini.
Cristo è ritratto al centro della scena, fulcro e asse dell’intera composizione, nell’istante della consacrazione del pane e del vino. La mensa, volutamente minimalista, presenta esclusivamente un calice colmo di vino e il pane. Le due specie eucaristiche, poste di fronte a Cristo, ribadiscono l’origine dell’Eucaristia e la viva e reale presenza del Redentore in essa, costituendo uno degli elementi fondamentali del ruolo catechizzante svolto dall’arazzo. Figlia del clima della Riforma cattolica, l’opera di Rubens invita l’osservatore a porre l’attenzione prevalentemente sul pane, in obbedienza all’indirizzo post-tridentino dell’Eucarestia sub specie panis, somministrata cioè ai fedeli unicamente utilizzando il pane quale corpo e sangue di Cristo.
Al fianco di Gesù si radunano gli apostoli, Pietro alla sinistra e Giovanni alla destra, gli altri disposti attorno alla tavola orientata in obliquo rispetto all’osservatore, come già nell’opera del Tintoretto. Nel gruppo si distingue Giuda, tanto per la collocazione – all’angolo opposto a Cristo – quanto per l’atteggiamento di dubbio e sfida che lo contraddistingue e che lo estrania, voltato verso l’osservatore, dalla scena che si consuma attorno a lui. Il cane che divora voracemente un osso, posto ai piedi dell’apostolo traditore, è simbolo ricorrente di invidia e, in ultima analisi, di Satana e della grettezza degli interessi materiali anteposti a quelli spirituali. Se gli occhi di Cristo, rivolti verso l’alto, manifestano infatti la Sua comunione con il Padre e la sottomissione alla Sua volontà, lo sguardo materialista di Giuda interroga l’osservatore, quasi a volerne saggiare le intenzioni e a ricercarne la complicità.
I visitatori posti dinanzi all’opera vengono perciò direttamente interpellati, tanto più alla luce delle sfide del nostro tempo. Un ulteriore elemento, apparentemente di contorno, richiama lo spettatore ad una partecipazione attiva. In basso a destra, il catino e le due brocche, collocati in primo piano, rimandano alla narrazione giovannea dell’Ultima cena (Gv 13), ed in particolare all’episodio della lavanda dei piedi. Dal gesto e dalle parole di Cristo, che trovano il loro fulcro nell’Eucaristia celebrata dalla comunità dei credenti, trae origine e motivazione l’indirizzo di vita del cristiano, ben rappresentato da alcuni passi del Vangelo secondo Giovanni: Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi (Gv 13, 15) e ancora Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13, 34-35).
Un argomento che si inserisce nel tema portante della presenza della Santa Sede all’Expo di Milano – oltre che della Chiesa nel mondo – racchiusa dalle frasi “Dacci oggi il nostro pane” e “Non di solo pane” disposte in più lingue sull’architettura esterna del Padiglione, a ricordare tanto l’impegno pratico del servizio della Chiesa nella società, quanto l’integralità e complessità dell’uomo, che superano il piano eminentemente materiale.
Una complementarietà di visione e di approccio cara anche a papa Francesco e che appare ricorrente nei suoi discorsi pubblici. È il caso di quello rivolto agli esponenti della società civile ecuadoriana, nell’antica chiesa di San Francisco di Quito, il 7 luglio scorso. «Le nostre relazioni sociali o il gioco politico – ricordava in quell’occasione il Pontefice – spesso si basano sulla competizione, sullo scarto. La mia posizione, la mia idea, il mio progetto sono rafforzati se sono in grado di battere l’altro, di impormi. È essere famiglia questo?». Quella stessa «sola famiglia umana», per la quale dall’Expo milanese la Chiesa invoca un cibo tanto materiale quanto spirituale.
Nell’immagine: Jan Raes da Pieter Paul Rubens, Istituzione dell’Eucaristia (particolare), 1632-1650, 500×350 cm, Ancona, Museo diocesano.
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Il Sismografo