Lo scorso aprile, ai piedi del fumo che si innalzava tra i palazzi di Kiev bombardata, si stava concludendo la conferenza stampa congiunta del presidente ucraino Zelensky e del segretario generale dell’Onu Guterres. A quasi 6 mesi da allora, dopo il ritorno dei missili sulla capitale ucraina, le immagini mostrano lavoratori colti nel traffico e cittadini impegnati con la spesa. Anche questo, nella sua accidentalità, è un segno.
Difficile ricordare nel tempo recente decisioni realmente di svolta per lo scenario internazionale da parte dell’Onu. Al di là di posizioni di merito, la situazione non accenna a cambiare neppure dopo l’approvazione, nelle scorse ore, della risoluzione promossa dall’Unione Europea che condanna i «cosiddetti referendum illegali» e la «tentata annessione illegale» degli oblast’ di Doneck, Lugansk, Cherson e Zaporižžja da parte della Russia. A favore della risoluzione hanno votato 143 Paesi, 5 si sono detti contrari (Bielorussia, Corea del Nord, Nicaragua, Russia e Siria) e 35 si sono astenuti, fra cui Cina e India.
Un silenzio sempre più assordante, che denuncia l’urgenza di rivedere fisionomia e organizzazione delle Nazioni Unite e soprattutto del loro Consiglio di sicurezza, l’organismo preposto a mantenere la pace internazionale in conformità con i principi e le finalità dell’Onu. E le cose non devono andare proprio benissimo se è lo stesso António Guterres, segretario generale delle Nazioni Unite dal 2017, ad ammettere che il Consiglio di sicurezza «ha fallito nell’impedire e nel mettere fine» al conflitto in Ucraina.
Guerra ibrida
Anche da queste pagine si diceva che le guerre hanno assunto caratteristiche inimmaginabili fino a diversi anni fa. Si è a lungo discusso dei limiti di un’Organizzazione nata all’indomani della seconda guerra mondiale per dirimere “tradizionali” guerre fra Stati e impreparata a fronteggiare i nuovi scenari. Ora, alla prova dei fatti di una guerra internazionale che rischia di replicare per la terza volta un conflitto mondiale, l’Onu e soprattutto il Consiglio di sicurezza non sembrano maggiormente adeguati.
Se l’Onu e il Consiglio di sicurezza non funzionano, peggiori appaiono le possibili alternative. Affidare l’ordine mondiale al protagonismo di alleanze fondate sulla collaborazione bellica, come Nato e Otsc? O, ancor peggio, alla supremazia dei singoli Stati? Tanto più che le entità sovranazionali, su tutte l’Unione Europea, hanno mostrato i propri limiti. Figure irriconoscibili dall’inizio della guerra in Ucraina. O, forse, tristemente uguali a sé stesse.
Onu fra impotenza e urgenza di riforma
Colpiscono, non più tardi di pochi mesi fa, le critiche rivolte all’Onu quasi all’unisono da Zelensky e papa Francesco. «Dove sono queste garanzie da parte delle Nazioni Unite? È ovvio che le istituzioni chiave del mondo che devono portare la pace in questo momento non stanno funzionando in maniera efficace», denuncia il primo. «Nell’attuale guerra in Ucraina assistiamo all’impotenza dell’Organizzazione delle Nazioni Unite», gli fa eco, amaramente, il secondo.
E Francesco non è l’unico pontefice della storia recente ad aver messo a nudo la paralisi dell’Onu. Tredici anni fa, nell’enciclica Caritas in Veritate Benedetto XVI evidenzia come «di fronte all’inarrestabile crescita dell’interdipendenza mondiale, è fortemente sentita, anche in presenza di una recessione altrettanto mondiale, l’urgenza della riforma sia dell’Organizzazione delle Nazioni Unite che dell’architettura economica e finanziaria internazionale, affinché si possa dare reale concretezza al concetto di famiglia di Nazioni».
Attuale, alla luce delle esplosioni che gettano oscurità sull’Europa dell’Est e sul mondo intero, il richiamo di Benedetto XVI perché «si dia finalmente attuazione ad un ordine sociale conforme all’ordine morale e a quel raccordo tra sfera morale e sociale, tra politica e sfera economica e civile che è già prospettato nello Statuto delle Nazioni Unite».
Guerra del Golfo e “logica della guerra”
Sull’Onu e sul Consiglio di sicurezza pesano poi, da decenni, le accuse di una certa sudditanza – economica, politica, militare – nei confronti degli Stati Uniti. A suo tempo, ne denuncia i limiti in tal senso Giovanni Paolo II, all’indomani dell’inizio della prima guerra del Golfo, il 17 gennaio 1991: “Desert storm”, la “tempesta del deserto” che si scatena dopo l’invasione irachena del Kuwait, lo scadere dell’ultimatum Onu e l’inizio dei bombardamenti dall’aria e dal mare a guida statunitense, che coinvolgono anche la capitale Baghdad.
Giovanni Paolo II rimane allora isolata figura internazionale a sostegno della pace. I suoi richiami a scongiurare la guerra sono accolti con sufficienza, se non con irritazione ed ironia. «L’inizio di questa guerra segna una grave sconfitta del diritto internazionale e della comunità internazionale», dice. Dure, in quei mesi, le prese di posizione di Civiltà cattolica, rivista dei Gesuiti le cui bozze, per consuetudine, sono esaminate in anticipo dalla Segreteria di Stato della Santa Sede. «L’intervento occidentale, appoggiato da alcuni Paesi arabi, ha una motivazione giuridica ed etica, ma soprattutto economica e politica», si avverte già alla fine del 1990, evidenziando come sia «moralmente inaccettabile e politicamente disastroso simile modo di ragionare». L’Onu si è lasciata «trascinare nella logica della guerra», si conclude amaramente a conflitto iniziato.
Diritto internazionale e contesti di crisi
Nella storia dell’Onu trova un posto di rilievo anche la lunga pagina della contrapposizione fra Israele e Palestina. Non più tardi di un anno fa, dopo il voto dell’Assemblea, il relatore speciale delle Nazioni Unite Michael Lynk ribadisce le proprie critiche all’Onu per l’incapacità di agire efficacemente sulle violazioni del diritto internazionale da parte dello Stato di Israele. «Nel quinto anniversario dell’adozione della risoluzione 2334 da parte del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (con la quale si chiede ad Israele di porre fine alla politica degli insediamenti nei territori palestinesi e il rispetto dei confini del 1967, ndr), la comunità internazionale deve prendere sul serio le proprie parole e le proprie leggi», denuncia.
Si tratta forse del più noto, ma certamente non dell’unico contesto di crisi nel quale l’impossibilità o l’incapacità delle Nazioni Unite ad intervenire pesa su memoria e persone. È il caso, più recentemente, della persecuzione degli uiguri da parte della Repubblica Popolare Cinese. Minoranza etnica turcofona e di religione islamica che rappresenta quasi la metà dei 26 milioni di abitanti della regione dello Xinjiang, gli uiguri sono da tempo oggetto della repressione di Pechino perché considerati “separatisti”. Una vergogna troppo a lungo taciuta, anche dalla comunità internazionale.
Un rapporto diffuso poche settimane fa dall’Ufficio dell’Alta commissaria delle Nazioni Unite per i diritti umani Michelle Bachelet, da tempo atteso e più volte rinviato, fotografa la grave condizione di questa minoranza. Una scelta, però, non sufficiente ad evitare all’Onu il severo appunto di Amnesty International per «l’imperdonabile ritardo con cui questo rapporto è stato diffuso».
L’ostacolo dei “big” della geopolitica, anche dell’inquinamento
Che dire, infine, del fallimento dell’Onu in tema di cambiamento climatico? Un ambito intimamente legato alle sempre più numerose crisi ambientali, alimentari, sociali ed economiche nel mondo, che con sottovalutata frequenza rischiano di trasformarsi in crisi belliche. Al di là dei numerosi proclami – e ormai nell’imminenza della 27esima “Cop”, la “Conferenza delle Parti”, il prossimo novembre a Sharm el-Sheikh – l’Onu è stata finora incapace di indirizzare concretamente le politiche dei singoli Stati, soprattutto quando si tratta dei “big” della geopolitica dell’inquinamento globale, dagli Stati Uniti alla Russia, dalla Cina all’India e a molte economie emergenti. Mala tempora currunt. Tira decisamente una brutta aria, e non solo nel clima.
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Si cerca un arbitro che non si trova! Può essere un leader religioso? Nel passato c’è stato (penso al colloquio in Arcivescovado tra Mussolini e il card. Schuster!), ma oggi la società è secolarizzata e in più la presenza di Kirill complicherebbe gli eventuali negoziati. Comunque, l’ONU e tutte le organizzazioni internazionali hanno fallito: in questo momento, ricordo, che la Russia, oltre a mantenere il diritto di veto in consiglio di sicurezza, ha anche la presidenza dell’assemblea!
Questo è il nodo della questione, caro Edoardo. Si tratta di attese utopistiche?