Terrorismo, violenza e islam. Quando i Nazisti usarono Dio per giustificare la violenza si dissero cristiani. Basta dirlo perché sia vero?
A distanza di quasi un mese, continuano a far discutere – e riflettere – le parole pronunciate da papa Francesco sul volo di ritorno dalla Polonia, il 31 luglio scorso, a proposito del legame fra violenza e islam. «Se io parlassi di violenza islamica, dovrei parlare anche di violenza cattolica», aveva detto allora il Pontefice, sollecitato dalla domanda di un giornalista. Parole che meritano senza dubbio un approfondimento. Difficile paragonare, pur nella loro gravità, atti di criminalità commessi da persone aderenti alle più diverse religioni – «quello che uccide la fidanzata, un altro che uccide la suocera» – alla pratica sistematica della violenza perpetrata da un’entità organizzata che la giustifichi con la religione. Viene da chiedersi, allora: Dio è mai stato strumentalizzato da movimenti che si proclamarono cristiani? Sì, e per la giustificazione di alcuni dei crimini più terribili della storia.
«E così io credo come sempre che il mio comportamento è in accordo col volere dell’Onnipotente Creatore. Fin quando mi reggerò in piedi sarò contro il Giudeo difendendo l’opera del Signore». Così scriveva nel 1924 Adolf Hitler nella sua autobiografia, il Mein Kampf. La ricorrenza di elementi di presunto Cristianesimo nel primo Nazismo è tanto inquietante quanto inspiegabile, se non con la follia. Il Nazismo non fu in alcun modo cristiano, neppure all’inizio. Il Nazismo fu anzi da subito l’antitesi stessa del Cristianesimo. «Tanti ebrei […] furono brutalmente sterminati sotto un regime senza Dio che propagava un’ideologia di antisemitismo e odio. Quello spaventoso capitolo della storia non deve essere mai dimenticato o negato», disse Benedetto XVI il 15 maggio 2009, congedandosi dalla Terrasanta al termine del suo pellegrinaggio. Le stragi del Nazismo, così come quelle consumate da ogni ideologia nel corso della storia, non sono che «la punta culminante di una realtà ampia e diffusa», «i simboli estremi del male, dell’inferno che si apre sulla terra quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male». Eppure questo non impedì ai nazisti di usare per anni il nome di Dio ed elementi della fede cristiana per giustificare la loro ideologia e i loro crimini.
Lo fece a più riprese Hitler nel Mein Kampf, dove il Signore è menzionato 5 volte e Dio 20. Nel manifesto del Nazionalsocialismo, Hitler non solo si spinse a sostenere una sorta di ecumenismo di Stato – «per l’avvenire del mondo non importa che i cattolici vincano i protestanti o i protestanti i cattolici […]. Chi ha sentimenti nazionali ha il sacro dovere, ciascuno secondo il suo proprio credo, di fare in modo che non si parli solo della volontà di Dio, ma la si adempia e non si lasci profanare l’opera di Dio» – ma giunse a rivolgersi «nella fervida preghiera: a Dio onnipotente, benedici un giorno le nostre armi; sii giusto come sempre fosti; giudica ora se meritiamo la libertà; Signore, benedici la nostra lotta!».
Ad imitazione del Führer, anche la propaganda nazista per lunghi anni si avvalse della spiritualità per la mobilitazione delle masse. Prima dell’anti-religione di Stato, prima delle adunate notturne a Norimberga illuminate dai bracieri, ci fu il tentativo di strumentalizzare la fede cristiana. “Gott mit uns”, Dio è con noi, recitavano le fibbie delle cinture dei soldati del Reich, motto che nel medioevo fu dell’ordine teutonico. «Nel cinturone dei soldati del Führer c’era scritto “Gott mit uns”, Dio è con noi», commentò in proposito Enzo Biagi. «Hitler lo aveva arruolato; per fortuna disertò».
Era il Positives Christentum, il cristianesimo positivo del Nazismo, una falsa spiritualità originatasi in ambiente luterano ad uso della propaganda nazionalsocialista, privata di molti dei dogmi del cattolicesimo, infarcita di un ecumenismo male interpretato e assoggettata allo scientismo, al darwinismo e al vegetarianesimo fieramente sostenuti da Hitler. Lontano dai microfoni della propaganda, però, il Cristianesimo, ed in particolare il cattolicesimo, rimaneva per il Führer «il primo terrore spirituale», «il colpo più duro che l’umanità abbia ricevuto»1. Sostenuto dalla Reichskirche, la Chiesa evangelica tedesca, e dal movimento protestante dei Deutsche Christen, i Cristiani Tedeschi, il cristianesimo positivo accompagnò, insieme al neo-paganesimo e ad un sostanziale ateismo, l’intera storia del Nazismo. Accanto a quella di Albert Speer, di Alfred Rosenberg e di Heinrich Himmler si provò la strada del Reichsbischof Ludwig Müller, il vescovo del Reich della Chiesa evangelica tedesca. Le prime vittime? Gli ebrei, la Bibbia e gli stessi cristiani.
Nessuno storico presta ormai fede alla versione di un Hitler e di un Nazismo cristiani. Troppe e troppo profonde sono le contraddizioni fra il Nazismo e il Cristianesimo. Nonostante le dure e reciproche prese di posizione, però, le aderenze di alcune personalità cristiane – anche cattoliche – al Nazionalsocialismo costarono alla Chiesa decenni di accuse, se non di connivenza con i crimini nazisti, quantomeno di non aver fatto abbastanza per evitarli. A nulla valsero i numerosi martiri, come Massimiliano Maria Kolbe, uccisi in odium fidei insieme a migliaia di altri cristiani nei campi di sterminio; a nulla valsero la Mit brennender Sorge di Pio XI e il tentativo di Pio XII di spodestare Hitler; a nulla valsero i Galen, i Faulhaber e i Preysing; a nulla valse la consapevolezza dello stesso Hitler che «la Chiesa cattolica non ha che un desiderio: la nostra rovina»: per decenni e per i motivi più vari, lo stigma della complicità venne gettato sulla Chiesa e sui cristiani.
Il Nazismo fu mai cristiano? Sicuramente no. Adorò un proprio dio? Forse, ma certamente non il Dio della Bibbia. A noi rimane una lezione per provare a comprendere quello che resta un dato di fatto: che i recenti atti terroristici siano stati compiuti da persone che si sono tutte professate musulmane. Un elemento che merita una riflessione profonda, anche e soprattutto tra i fedeli musulmani, che coinvolga anche le molte resistenze che in taluni ambienti o in singole personalità ancora si registrano nel prendere le distanze dagli atti di violenza. Rimane da stabilire con quale grado di reale adesione o di folle dichiarazione di intenti i terroristi si dichiarino musulmani. Un aspetto tutt’altro che secondario, alla luce di una recente inchiesta del sito Zaman Al Wasl, vicino all’opposizione al presidente siriano Bashar al-Asad, che ha rivelato che il 70% delle persone reclutate dall’Isis ha una conoscenza soltanto basilare della sharia, la legge islamica, il 24% ha conoscenze intermedie e solo il 5% può vantare una conoscenza approfondita dell’islam. Come a dire che non basta proclamarsi qualcosa – o qualcuno – per esserlo davvero. Un adagio universale, vero non solo per la religione.
1. Martin Bormann, Conversazioni a tavola, 1941-1944.
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Il Sismografo