Ad Assisi si parlerà di religioni, rigorosamente declinate al plurale. Il Cristianesimo, però, non è una religione: parola di Francesco e Martini. E anche di Giacomo Biffi. Che amava raccontare una storia…
«Il Cristianesimo, in sé, non è una concezione della realtà, non è un codice di precetti, non è una liturgia. Non è neppure uno slancio di solidarietà umana, né una proposta di fraternità sociale. Anzi, il Cristianesimo non è neanche una religione. È un avvenimento, un fatto. Un fatto che si compendia in una Persona. Oggi si sente dire che in fondo tutte le religioni si equivalgono perché ognuna ha qualcosa di buono. Probabilmente è anche vero. Ma il Cristianesimo, con questo, non c’entra. Perché il Cristianesimo non è una religione, ma è Cristo. Cioè una Persona». A scriverlo il compianto card. Giacomo Biffi, arcivescovo di Bologna.
Martini: l’iniziativa di Dio
Una posizione forse impopolare, ma tutt’altro che isolata. Forse non molti ricordano che il card. Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano, per alcuni anni tenne una rubrica epistolare sul Corriere della Sera, “Lettere al cardinale Carlo Maria Martini”, interrotta solo pochi mesi prima della sua morte. Nel giugno 2010, sollecitato dalla domanda di un lettore sulla molteplicità delle religioni, Martini scrisse: «Le religioni sono un tentativo dell’uomo di mettersi in rapporto con la divinità. Per questo assumono dalle civiltà circostanti molti dei loro segni espressivi, simboli, temi, parabole ecc. con cui esprimono la loro ricerca. Perciò la storia delle religioni è anche la storia del loro legame con le diverse culture. Naturalmente anche il Cristianesimo assumerà qualcuno di questi segni e simboli. Ma il Cristianesimo è molto più di una religione: esso nasce dall’iniziativa divina di entrare in contatto con l’uomo e di rivelargli sé stesso».
Francesco: non solo idee, ma testimonianza
Di nuovo un fatto, dunque. E del quale rendere testimonianza. «Non si può capire un cristiano senza che sia testimone», spiegava qualche tempo fa papa Francesco, riflettendo da Santa Marta sul martirio di tanti cristiani. «Noi non siamo una “religione” di idee, di pura teologia, di cose belle, di comandamenti. No, noi siamo un popolo che segue Gesù Cristo e dà testimonianza – ma vuol dare testimonianza di Gesù Cristo – e questa testimonianza alcune volte arriva a dare la vita». Da qui la concezione della Chiesa non come «università della religione», ma come popolo che segue Cristo, anche fino al martirio. Un tema sul quale il Pontefice è tornato pochi giorni fa, in occasione della celebrazione eucaristica dedicata alla memoria di padre Jacques Hamel, ucciso nella chiesa di Saint-Étienne-du-Rouvray il 26 luglio scorso.
Giovanni Paolo II: non un profeta, ma Dio stesso
In questo senso il Cristianesimo è un caso unico. Nel loro annunciare il divino agli uomini – con maggiore o minor successo – Maometto, Buddha e i fondatori delle diverse religioni si sono resi in qualche modo profeti. Non è così per Cristo. Lo spiega bene Giovanni Paolo II nella lettera apostolica Tertio millennio adveniente, uno sguardo gettato alla Chiesa del nuovo millennio e del Giubileo del 2000. In Cristo – è detto nella lettera apostolica – la pedagogia divina iniziata con l’elezione del popolo di Israele «raggiunge la sua meta: Egli infatti non si limita a parlare “a nome di Dio” come i profeti, ma è Dio stesso». In questo senso, prosegue Giovanni Paolo II, «tocchiamo qui il punto essenziale per cui il Cristianesimo si differenzia dalle altre religioni, nelle quali s’è espressa sin dall’inizio la ricerca di Dio da parte dell’uomo. Nel Cristianesimo l’avvio è dato dall’Incarnazione del Verbo. Qui non è soltanto l’uomo a cercare Dio, ma è Dio che viene in Persona a parlare di sé all’uomo ed a mostrargli la via sulla quale è possibile raggiungerlo».
Cristianesimo: religione e cultura
Si parla certo, e a ragione, di religione cristiana, di religione cattolica. Anche il Cristianesimo ha avuto e continua ad avere il proprio legame con la cultura nella quale si è originato e nella quale è oggi inserito. Una cultura che ha dato al Cristianesimo preghiere, liturgie, dottrina. In questo senso c’è tutto il «tentativo dell’uomo di mettersi in rapporto con la divinità». Né hanno avuto successo le contrapposizioni tra fede e religione che alcuni teologi, come gli evangelici Karl Barth e Dietrich Bonhoeffer, hanno teorizzato nel corso della storia. Giudicando la religione – nel suo complesso di riti, dottrine, valori – come un semplice comportamento arbitrario dell’uomo, hanno proposto la via di un Cristianesimo “senza religione”, finendo talvolta con l’approdare alla superficialità – parola di Francesco – dello gnosticismo, tanto di moda al nostro tempo.
“Religioni” al servizio del potere politico
Il Cristianesimo non appartiene ad alcuna civiltà, diceva Pio XII. Facendo spaziare lo sguardo sull’attuale panorama mondiale, non sfugge che dopo il collasso delle ideologie e nella fragilità della cultura laica, sia diffusa e crescente la pretesa di utilizzare “le religioni” – rigorosamente declinate al plurale – come stampella per i più disparati progetti politici, su questa e sull’altra sponda dell’Atlantico. Se Obama «ha determinate idee che non possiamo condividere» e Putin è un uomo «toccato dalla necessità della fede», come rivela Benedetto XVI nelle sue Ultime Conversazioni, da che mondo è mondo Cesare ha sempre tradito Cristo. Prescindere da Cristo per esaltare supposti “valori umani” più facilmente condivisibili dalla grande platea propensa all’applauso, significherebbe per i cristiani tradire sé stessi. E non solo.
Che piaccia o no, Cristo ha detto di essere Dio. Delle due l’una: o era pazzo o quello che diceva di essere è vero. Non ci sono vie di mezzo. Attenzione, però: se quello che dice è vero, allora cambia davvero tutto. Il card. Biffi amava raccontare una storia. «Quando facevo scuola a Milano all’Istituto di pastorale ho fatto lezione sulla resurrezione di Cristo. Finita la lezione una signora si avvicina e fa: “Ma lei vuol proprio dire che Gesù è vivo?”. “Sì signora, che il suo cuore batte proprio come il suo e il mio”. “Ma allora bisogna proprio che vada a casa a dirlo a mio marito”. “Brava signora, provi ad andarlo a dire a suo marito”. Il giorno dopo la signora torna da me e mi dice: “Sa, l’ho detto a mio marito”. “E lui?”. “Mi ha risposto: ma va’, avrai capito male”. Notate che quella era una catechista. Eppure era sconcertata. Io le faccio avere la registrazione della lezione, lei la fa sentire a suo marito e lui, alla fine crolla: “Ma se è così, cambia tutto!”. Pensateci e ditemi se non è vero: se quell’uomo, bello, eccezionale, è davvero Dio e se è ancora tra noi, allora cambia davvero tutto».
Nell’immagine: Eugène Burnand, I discepoli Pietro e Giovanni accorrono al sepolcro la mattina della Resurrezione, 1898, Parigi, Museo d’Orsay.
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