Pentecoste e teste di cane

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No, non si tratta dell’ennesima trovata degli amanti dei cani che potrebbe irritare (anche) papa Francesco. La fede cristiana è movimento. Ascensioni, discensioni, assunzioni, predicazioni, missionarietà. Lo spiegano bene la Pentecoste e san Cristoforo. Anche quando ha la testa di un cane.


Cinquanta giorni dopo la Pasqua, festa mobile, e a sua volta una festa mobile. E a giusto titolo. Vento impetuoso, Spirito che discende come lingue di fuoco che si dividono e posano, parole che esplodono dal fondo della gola e del cuore e mettono in moto mani e piedi. La Pentecoste è festa del movimento. Memoria e azione di una Chiesa che esce dal Cenacolo incontro a tutte le genti. Genti pagane, per lo più. Genti talvolta così diverse dal popolo d’Israele da sembrare aliene. In tutti i sensi.

È il caso di san Cristoforo. La tradizione latina ne faceva memoria il 25 luglio (è del 1969 l’eliminazione dal calendario liturgico), quella orientale il 9 maggio, ma Cristoforo è un santo figlio della Pentecoste. Emblema incompreso di quelle genti lontane tutte raggiunte dall’annuncio del Vangelo.

Re, giganti e fiumi

La storia di san Cristoforo è, infatti, meno nota del suo protagonista. La tradizione agiografica lo vuole un uomo di corporatura ragguardevole, dall’aspetto vagamente barbaro. Reclutato a buon diritto nell’esercito romano, si converte al cristianesimo e diffonde la fede tra i commilitoni. E giacché a fargli perdere la testa non bastano due seduttrici (le future sante Niceta e Aquilina, che invece di spingerlo all’apostasia si ritrovano da lui convertite), san Cristoforo viene decapitato.

Ma più della Legenda aurea di Jacopo da Varazze e della Passio sancti Christophori martyris, entrambi testi di ampia fama nel medioevo, l’immaginario del pio pubblico europeo è catturato dal significato stesso del nome Cristoforo: dal greco, “colui che porta Cristo”. Da qui, una leggenda che sembra una canzone di Branduardi. Il gigante cananeo Reprobo – questo il nome di Cristoforo prima della conversione, già di per sé un destino di esclusione e condanna – è alla ricerca del re più forte del mondo, del quale mettersi al servizio. Ma se il re del posto ha paura del diavolo, e il diavolo a sua volta ha paura della croce, non resta che trovare l’unico che sembra non aver paura di salirvi, un certo Cristo.

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Finito a fare il traghettatore lungo un fiume della Licia, nell’attuale Turchia, per dare prova del suo amore in attesa di quell’incontro di grazia con il grande Re, il futuro Cristoforo una notte è chiamato a trasportare un bambino da una riva all’altra del fiume. Un pargolo via via sempre più pesante mentre il gigante si immerge nella corrente, e che infine si rivela essere proprio quel Cristo atteso, carico del peso del mondo. Un significato simbolico che rimarrà legato al nome di Cristoforo ben oltre il medioevo, fino all’alba di una nuova età: dal proprio nome, oltre un migliaio di anni dopo, Cristoforo Colombo si sentirà chiamato ad un destino oltre le acque, insieme di scoperta e di evangelizzazione, nel Nuovo Mondo.

Hic sunt leones

Un mondo sconosciuto, come la gran parte del globo in epoca medievale. Da qui, il fiorire tutt’altro che oscuro di leggende tra le più affascinati della storia. Uomini e donne del medioevo popolano di creature fantastiche i confini geografici della propria immaginazione: giganteschi piedi unici o rivolti all’indietro, uomini con teste di cane oppure privi di testa, occhi singoli o moltiplicati, grandi bocche, nasi e orecchie sono solo alcune delle caratteristiche fisiche dei popoli misteriosi che abitano oltre la frontiera della civiltà. Un modo per raffigurare ciò che è lontano e incomprensibile, e per questo talvolta ostile e belluino. Genti diverse a tal punto da essere sfigurate anche nell’aspetto, in fantasmagorie di esseri umani mescolati ad animali.

Non mancano, isolate, le voci fuori dal coro. È il caso del vescovo di Ippona, Agostino, che nel suo De Civitate Dei riconosce un posto anche per i popoli più diversi – sempre ammesso che esistano, scrive – nella Città eterna edificata dalla sapienza di Dio. «Ma se sono uomini quelli di cui sono stati narrati questi fatti eccezionali e se Dio ha voluto far esistere alcuni popoli con quelle caratteristiche, non dobbiamo pensare che la sua sapienza, con la quale modella la natura umana, abbia errato», scrive Agostino nel V secolo (XVI, 8). «O le cose che sono state scritte di alcuni popoli non sono vere o, se lo sono, quelli non sono uomini o, se sono uomini, provengono da Adamo».

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Figli di Adamo (e di Dio)

Sono questo legame di fraternità umana e l’universale progetto divino di amore che distinguono l’approccio cristiano da quello pagano, dalle razze pliniane che popolano il sapere enciclopedico del mondo greco. Non fenomeni da fiera, oggetto di curiosità quando non di arrogante derisione, bensì le genti nove di cui parla Alessandro Manzoni nella sua Pentecoste, perché Cristo «a tutti i figli d’Eva / nel suo dolor pensò».

È qui che si può cogliere il senso profondo della leggenda agiografica che ha per protagonista san Cristoforo: anche un uomo tanto “diverso” da immaginarlo addirittura con la testa di un cane (come è fatto dai cristiani d’Oriente) è destinatario – e protagonista – del messaggio del Vangelo. Manifestazione di una Chiesa di Cristo che non teme i lontani, figuriamoci i mostri. Per questo è doppiamente interessante la varietà di declinazioni cui va incontro san Cristoforo nell’arte europea, dal capo canino delle icone orientali al volto ferino di Bassot e Dorigny, sino alle fattezze spiccatamente caucasiche degli affreschi della Pieve Santa Maria a Beinette (Cn).

Perché pregiudizio razziale e pregiudizio morale sono parenti stretti. Tristemente lo insegna – ma gli esempi potrebbero essere moltissimi – la complessa vicenda storica ed ecclesiale della dottrina della scoperta – utilizzata nei secoli dai colonizzatori per giustificare moralmente soprusi e violenze contro i popoli nativi dell’America e non solo –, oggi rigettata dalla Chiesa.

Vicenda alla quale, in questi ultimi giorni, si è aggiunto lo sconclusionato pastrocchio dei francobolli vaticani per la prossima Giornata Mondiale della Gioventù di Lisbona. Per i più fortunati, un provvidenziale caso nel collezionismo filatelico.

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2 commenti su “Pentecoste e teste di cane”

  1. Bellissimo! Conoscevo la leggenda raffigurata in quasi tutte le chiese fino alla controriforma, ma belle e rilevanti le tue considerazioni :una bella catechesi sulla Chiesa traghettatrice di uomini.

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