Reggio Emilia. Prove di totalitarismo

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I dettagli dell’inchiesta sugli affidi illeciti di bambini a Reggio Emilia squarciano il velo sulle derive del gender. Contro le quali più d’uno aveva già messo in guardia.

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“Angeli e demoni”. Mai nome fu più appropriato per un’inchiesta che coinvolge bambini innocenti e rivela ogni giorno dettagli sempre più inquietanti. Principale teatro della vicenda Bibbiano, provincia di Reggio Emilia. Nei fatti, bambini sottratti alle proprie famiglie con accuse di violenza sostenute da false prove, culminate in realissimi soprusi psicologici ai danni dei minori. Tra le 16 misure cautelari emesse e i 27 indagati dell’inchiesta della Procura figurano psicologi, psicoterapeuti ed assistenti sociali, sui quali gravano le modalità di affido di numerosi bambini della Val d’Enza. Insieme a loro il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, per presunte irregolarità amministrative.

Fra gli altri, un nome si impone: quello di Federica Anghinolfi, dirigente dell’Unione Val d’Enza, già soprannominata dalle cronache la “zarina dei servizi sociali”, finita ai domiciliari con numerose accuse, tra le quali falso in atto pubblico, abuso d’ufficio, violenza privata e lesioni personali gravissime. 57 anni, l’omosessualità dichiarata della Anghinolfi – da lei stessa sbandierata sui social – è molto più di un dettaglio di colore: nell’inchiesta figurano, infatti, come indagate anche l’ex compagna di Federica Anghinolfi inseme alla nuova “fidanzata” di lei e ad altre coppie omosessuali. La punta dell’iceberg, se è vero che Procura ed inquirenti stanno scavando nel mondo cosiddetto Lgbt.

Alcuni dettagli dell’inchiesta, infatti, lasciano supporre che dietro ai falsi verbali che conducevano all’allontanamento dei fanciulli dalle proprie famiglie ci sia molto più che un criminoso desiderio di lucro attraverso incarichi e donazioni, anche da parte di partiti politici. A suggerirlo sono gli stessi inquirenti, che indicano un movente anche «ideologico» nella vicenda. «Comportamento ideologicamente e ossessivamente orientato», si legge nell’ordinanza in riferimento ad una coppia di donne, anch’esse legate alla Anghinolfi, alla quale era stata affidata una bambina. Proprio a quest’ultima le due avrebbero «imposto un orientamento sessuale», arrivando a vietare alla piccola di portare i capelli sciolti a scuola per non attirare l’attenzione dei compagni di classe, rigorosamente maschi.

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Ideologia. Un termine che ritorna spesso nelle carte dell’inchiesta. Come laddove la condotta degli indagati è considerata mossa da una «percezione della realtà e della propria funzione totalmente pervertita e asservita al perseguimento di obiettivi ideologici non imparziali». Nei fatti, un sistema criminale su base ideologica, e forse anche politico-culturale, di chiaro stampo discriminatorio. Si impone con forza l’equiparazione, più volte ribadita da papa Francesco, fra l’ideologia gender e i peggiori totalitarismi del secolo scorso, Nazismo in testa.

Di Federica Anghinolfi il giudice scrive che sono «la sua stessa condizione personale e le sue profonde convinzioni a renderla portata a sostenere con erinnica perseveranza la “causa” dell’abuso da dimostrarsi “ad ogni costo”». Difficile non ipotizzare che sulla condotta della donna non pesino problemi esistenziali, uniti ad una «insofferenza riversata in una rabbia repressa sfociata negli atteggiamenti con i minori». Dei quali ha contribuito sconvolgere la vita e che oggi, seppur adolescenti, «manifestano profondi segni di disagio – scrivono gli investigatori – tossicodipendenza e gesti di autolesionismo».

Eppure, quello di Federica Anghinolfi è un nome noto dell’attivismo gay. Tanto che, nel 2014, il Corriere della Sera le concede ampio spazio in un approfondimento dedicato ai primi affidi alle coppie omosessuali in Italia, «forte – si scrive allora – del suo lavoro sulla genitorialità gay (seminari di approfondimento e corsi di formazione) fatto in questi mesi dai servizi sociali emiliani». Un “lavoro” del quale oggi emergono tutti i contorni più agghiaccianti. Eppure, ancora recentemente, la presunta autorevolezza di Federica Anghinolfi è ribadita con la partecipazione in veste di relatrice alla Festa dell’Unità a Bologna, lo scorso anno, con un intervento in tema di “Cura dell’infanzia, maltrattamenti e prostituzione minorile”. A giudicare dall’inchiesta in corso, un’esperienza maturata sul campo.

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