Benedizioni e corsi di fedeltà. In sordina (ma neppure tanto) nella Chiesa si torna a parlare di unioni omosessuali. Ecco dov’era l’errore fondamentale (per tutti).
Si è consumato in pochi giorni il destino dell’iniziativa promossa a Torino da don Gianluca Carrega, responsabile della pastorale degli omosessuali della diocesi guidata da mons. Cesare Nosiglia: un fine settimana di ritiro quaresimale rivolto ai single ma soprattutto alle coppie gay intitolato “Degni di fedeltà” da tenersi a fine febbraio presso un istituto di religiose. Fra i relatori il gesuita Pino Piva, esperto di esercizi ignaziani e già coinvolto in precedenza in iniziative sul medesimo tema. Lo scopo? Colmare una lacuna della legge sulle unioni civili, che nel testo finale non prevede che fra i diritti e i doveri delle coppie ci sia l’obbligo di fedeltà. Un valore – questo indubbiamente – che don Carrega, insegnante di Nuovo Testamento alla Facoltà Teologica torinese, è ben intenzionato a correggere per superare i «requisiti minimi» previsti dallo Stato e puntare alla «qualità del rapporto», contrastando clandestinità e deresponsabilizzazione. Soltanto indicazioni, comunque, perché «su questi temi dobbiamo affiancare le coppie più che dirigere», ha precisato il sacerdote, che individua anche un «controsenso» nell’insegnamento proposto dalla Chiesa: la possibilità per una persona omosessuale di confessarsi e ricevere i sacramenti in seguito a rapporti occasionali, opportunità che invece è preclusa a chi è impegnato in un’unione (anche sessuale) stabile.
Al di là del clamore suscitato dall’iniziativa – e che ha di certo contribuito alla sospensione decisa poche ore fa dall’arcivescovo Nosiglia, pur nella «stima» per l’operato di don Carrega – qui sta gran parte delle perplessità suscitate. Quanto chiesto dalla Chiesa alle persone omosessuali, infatti, non è così dissimile da quanto chiesto a tutte le coppie non sposate, fidanzati eterosessuali compresi: astenersi dai rapporti sessuali finché l’unione non sia sublimata nel matrimonio sacramentale. Esito, quest’ultimo, impossibile per le persone omosessuali. L’occasionalità dei rapporti sessuali, per quanto segnale di una condotta disordinata e forse immatura, è indicativa molto spesso della fragilità propria di ogni peccatore – omosessuale o meno – e non coincide, invece, con un progetto di vita stabilmente orientato ad una sessualità che la Chiesa non riconosce come legittima. Anche da qui la possibilità per i primi di ricevere l’assoluzione, negata ai secondi. Anche per questo, verosimilmente, mons. Nosiglia ha tenuto a precisare che «il percorso che la Diocesi ha intrapreso non intende in alcun modo legittimare le unioni civili o addirittura il matrimonio omosessuale».
È questo, in ultima analisi, uno dei medesimi problemi che sorgono nelle coppie in seconda unione, chiamate a vivere “come fratello e sorella” astenendosi dai rapporti coniugali. Una posizione che appartiene alla Familiaris consortio di Giovanni Paolo II, ma che è stata recentemente ribadita dalle linee guida dell’episcopato argentino pubblicate per volontà di Francesco negli Acta Apostolicae Sedis: «Quando le circostanze concrete di una coppia lo rendano possibile, specialmente quando entrambi siano cristiani all’interno di un cammino di fede, si può proporre l’impegno di vivere in continenza» (n. 5). Più nello specifico, rispetto alle unioni omosessuali è la stessa Amoris laetitia, riprendendo la Relatio finalis del 2015 della Congregazione per la dottrina della fede, a ribadire che «non esiste fondamento alcuno per assimilare o stabilire analogie, neppure remote, tra le unioni omosessuali e il disegno di Dio sul matrimonio e la famiglia» e che «è inaccettabile che le Chiese locali subiscano delle pressioni in questa materia» (n. 251).
L’iniziativa torinese è (era) giunta pochi giorni dopo le parole del card. Reinhard Marx, presidente della Conferenza episcopale tedesca, che alla radio di Stato bavarese aveva dichiarato che «non possono esserci regole» rispetto alla benedizione delle unioni omosessuali, per le quali, nell’opinione del Cardinale, sarebbe necessario decidere caso per caso, affidandosi a «un prete od operatore pastorale». Viene da chiedersi che senso possano avere educazioni alla fedeltà e benedizioni di coppia per scelte di vita che la Chiesa giudica moralmente inaccettabili. Dio è nei dettagli. Ma anche il diavolo.
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