Giubileo delle Porte, ma anche delle bussole, per mantenere la rotta in vista del nuovo anno. Tre lezioni da uno degli elementi più ignorati nella chiesa.
L’abitudine non lo fa apprezzare e molti fedeli ne ignorano il nome e quasi l’esistenza. Eppure la bussola mantiene viva la sua vocazione ed è in grado di darci, nell’umiltà della funzione, qualche lezione con uno sguardo al nuovo anno.
Dal punto di vista architettonico, la bussola è quella sorta di anticamera, generalmente in legno, situata all’ingresso delle chiese, tra le porte che danno sull’esterno e quelle che danno verso l’interno, spesso con un portale centrale, più ampio, aperto solo in occasione di matrimoni e processioni. Nonostante alcune chiese ne siano sprovviste, specie se di recente costruzione, la bussola mantiene inalterate alcune funzioni di carattere pratico.
Nella cacofonia che sempre più spesso popola le città e i pensieri di chi le abita, la bussola frappone una doppia coppia di porte al fedele che entra o esce dalla chiesa, custodendo il silenzio di Dio dalla frenesia del mondo. «Lo stile del buon Dio non è fare lo spettacolo – ricordava papa Francesco il 9 marzo scorso nell’omelia della Messa mattutina a Casa Santa Marta – Dio agisce nell’umiltà, nel silenzio, nelle cose piccole». Questo sin dalla Creazione, quando il Signore non prese «la bacchetta magica», ma creò l’uomo «col fango»: è uno stile che attraversa «tutta la storia della salvezza», perché «così agisce il Signore: fa le cose semplicemente. Ti parla silenziosamente al cuore». La bussola custodisce così quello spazio al tempo stesso architettonico, liturgico ed intimo nel quale il silenzio si fa desiderio di un rinnovamento che nasce dall’incontro con Dio. Un silenzio attivo che non è indifferenza, come ha ricordato ieri il Pontefice in un nuovo tweet diffuso in occasione della solennità di santo Stefano, primo martire della Chiesa: «Preghiamo per i cristiani che sono perseguitati, spesso con il silenzio vergognoso di tanti».
Proprio per il suo aprirsi verso l’esterno, in questi giorni d’inverno la bussola ha inoltre la funzione di “camera d’aria” tra il calore della navata e il freddo di fuori. Nelle Chiese in cui manca non è infrequente venire colti dagli spifferi di una porta mal chiusa. Un compito di custodi – o generatori – di calore cui sono chiamati tutti i cristiani e specialmente i consacrati. «Sembra proprio che ogni città, anche quella che appare più florida e ordinata, abbia la capacità di generare dentro di sé una oscura “anti-città”», osservava papa Francesco nel suo discorso ai partecipanti al Convegno internazionale per i giovani consacrati, il 17 settembre scorso. «Sembra che insieme ai cittadini esistano anche i non-cittadini: persone invisibili, povere di mezzi e di calore umano, che abitano “non-luoghi”, che vivono delle “non-relazioni”. Si tratta di individui a cui nessuno rivolge uno sguardo, un’attenzione, un interesse». Ecco allora la vocazione che si fa «vicinanza alla gente, vicinanza fra noi; profezia con la nostra testimonianza, col cuore che brucia, con lo zelo apostolico che riscalda i cuori degli altri, anche senza parole», perché ognuno possa «riscoprire la gioia della tenerezza di Dio» (Bolla Misericordiae Vultus, 24).
La bussola funge infine anche da “bollettino parrocchiale”. Non è raro vederne le pareti colme di fogli e manifesti affissi: indicazioni di comportamento, avvisi, iniziative di gruppi e movimenti, pubblicazioni di matrimonio. Un luogo di inclusione e di comunicazione, dunque. E se il 2015 è stato l’anno dell’istituzione della Segreteria per la comunicazione, con mons. Dario Edoardo Viganò, già direttore del Centro Televisivo Vaticano, come prefetto, la comunicazione sia allora anche vera «scoperta e costruzione di prossimità», utile a «ridurre le distanze, venendosi incontro a vicenda e accogliendosi», come ha sottolineato papa Francesco nel suo messaggio per la 49ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali. Il rischio è infatti che «i media più moderni, che soprattutto per i più giovani sono ormai irrinunciabili» possano ostacolare la comunicazione in famiglia e tra famiglie quando «diventano un modo di sottrarsi all’ascolto, di isolarsi dalla compresenza fisica, con la saturazione di ogni momento di silenzio e di attesa disimparando che “il silenzio è parte integrante della comunicazione e senza di esso non esistono parole dense di contenuto” (Benedetto XVI, Messaggio per la 46ª Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, 24 gennaio 2012)».
Proprio in virtù della sua collocazione periferica, la bussola si fa luogo della chiesa che si apre a chi entra, a chi esce, a chi si trova soltanto a passare. Come la Chiesa, che secondo il Pontefice deve essere in grado di «accogliere tutti senza giudicare nessuno», nella consapevolezza che «il nostro giudice è il Signore», come ha ricordato lo scorso 5 settembre nell’udienza ai membri delle Cellule Parrocchiali di Evangelizzazione. Una Chiesa pronta a farsi prossima alle periferie, come nel Giubileo della misericordia, locale e decentrato, quasi aperto a Bangui prima che a Roma, ultima tappa del primo viaggio di papa Francesco in Africa, «come pellegrino di pace» e «apostolo di speranza».
Ecco allora che con le sue porte, talvolta sante, la chiesa è in grado di farci ritrovare insieme la bussola e l’orientamento, perduti tra i flutti nella degenerazione relativista e individualista del modello di vita occidentale, fra il crollo dell’economia che piega e piaga l’umanità e quello delle false certezze di invulnerabilità che pretendono di spostare la guerra sempre un po’ più lontano di quanto non sia, oltre il rassicurante orizzonte del quotidiano. Un invito ad andare oltre e ad «infrangere il muro di anonimato e di indifferenza che spesso regna sovrano nelle città».
Nell’immagine: Henry Ossawa Tanner, I discepoli vedono Cristo camminare sull’acqua, 1907, Des Moines (Usa), Des Moines Art Center.
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Il Sismografo