Papa Francesco evoca Hitler in un’intervista rilasciata a El País e si moltiplicano critiche e interpretazioni: Trump come Hitler? Eppure non è la prima volta che Francesco ricorda il nazismo. Pagina tutt’altro che da chiudere nei libri di storia, è oggi più viva che mai. Questione di programmi. Che il Papa comprende bene.
Follia polemica, esagerazione retorica, stupidaggine storica e favore colossale ai nazisti veri. Così dal Corriere della Sera si giudica l’accostamento della «deriva trumpiana» al totalitarismo nazista. Parole forti, specialmente se nello stesso articolo il riferimento è a quanto detto dal Pontefice in un’intervista pubblicata alcuni giorni fa su El País. In molti, infatti, hanno letto in quella ricerca di un «salvatore che ci restituisca l’identità e ci difendiamo con muri, con fili di ferro, con qualunque cosa, dagli altri popoli che ci potrebbero togliere l’identità» un riferimento a Donald Trump.
Se il pensiero di Francesco sembra abbracciare una dimensione più ampia della sola presidenza statunitense – estendendosi al contesto europeo e soprattutto alla legittimità del potere in tempi di crisi, quando «non funziona il discernimento» – ci si domanda il senso del «continuo, reiterato» sguardo al nazismo, che per alcuni andrebbe forse relegato definitivamente alla memoria storica. Come interpretare, infatti, i numerosi riferimenti degli ultimi pontefici alla pagina più triste della storia tedesca ed europea? Forse allora non è questione di «assoluta unicità e incomparabilità del Male assoluto, dell’orrore hitleriano», ma è questione di programmi. E nei programmi, quello nazista è oggi ben rappresentato.
Cultura dello scarto
“La costruzione di un manicomio costa 6 milioni di marchi. Quante case si potrebbero costruire con questa somma a 15.000 marchi l’una?”. Così recitava un dilemma aritmetico, a mezza strada fra testo scolastico e indottrinamento, fatto circolare fra gli alunni del Terzo Reich. La crisi economica che prostrava la Germania degli anni Trenta aveva spinto al taglio dei fondi destinati agli istituti psichiatrici e alle case di cura, accompagnandosi ad una martellante campagna diretta a convincere l’opinione pubblica che non tutte le vite meritano di consumarsi fino al loro naturale esaurimento. Disabili, infermi, neonati e bambini con menomazioni mentali e fisiche, fino agli anziani e alle razze ritenute inferiori: “vite indegne di essere vissute”, per usare le parole del Reich.
E oggi? Tornati a convincerci della inarrestabile marcia del progresso, ancora non sappiamo cosa fare dei tanti scartati che vivono ai margini delle nostre vite. «Una diffusa mentalità dell’utile, la “cultura dello scarto”, che oggi schiavizza i cuori e le intelligenze di tanti, ha un altissimo costo: richiede di eliminare esseri umani, soprattutto se fisicamente o socialmente più deboli. La nostra risposta a questa mentalità è un “sì” deciso e senza tentennamenti alla vita», ricordava nel 2013 Francesco nel discorso rivolto ai partecipanti all’incontro promosso dalla Federazione internazionale della associazioni dei medici cattolici. «Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente ad essere abortito, ha il volto di Gesù Cristo – proseguiva allora il Pontefice – e ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo».
Efficientismo
Gleichschalten. Sincronizzare, coordinare, uniformare. Una delle parole d’ordine della Lingua Tertii Imperii, la lingua del Terzo Reich secondo Victor Klemperer. Ogni persona avrebbe dovuto essere sincronizzata, coordinata e uniformata alle esigenze del regime. Una cultura – secondo il sociologo Zygmunt Bauman, scomparso pochi giorni fa – dominata dall’efficientismo organizzativo e tecnologico, organizzata su schemi rigidamente burocratici, nell’eclissi dei valori morali. Cos’è l’efficientismo, ossessione-compulsione nei confronti della produttività, se non l’arma più terribile, e al tempo stesso la migliore giustificazione, della moderna manipolazione della vita? E cos’è il transumanesimo se non l’estrema conseguenza del «paradigma efficientista della tecnocrazia», l’aspirazione al superamento di ogni realissimo limite biologico?
«Tutto è connesso», ricorda a più riprese Francesco nella Lettera enciclica Laudato Si’. Il creato e l’uomo, la biodiversità e il rispetto per la vita umana, il riscaldamento globale, l’aborto e l’eutanasia. Come a dire che non possono esistere una vera ecologia ed una reale conversione dell’economica senza un superamento di quella crisi antropologica che fu uno dei temi ricorrenti degli ultimi anni del pontificato di Benedetto XVI. Non stupisce allora che i riferimenti finora più espliciti al nazismo Francesco li abbia riservati alla cosiddetta teoria del gender. Così come non sorprende che parlando di gender, migranti e guerra mondiale a pezzi, Francesco recuperi il pensiero di Benedetto XVI, legandolo al proprio. «Quello che ha detto papa Benedetto dobbiamo pensarlo – ricordava Francesco in occasione del dialogo intrattenuto a Cracovia con i vescovi polacchi, il 27 luglio dello scorso anno – “È l’epoca del peccato contro Dio Creatore!”. E questo ci aiuterà. Ma tu, Cristoforo, mi dirai: “Cosa c’entra questo con i migranti?”. È un po’ il contesto, sai?». Tutto è connesso. Anche la violenza delle migrazioni forzate, la cultura dello scarto e le pretese di una vita sempre più perfetta, che non ammette deroghe.
Ritorno al paganesimo
Il paganesimo declinato in chiave germanica fece parte della retorica nazista. Anche nella cultura dominante in Occidente, efficientismo e crisi antropologica assumono la forma di un ritorno al paganesimo, nel quale l’uomo si rende adoratore di idoli nei quali «è continuamente tentato di riporre la sua fiducia», perché «sembrano riempire il vuoto della solitudine e lenire la fatica del credere». Il denaro, le alleanze con i potenti, le sicurezze della mondanità o delle false ideologie: sono solo alcuni degli idoli moderni ricordati dal Pontefice durante l’udienza generale dello scorso 11 gennaio. Non è un caso che le degradazioni e le offese alla dignità dell’uomo si moltiplichino in questo nostro tempo segnato dalla rottura dell’Occidente con le proprie radici cristiane. Dentro questa concezione pervertita della causa e del fine dell’esistenza si trova una delle ragioni del relativismo che avvelena la nostra cultura. Se nulla è dato per sempre, perché tempo e fini ultimi si ripiegano su sé stessi, allora nulla può essere considerato definitivamente vero e buono.
Benedetto XVI e la strumentalizzazione della fede
Eppure in un mondo che sembra voler allontanare gli orizzonti della fede, il bisogno di una dimensione religiosa sembra farsi ancora più pressante. Da qui anche l’emergere di ideologie spiritualizzate e di presunte giustificazioni religiose ad alcuni dei crimini più feroci del nostro tempo. «C’erano i “Cristiani Tedeschi” – oggi non lo sa più nessuno». Così si esprime Benedetto XVI nelle sue Ultime Conversazioni, rispondendo ad una domanda del giornalista e co-autore del libro, Peter Seewald. Un riferimento, quello al movimento sedicente cristiano che fece da sponda religiosa al terrore hitleriano, sul quale nessuno si è soffermato, quasi fosse soltanto il ricordo di un’epoca passata. Eppure, nel pensiero di un Pontefice emerito di così grande attualità, anche il dato storico acquista la valenza di una chiave di lettura dell’odierno contesto mondiale. Pur con tutte le differenze del caso, infatti, non sfuggono le molte similitudini con il terrorismo internazionale che si dice islamico, senza dimenticare le numerose complicità internazionali di Paesi che talvolta si professano cristiani.
«Pare che la famiglia umana rifiuti di imparare dai propri errori causati dalla legge del terrore; e così ancora oggi c’è chi cerca di eliminare i propri simili, con l’aiuto di alcuni e con il silenzio complice di altri che rimangono spettatori». È la forte denuncia di Francesco nella Messa per i fedeli di rito armeno in ricordo del centenario del genocidio armeno del 1915 per mano turca. «Purtroppo ancora oggi – proseguiva allora il Pontefice – sentiamo il grido soffocato e trascurato di tanti nostri fratelli e sorelle inermi, che a causa della loro fede in Cristo o della loro appartenenza etnica vengono pubblicamente e atrocemente uccisi – decapitati, crocifissi, bruciati vivi –, oppure costretti ad abbandonare la loro terra. Anche oggi stiamo vivendo una sorta di genocidio causato dall’indifferenza generale e collettiva, dal silenzio complice di Caino che esclama: “A me che importa? Sono forse io il custode di mio fratello?”».
Nell’immagine: Charlie Chaplin, Il grande dittatore (The Great Dictator), 1940.
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