Quella partita con il Papa dalla quale tutti escono sconfitti

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Settimane di scosse sismiche più o meno accentuate per la Chiesa. Le accuse di relativismo rivolte a papa Francesco e ad altri esponenti della Chiesa cattolica si sono moltiplicate negli ultimi giorni. Anche se non mancano porporati scivoloni e qualche mancanza di chiarezza, ad abbondare sono soprattutto le polemiche. Una partita pericolosa e interminabile dalla quale tutti escono sconfitti.

Partiamo dalle ultime. A tenere nuovamente banco in questi giorni è stata la visita del novembre scorso di papa Francesco alla chiesa luterana di Roma. Se da parte protestante l’incontro è stato letto come «una nuova apertura» anche sul fronte della condivisione eucaristica nelle coppie interconfessionali, le parole del Pontefice a questo riguardo («È un problema a cui ognuno deve rispondere […]. Io non oserò mai dare permesso di fare questo perché non è mia competenza. Un Battesimo, un Signore, una fede. Parlate col Signore e andate avanti. Non oso dire di più») sono state interpretate da alcuni commentatori come esempi di «relativismo». Questo, fra gli altri, il sofferto giudizio di Aldo Maria Valli. Ad esso, il vaticanista del TG1 ha aggiunto nei giorni scorsi la manifestazione di alcune «perplessità circa Amoris laetitia e altre affermazioni di papa Francesco».

Accanto ai pareri più circostanziati, non potevano poi mancare le opinioni in odore di provocazione. È questo il caso della lettera scritta da tale Pinchus Feinstein, ebreo convertitosi al Cristianesimo, residente a Miami Beach, Florida, originariamente pubblicata in inglese sul blog “Revisionist History” dal giornalista statunitense Michael Hoffman.

Hoffman, che si autodefinisce uno storico revisionista, è anche un romanziere e un teorico dei complotti in passato accusato di antisemitismo e razzismo. La presunta missiva ha registrato una discreta circolazione in rete, soprattutto grazie alla via preferenziale ottenuta su alcuni dei siti tradizionalmente meno vicini all’attuale Pontefice. Nella lettera, Pinchus Feinstein promette nientemeno di fare causa a papa Francesco, reo di aver avallato le posizioni della «sua “Pontificia Commissione”» (per i Rapporti religiosi con l’Ebraismo) contenute nelle “Riflessioni” del 10 dicembre scorso, in occasione del 50º anniversario della dichiarazione “Nostra aetate” del Concilio Vaticano II e del suo articolo quarto, che tratta della relazione della Chiesa con la religione ebraica.

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A suscitare le critiche di Feinstein/Hoffman è soprattutto il passo delle “Riflessioni” in cui è detto che «la Chiesa cattolica non conduce né incoraggia alcuna missione istituzionale rivolta specificamente agli ebrei» (n. 40). Trascurando il fatto che il documento prosegue poi, fra l’altro, con la conferma che «i cristiani sono chiamati a rendere testimonianza della loro fede in Gesù Cristo anche davanti agli ebrei» (n. 40) e che «la missione cristiana e la testimonianza cristiana, sia nella vita che nell’evangelizzazione, sono inseparabili» (n. 42), il presunto Pinchus Feinstein lamenta la sovvenuta inutilità della sua conversione e delle pie pratiche da allora svolte, dalle donazioni all’Obolo di San Pietro ai Rosari e alle Confessioni, perché «as you state, they were already saved as a result of their racial descent from the Biblical patriarchs» (“come lei [il Papa] dice, essi [gli Ebrei] erano già salvati come risultato della loro discendenza razziale dai patriarchi biblici”). Seguono la promessa di una querela al Papa e di una richiesta di risarcimento danni.

Abile strategia pubblicitaria dello stesso Hoffman? Missiva costruita a tavolino per attaccare il Pontefice? Al di là della veridicità dell’autore della lettera, messa in dubbio da alcune incongruenze circa l’indirizzo fornito da Feinstein/Hoffman (2617646 Ocean View Ave. Miami Beach, Florida), rimane la sensazione del crescente disagio provato da una parte del mondo cattolico per alcuni dei modi e dei contenuti dei pronunciamenti pontifici, sempre più spesso tacciati di relativismo (se non di peggio). Un disagio nel quale è talvolta difficile distinguere l’amore per la Chiesa da quello per la polemica e il protagonismo, ma che sarebbe un errore ignorare o classificare come semplice chiacchiericcio e che da un po’ di tempo a questa parte sembra coinvolgere trasversalmente tanto alcuni commentatori delle cose vaticane quanto alcuni gruppi di fedeli. Una frattura in grado di assumere i tratti di uno scontro – con toni, talvolta, da tribuna politica – che finora è stato impossibile sanare.

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A fare eco alla polemica epistolare anche il recente caso che ha coinvolto il card. Kurt Koch, presidente della stessa Commissione per le relazioni religiose con gli ebrei e del Pontificio consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, proprio mentre giungono preoccupanti notizie di un incremento di anticristianesimo e antisemitismo in diverse parti del mondo, in particolare nel Vicino Oriente e in Africa. «Abbiamo la missione di convertire tutti i non-cristiani, tranne gli ebrei», avrebbe detto Koch intervenendo la scorsa settimana ad un convegno interreligioso ospitato dal Woolf Institute dell’università di Cambridge, secondo quanto riportato con virgolettati da molti quotidiani britannici e italiani.

Dichiarazioni – o per meglio dire riflessioni – sulle quali è intervenuto pochi giorni dopo padre Federico Lombardi, direttore della Sala Stampa vaticana, che ha affidato al Sismografo la sua convinzione che si sia trattato di «presentazioni mediatiche che non corrispondono a quanto detto dal cardinale e in particolare distorcono il senso e il contesto delle sue riflessioni», puntualizzando che «non è corretto attribuire al cardinal K. Koch un invito al proselitismo nei confronti dei fedeli musulmani». Un chiarimento che è stato accolto come un peggioramento da quanti avevano già criticato il Cardinale per l’esclusione degli ebrei dall’evangelizzazione.

Dialogo interreligioso o tradimento della missione della Chiesa? Che dire del cardinale coreano Yeom, arcivescovo di Seoul, che in un messaggio inviato alla comunità buddista in occasione del 2560° anniversario della nascita di Buddha, un paio di settimane fa, si augurava che «che l’insegnamento della misericordia e l’insegnamento di amore di Gesù e di Buddha possano essere accolti da tutti, e che le nostre due religioni possano camminare insieme sulla via della verità, per illuminare le persone e costruire una società di pace e benessere»? Giusto impulso al dialogo con il buddismo o parole al limite (valicato?) del dialogo interreligioso?

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Siamo esseri umani. Mancanza di chiarezza, di prudenza e di preveggenza sulle conseguenze delle proprie affermazioni possono appartenere a tutti. Diverso è il caso della partita che dal 13 marzo di tre anni fa coinvolge la Chiesa – non sempre da protagonista – tutta giocata sul filo delle “aperture” e delle “rivoluzioni” e dello scandalo in agguato dietro ad ogni “novità”, discorso e decisione. Sebbene sia «possibile e necessaria una critica a pronunciamenti papali, nella misura in cui manca a essi la copertura nella Scrittura e nel Credo» (Benedetto XVI, Fede, ragione, verità e amore), sempre più spesso il confronto fra quanti intendono rivaleggiare con il Papa per riformismo e quanti per cattolicità va assumendo la forma di un diabolico gioco al rialzo nel mercato del pubblico plauso che ha già riempito di denaro e di ego più di qualche pancia e disorientato e fatto soffrire più di una coscienza.

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