Cosine e piccole cose

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Saranno cosine, ma non sono piccole cose. Qual(cosina) del linguaggio di papa Francesco alla luce del Sinodo per l’Amazzonia.

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Ci sono cosine e piccole cose. Sembra un gioco di sinonimi, ma non lo è. Perché “cosine” e “piccole cose”, per papa Francesco, non sono la stessa cosa. Come voler comparare le piccolezze della vita e i particolari nei quali invece si può trovare all’opera lo Spirito Santo.

Basta guardare all’ultima “cosina”, i viri probati e l’ordinazione di uomini sposati, per comprendere come anche una questione che si voleva marginale ha invece il potere di dominare la scena. A sottolinearlo lo stesso Francesco, nell’ormai celebre j’accuse contro quelle che definisce “élite cattoliche”. «C’è sempre un gruppo di […] élite cattoliche, e cristiane a volte, ma soprattutto cattoliche, che vogliono andare alla “cosina” e si dimenticano del “grande”», ha detto Francesco parlando a braccio e in lingua spagnola al termine dei lavori del Sinodo per l’Amazzonia, nel pomeriggio di sabato 26 ottobre. «Mi sono ricordato di una frase di Péguy, sono andato a cercarla, cerco di tradurla bene, penso che ci possa aiutare quando descrive questi gruppi che vogliono la “cosina” e si dimenticano della “cosa”: “Poiché non hanno il coraggio di stare con il mondo, loro credono di stare con Dio. Poiché non hanno il coraggio di impegnarsi nelle opzioni di vita dell’uomo, credono di lottare per Dio. Poiché non amano nessuno, credono di amare Dio“. Mi ha fatto molto piacere che non siamo caduti prigionieri di questi gruppi selettivi». La “cosina” alla quale il Pontefice allude è per l’appunto l’ordinazione al sacerdozio dei tanto evocati viri probati, proposta al punto 111 del Documento finale del Sinodo, il più contestato nella votazione conclusiva, con 128 placet su 181 votanti, poco oltre il quorum di 121 voti (41 i “non placet” e 11 gli astenuti).

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A confermare come questo tema abbia ottenuto un’attenzione mediatica oltre gli auspici è lo stesso Francesco, che, nel medesimo discorso, si rivolge con parole simili ai giornalisti. «Un ringraziamento ai mezzi di comunicazione», ha detto il Papa. «Chiederei loro un favore: che nella diffusione che fanno del Documento finale si attengano soprattutto alle diagnosi, che è la parte pesante, che è la parte dove realmente il Sinodo si è espresso al meglio: la diagnosi culturale, la diagnosi sociale, la diagnosi pastorale e la diagnosi ecologica. […] Il pericolo può essere che si soffermino […] su che cosa hanno deciso in quella questione disciplinare, che cosa hanno deciso in quell’altra, quale partito ha vinto e quale ha perso. Ossia su piccole cose disciplinari che hanno la loro trascendenza, ma che non farebbero il bene che questo Sinodo deve fare».

“Piccole cose” che taluni, però, vorrebbero ben più grandi, tanto è vero che, si legge in conclusione allo stesso punto 111 del Documento finale del Sinodo, «a questo proposito [dell’ordinazione di uomini sposati], alcuni si sono pronunciati per un approccio universale al tema». Un “approccio universale” che alcuni intendono come estensione della novità a tutta la Chiesa, magari a cominciare dalla Germania, dove parte della Chiesa cattolica da tempo ormai scalpita, contro ogni buonsenso, per un allineamento ad alcune delle soluzioni pastoralmente e numericamente fallimentari – dati alla mano – adottate dalle confessioni protestanti.

Ma non è la prima volta che Francesco parla di “cosine” in conclusione di un Sinodo. Era esattamente un anno fa, il 27 ottobre 2018, in chiusura dei lavori della XV Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi sul tema “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”: anche allora il Papa aveva fatto riferimento a “due cosine”. «Due cosine che mi stanno a cuore», le aveva definite Francesco. «Primo: ribadire una volta in più che il Sinodo non è un parlamento. È uno spazio protetto perché lo Spirito Santo possa agire. Per questo, le informazioni che si danno sono generali e non sono le cose più particolari […]. Seconda cosa, che il risultato del Sinodo non è un “documento”, l’ho detto all’inizio. Siamo pieni di documenti. Io non so se questo documento al di fuori avrà qualche effetto, non lo so. Ma so di certo che deve averlo in noi, deve lavorare in noi. Noi abbiamo fatto il documento, la commissione; noi l’abbiamo studiato, l’abbiamo approvato. Adesso lo Spirito dà a noi il documento perché lavori nel nostro cuore. Siamo noi i destinatari del documento, non la gente di fuori. Che questo documento lavori; e bisogna fare preghiera con il documento, studiarlo, chiedere luce… È per noi, il documento, principalmente. Sì, aiuterà tanti altri, ma i primi destinatari siamo noi: è lo Spirito che ha fatto tutto questo, e torna a noi. Non bisogna dimenticarlo, per favore».

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Le “piccole cose” di cui parla papa Francesco, però, non sono tutte uguali. Alcune sono negative, «piccolezze della vita» che rischiano di «risucchiarci», privandoci della «bellezza vera, […] la grandezza del cielo». In altre c’è la tiepidezza spirituale, con la quale «trasformiamo la nostra vita in un cimitero: […] con le piccole cose che non vanno bene, che il Signore vuole che noi cambiamo. Lui ci chiede la conversione e noi gli rispondiamo: domani». Magari affidandoci, oggi, alla più immediata progettualità umana invece che ai lungimiranti disegni di Dio. Perché esistono “piccole cose”, tutt’altro che marginali, nelle quali è possibile vedere all’opera lo Spirito Santo. Francesco lo ha ricordato due mattine fa, a Santa Marta: «Se noi vogliamo essere uomini e donne di speranza, dobbiamo essere poveri, non attaccati a niente. […] La speranza è umile, ed è una virtù che si lavora, diciamo così, tutti i giorni: tutti i giorni bisogna riprenderla, tutti i giorni bisogna prendere la corda e vedere che l’ancora sia fissa là e io la tengo in mano; tutti i giorni è necessario ricordare che abbiamo la caparra, che è lo Spirito che lavora in noi con piccole cose. […] La speranza è artigianale, piccola, […] seminare un grano e lasciare che sia la terra a dare la crescita». Da coltivare, un po’ come accade con le vocazioni.

Così come la speranza, anche l’amore può essere una “piccola cosa”. «Proprio come una madre e come un padre, che si fa chiamare teneramente con un vezzeggiativo, Dio è lì a cantare all’uomo la ninna nanna, magari facendo la voce da bambino per essere sicuro di essere compreso e senza timore di rendersi persino “ridicolo”, perché il segreto del suo amore è il grande che si fa piccolo», ricordava Francesco lo scorso Avvento. Insieme ad un invito: «Non spaventarsi delle cose grandi, ma tenere conto delle cose piccole: questo è divino, tutti e due insieme».

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