Liturgicamente, il colore sarebbe il bianco. Ma la cronaca degli ultimi giorni sembra rievocare, una volta di più, il rosso. Non quello dei cardinali, già di per sé non privo di grane. Ma addirittura un rosso “comunista”. Segno che la questione ideologica costruita attorno al Papa, per alcuni, non sia ancora conclusa sono le parole di Francesco pronunciate nell’omelia della Domenica della Misericordia.
«Così hanno fatto i discepoli: “misericordiati”, sono diventati misericordiosi. Lo vediamo nella prima Lettura. Gli Atti degli Apostoli raccontano che “nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune”. Non è comunismo, è cristianesimo allo stato puro», ha rimarcato il Pontefice. «Ed è tanto più sorprendente se pensiamo che quegli stessi discepoli poco prima avevano litigato su premi e onori, su chi fosse il più grande tra di loro. Ora condividono tutto». Il riferimento di Francesco al comunismo, naturalmente, ha fatto notizia e il tema della proprietà privata ha oscurato sui media la più ampia riflessione del Pontefice sulla misericordia, sul rischio di «una fede a metà, che riceve ma non dà, che accoglie il dono ma non si fa dono. Siamo stati “misericordiati”, diventiamo misericordiosi».
Già nel novembre 2020, in occasione di un videomessaggio diretto ai giudici membri dei Comitati per i diritti sociali di Africa e America, Francesco aveva affrontato il tema della proprietà privata. «Costruiamo la nuova giustizia sociale ammettendo che la tradizione cristiana non ha mai riconosciuto come assoluto e intoccabile il diritto alla proprietà privata e ha sottolineato sempre la funzione sociale di ciascuna delle sue forme», ha detto il Papa. «Il diritto di proprietà è un diritto naturale secondario derivante dal diritto che hanno tutti, nato dalla destinazione universale dei beni creati. Non c’è giustizia sociale che possa cementarsi sull’iniquità, che comporti la concentrazione della ricchezza».
Riflessioni che vengono da lontano. Ancora prima, infatti, Francesco aveva fatto riferimento a senso e limiti della proprietà privata nell’enciclica Fratelli tutti (dove sono 7 i riferimenti espliciti) e ancora nella Laudato si’ del 2015 (con 5 riferimenti), sostanzialmente nei medesimi termini di una non assolutezza e non intoccabilità della proprietà privata, richiamando il pensiero che fu di Giovanni Paolo II, che «ha ricordato con molta enfasi questa dottrina, dicendo che “Dio ha dato la terra a tutto il genere umano, perché essa sostenti tutti i suoi membri, senza escludere né privilegiare nessuno”».
Eppure, per Francesco il riferimento a Wojtyła – il pontefice che forse più di altri ha sperimentato e avversato il comunismo – ha risvolti paradossali. «Le cose sociali che dico, sono le stesse che ha detto Giovanni Paolo II, le stesse. Io copio lui. Ma dicono: “Il Papa è troppo comunista…”», ricorda Francesco sul volo di ritorno dal viaggio apostolico in Mozambico, Madagascar e Maurizio, il 10 settembre 2019, rispondendo ad una domanda in merito alle critiche provenienti da alcuni settori della Chiesa negli Stati Uniti. «Entrano delle ideologie nella dottrina, e quando la dottrina scivola nelle ideologie, lì c’è la possibilità di uno scisma». Un ragionamento valido, anche se forse a ideologie invertite, anche per la Germania. Francesco è “comunista” quando si misura con la sfida cinese oppure quando visita l’America Latina. È “comunista” quando è accusato (falsamente) di esprimere vicinanza a rohingya, yazidi e uiguri ma non ai cristiani perseguitati, come si disse a proposito del libro Ritorniamo a sognare.
Perché Bergoglio è tacciato di essere un “papa comunista” a corrente alterna, al ritmo di polemiche senza fondamento, amato da media e sinistre quando sembra farsi promotore di presunte “aperture”, ma molto meno apprezzato (e rilanciato) quando tocca con chiarezza e vigore altri tasti, portando a subitanee sordità (e mutismi). Sul fronte opposto, il frequente riferimento alla dottrina sociale della Chiesa – pur sempre la medesima – durante il pontificato di Francesco sta obbligando certi “devoti da salotto”, poco inclini a sporcarsi le mani lungo la via che scende da Gerusalemme a Gerico, a sentire ciò non vorrebbero.
Nondimeno, quella di essere comunisti è un’accusa che sui successori di Pietro aleggia da tempo. Comunista fu detto essere Giovanni XXIII, passato alla storia come il pontefice dell’aggiornamento e delle “aperture a sinistra”, vicino a Krusciov e tacciato di una “depacellizazione” del pontificato. Eppure il 2 aprile 1959 fu lo stesso papa Roncalli ad approvare (controvoglia, si disse) la risposta negativa della Congregazione del Sant’Uffizio a un dubium (ricorda nulla?) circa la legittimità del voto dei cattolici a partiti o candidati in odore di comunismo, sostenendo la loro condizione di scomunica.
Comunista fu accusato di essere Paolo VI, autore di un’enciclica, la Populorum progressio, che il Wall Street Journal definì warmed-up Marxism, «marxismo riscaldato», seguito a ruota dal Time e da una parte della stampa italiana. E se i limiti posti da Francesco alla proprietà privata fanno rizzare i capelli ad alcuni, che dire di questo passaggio dell’enciclica di papa Montini: «Il bene comune esige dunque talvolta l’espropriazione se, per via della loro estensione, del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria che ne deriva per le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del paese, certi possedimenti sono di ostacolo alla prosperità collettiva» (n. 24), tanto più negli anni delle contrapposizioni tra proprietari terrieri e contadini nullatenenti in America Latina? Atmosfere socialiste, si potrà concluderne. Tutt’altro. «Il marxismo, sia o no al potere, indica l’ideologia socialista che ha per base il materialismo storico e la negazione di ogni trascendenza» avverte negli stessi anni Paolo VI nella Octogesima adveniens (n. 33). «Sarebbe illusorio e pericoloso giungere a dimenticare […] il tipo di società totalitaria e violenta alla quale questo processo conduce» (n. 34).
Difficile a credersi, anche Benedetto XVI ebbe la sua fase “marxista”, almeno secondo le facili interpretazioni di certi media, lui, che nel 2009 ai cattolici di Praga parlò del «lungo inverno della dittatura comunista» e della «persecuzione comunista». Accadde dopo la pubblicazione dell’enciclica Spe salvi, del 30 novembre 2007. «Dopo la rivoluzione borghese del 1789 era arrivata l’ora per una nuova rivoluzione, quella proletaria: il progresso non poteva semplicemente avanzare in modo lineare a piccoli passi. Ci voleva il salto rivoluzionario. Karl Marx raccolse questo richiamo del momento e, con vigore di linguaggio e di pensiero, cercò di avviare questo nuovo passo grande e, come riteneva, definitivo della storia verso la salvezza», scrive papa Ratzinger al n. 20.
Tutto qui? Ovviamente no. «Marx non ha solo mancato di ideare gli ordinamenti necessari per il nuovo mondo […]. Il suo errore sta più in profondità. Egli ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l’economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo», precisa poco più avanti, con straordinaria lucidità, Benedetto XVI (n. 21). Che non lesina spunti di autocritica. «È necessaria un’autocritica dell’età moderna in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza», alla quale aggiungere «anche un’autocritica del cristianesimo moderno, che deve sempre di nuovo imparare a comprendere se stesso a partire dalle proprie radici» (n. 22). Sempre le stesse, per ogni cristiano, anche quando è pontefice.
Stupisce che molti dei temi sui quali si fonda l’associazione di Francesco al comunismo (o all’ecologismo) fossero propri, generando reazioni ben diverse, anche di Benedetto XVI. Dallo «sfruttamento sregolato delle risorse della terra» (n. 21), alla «questione di un’equa riforma agraria nei Paesi in via di sviluppo» (n. 27), dall’«accaparramento delle risorse energetiche non rinnovabili da parte di alcuni Stati, gruppi di potere e imprese» (n. 49) all’«urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni» (n. 67). Tutte posizioni espresse da Benedetto XVI nell’enciclica Caritas in veritate. Di fronte ad un mondo sempre più insofferente verso l’una e l’altra.
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