In un tempo di programmi politici sfuggenti, a 133 anni dalla sua nascita e a 50 anni dalla sua morte Romano Guardini rimane un punto di riferimento non soltanto nella Chiesa e offre un paio di spunti politici con i quali riflettere. Suggeriti da Francesco.
Quest’anno l’appuntamento principale, in realtà, cadrà il prossimo 1° ottobre: il 50° anniversario della morte di Romano Guardini (1968). La coincidenza del 133° anniversario della sua nascita (1885) – che ricorre domani, 17 febbraio – e il clima di impalpabilità elettorale che stiamo vivendo in queste settimane rendono, però, interessante soffermarsi fin d’ora sul presbitero e teologo veronese di nascita e tedesco di adozione.
Se il primo pontefice a promuoverne la diffusione degli scritti in Italia è Paolo VI – e non stupisce l’attenzione di Montini verso un teologo e un accademico di prim’ordine, al quale soltanto la salute precaria impedisce di partecipare ai lavori del Concilio Vaticano II tra le fila della commissione liturgica – l’apice della notorietà di Romano Guardini nel nostro Paese e nel resto del mondo giunge fra il 2005 e il 2013, cioè durante gli anni del pontificato di Benedetto XVI.
A riprova di quanto Ratzinger si senta legato a Guardini come nessun altro pontefice prima di lui, l’attuale Papa emerito gli riserva un pensiero anche poco prima di lasciare Roma, il 28 febbraio 2013. Sono i giorni sospesi e convulsi che ne seguono la rinuncia e nel suo messaggio di congedo ai cardinali presenti a Roma Benedetto XVI sente di dover lasciare un «pensiero semplice», ma che gli sta «molto a cuore», sulla Chiesa. «Mi lascio aiutare – dice allora Ratzinger – da un’espressione di Romano Guardini, scritta proprio nell’anno in cui i Padri del Concilio Vaticano II approvavano la Costituzione Lumen Gentium, nel suo ultimo libro (La Chiesa del Signore, del 1965, NdR), con una dedica personale anche per me; perciò le parole di questo libro mi sono particolarmente care. Dice Guardini: La Chiesa “non è un’istituzione escogitata e costruita a tavolino […], ma una realtà vivente […]. Essa vive lungo il corso del tempo, in divenire, come ogni essere vivente, trasformandosi […]. Eppure nella sua natura rimane sempre la stessa, e il suo cuore è Cristo”».
Auspicio profetico. Non passano che poche settimane e nei giorni che seguono il 13 marzo 2013 Romano Guardini è di nuovo al centro del dibattito internazionale – ma soprattutto della polemica nostrana – a causa del dottorato del nuovo pontefice, Francesco, mai concluso. La tesi, alla quale Jorge Mario Bergoglio dedica tempo e studi in Germania, avrebbe in effetti dovuto essere dedicata a Guardini, ed in particolare al suo pensiero sociale. Lavoro non sprecato, che, se non è servito per il dottorato, è poi confluito, per stessa ammissione di Francesco, nella sua prima esortazione apostolica, la Evangelii gaudium, in parte “ereditata” da Benedetto XVI.
Si tratta dei passi nei quali Francesco espone i suoi celebri quattro criteri sociali: «il tempo è superiore allo spazio», «l’unità prevale sul conflitto», «la realtà è più importante dell’idea» e «il tutto è superiore alla parte», ritenuti auspicabili per il raggiungimento del «bene comune e della pace sociale» (nn. 217-237). A Romano Guardini papa Francesco riserva in quell’occasione soltanto una citazione esplicita, al n. 224 dell’esortazione, traendola da Das Ende der Neuzeit (La fine dell’epoca moderna). «A volte mi domando – scrive il Pontefice a proposito degli uomini di governo – chi sono quelli che nel mondo attuale si preoccupano realmente di dar vita a processi che costruiscano un popolo, più che ottenere risultati immediati che producano una rendita politica facile, rapida ed effimera, ma che non costruiscono la pienezza umana. La storia forse li giudicherà con quel criterio che enunciava Romano Guardini: “L’unico modello per valutare con successo un’epoca è domandare fino a che punto si sviluppa in essa e raggiunge un’autentica ragion d’essere la pienezza dell’esistenza umana, in accordo con il carattere peculiare e le possibilità della medesima epoca». Qualcosa ben lungi dall’essere conseguito, a giudicare da una rapida occhiata allo scenario politico attuale, non solo italiano.
Ma Francesco non si ferma qui. Due anni dopo, nella sua enciclica più celebre, la Laudato si’, Romano Guardini è – ad eccezione dei pontefici – l’autore più citato: ben otto volte. Le riflessioni dalle quali attinge Francesco sono nuovamente tratte da La fine dell’epoca moderna. L’analisi del rapporto fra morale e politica di Guardini è utile al Pontefice per esprimere i propri timori a proposito della facilità con la quale l’uomo moderno «accetta gli oggetti ordinari e le forme consuete della vita così come gli sono imposte dai piani razionali e dalle macchine normalizzate e, nel complesso, lo fa con l’impressione che tutto questo sia ragionevole e giusto» (n. 203). Dalla culla alla tomba, dall’aborto all’eutanasia, passando per l’utilitaristica indifferenza verso il dolore degli “scartati” dalla società.
A preoccupare Francesco è anche il fatto che «la possibilità dell’uomo di usare male della sua potenza [sia] in continuo aumento» (n. 105). Un atteggiamento evidente nella politica internazionale, ma anche nel rapporto dell’uomo con il Creato. Esso, infatti, «non sente più la natura né come norma valida né come vivente rifugio. La vede come spazio e materia in cui realizzare un’opera nella quale gettarsi tutto, e non importa che cosa ne risulterà» (n. 115). Opportunismo politico, assenza di lungimiranza programmatica e distorta attenzione all’ambiente: in un tempo di programmi politici sfuggenti ed effimeri, spunti sui quali e con i quali riflettere.
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