Nuova traduzione del Padre Nostro. Il vero problema non è quel “non indurre”

Leggi in 4 minuti

Continua a far parlare di sé la nuova edizione del Padre Nostro approvata a larga maggioranza dalla Conferenza episcopale italiana pochi giorni fa, nell’ambito di una più ampia revisione del Messale Romano. Se per l’effettiva adozione del nuovo testo si andrà con ogni probabilità al 2019 (si attende la valutazione della Santa Sede), la discussione, con sentimenti opposti, ha ormai raggiunto i fedeli, mischiandosi ad una buona dose di falsa informazione. Questa la versione più diffusa: papa Francesco ha cambiato il Padre Nostro. E poco importa che negli anni – almeno 16 di riflessione – l’adeguamento della preghiera cristiana per eccellenza abbia incassato il sostegno di personalità quali Benedetto XVI e i cardinali Giacomo Biffi e Carlo Maria Martini.

Diverso il caso di quanti, invece, vorrebbero spostare il confronto sull’opportunità teologica o linguistica del nuovo testo. Fra questi, il prof. Franco Ometto, docente di Islamistica sciita presso il Pontificio Istituto di Studi Arabi e Islamici di Roma, nonché di Linguistica e lingue moderne nelle università statali dell’Iran e di Teologia cristiana negli atenei islamici di Qum, sempre in Iran. A lui si deve anche la traduzione del Catechismo della Chiesa cattolica dal Latino al Persiano. Che, dal canto suo, assicura: rispetto al Padre Nostro «l’attenzione dei vescovi dovrebbe essere focalizzata non sul verbo inducas quanto sul termine tentatio, che al tempo di san Girolamo significava “esame”, “prova”». Del prof. Ometto l’intervento che segue, che ricevo e pubblico integralmente.

+++

Finalmente i saggi vescovi ci hanno liberato da quel Padre ambiguo che prima ci rimette le colpe e subito dopo potrebbe indurci nella tentazione di peccare. Così è stato rifiutato quell’antipatico “indurre” ed è stato stato sostituito con un più blando “abbandonare” trovato chissà dove. Qui qualcosa non quadra, non certo da parte di Gesù, di Matteo, di Luca o di Girolamo, che hanno univocamente usato un verbo inequivocabile: “induco” (o eisfero). Non ci saremo per caso sbagliati noi, accanendoci su quel verbo “indurre”? Voi ci credete che “Dio non tenta nessuno al male” (Gc 1,13), cioè, non vuol farci cadere nel male; tutt’al più non ci sottrae alle prove (tumori, morte di un figlio, ingiustizie…) ma ci dà la forza di sopportarle (1Cor 10,13).

Leggi anche:  Chi c’è dietro a Dignitas infinita 2/2

Ecco allora cosa chiediamo al Padre in buon italiano: di non metterci alla prova, come fece con Giobbe o Abramo, perché siamo troppo fragili e potremmo soccombere: allora ci gettiamo nelle Sue braccia. Del resto è Lui stesso che ci invita a pregare di fronte a prove durissime (Mt 24,20). Anche perché sappiamo che Lui è solito affliggere con prove coloro che ama (Ap 3,19).

Consideriamo con più attenzione il termine tentatio, che ai tempi di Girolamo, non certo uno sprovveduto in materia, significava principalmente e comunemente “esame” o “prova”. Il Pater è il prezioso testamento di Gesù: non si può cambiare una sola parola in un testamento, soprattutto in questo. E poi… le mie parole non passeranno (Mc 13:31)?! Comunque i saggi vescovi non si offendano se non mi fido delle loro conoscenze di latino e relative traduzioni (che traduzioni non sono, ma pie trovate).

Franco Ometto

Restiamo in contatto

Iscriviti alla newsletter per aggiornamenti sui nuovi contenuti

© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.

Sostieni Caffestoria.it


2 commenti su “Nuova traduzione del Padre Nostro. Il vero problema non è quel “non indurre””

  1. Il vero problema non è la traduzione del Padre nostro, visto che dal 2008 nel lezionario della Messa si dice già “non abbandonarci nella tentazione”. Al di là delle traduzioni il vero problema sono i cosiddetti “tradizionalisti anti-bergogliani” che, sebbene minoranza, non colgono occasione per attaccare il Pontefice nel tentativo di deligittimarlo. E’ vero che nello stesso periodo il Santo Padre ha esposto il suo pensiero in merito, ma è un dato acquisito da decenni, non una novità sua. Invece, i vescovi italiani è dal 2001 che non sono riusciti a mettersi d’accordo sulla traduzione della III edizione tipica del Messale Romano dal latino in italiano. Ora finalmente siamo alla conclusione di questo lungo processo che dovrebbe avere il via libera dalla Curia Romana rapidamente, perché il Papa ha recentemente emanato una disposizione esecutiva per cui la Curia deve solo verificare che nei testi non ci siano errori nella dottrina cattolica e non imporre una traduzione piuttosto che l’altra.

    Rispondi
  2. La concentrazione che sarebbe quella autentica sul “tentare” e dover chiedere come dice lei di mi sembra alquanto inverosimile perché sarebbe come chiedere a Dio di crearci senza naso, occhi o cuore visto che appunto prove senza fine non sono risparmiate a nessuno, morte inclusa. In italiano “indurre” ha un senso senz’altro costrittivo. Così se io porto un ex alcolista in un Bar o nel settore alcolici di un suoermercato lo sto quasi costringendo (inducendo) nelle braccia del suo problema. “non abbandonarci” è a livello letterale meno esatto per tradurre eisfero ma esprime magistralmente un duplice senso: non lasciarci antrare nella tentazione (cioè chiediamo la forza, la luce, per ebvitare quelle che una volta venivano chiamate “occasioni prossime di peccato”) ma anche “non farci soccombere nella tentazione se a causa dei nostri peccati vi siamo già dentro. Un capolavoro di equilibrio.

    Rispondi

Lascia un commento

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Skip to content