Si è insediato nel pomeriggio di oggi il nuovo arcivescovo di Ferrara-Comacchio, mons. Gian Carlo Perego. Fra storia, arte e due Concili, una mano tesa all’Oriente.
Dall’abbondante pioggia del giorno dell’ordinazione episcopale, il 6 maggio scorso a Cremona, al sole che allunga sulla piazza le ombre della cattedrale di San Giorgio, a Ferrara, all’esterno fasciata nelle impalcature, eredità del terremoto, all’interno splendida di sfarzo barocco. «Nelle sue ferite quelle di tante comunità, famiglie e persone, per il lavoro che manca o non è degno, la solitudine», ha sottolineato all’inizio dell’omelia mons. Perego. Clima torrido e programma fitto accompagnano l’ingresso del nuovo Arcivescovo nella diocesi di Ferrara-Comacchio. Meteo a parte, sono molti gli elementi di continuità rispetto all’ordinazione di inizio maggio, che dicono sempre più del nuovo Arcivescovo e del suo futuro episcopato.
Apertura eccleasiale
L’attenzione agli ultimi – prevedibile in un direttore uscente della Fondazione Migrantes – ha trovato oggi una sponda nel rito dell’immissione nel ministero episcopale presieduto dall’arcivescovo metropolita di Bologna, mons. Matteo Zuppi – «la Chiesa è sempre un cantiere, non ci stanchiamo di gettare reti, migranti lo siamo tutti». Numerosi gli esponenti del clero presenti, dal parroco di Agnadello, don Mario Martinengo, a mons. Luigi Negri, incaricato del passaggio di testimone e da oggi formalmente arcivescovo emerito. Un ministero episcopale, il proprio, che Negri ha definito come giunto «in una vecchiaia strana, piena di forze fisiche, morali e intellettuali e di capacità di lavoro». A testimoniare l’apertura ecclesiale voluta dal nuovo Arcivescovo nello spirito del Concilio Vaticano II sono stati però i rappresentanti del clero locale, una famiglia con quattro figli, il giovane Francesco, suor Graziana delle Suore della Carità di santa Giovanna Antida Thouret e la presidente diocesana dell’Azione Cattolica, Chiara Ferraresi. Eucaristia, ascolto-annuncio della Parola e carità, come nelle tre porte della Cattedrale, sono le tre parole chiave della prima omelia del nuovo Arcivescovo.
Arte e memoria fra due Concili
Ancora più significativa è la riproposizione della memoria, uno dei tratti della storia e della personalità di mons. Gian Carlo Perego. La presenza di sacerdoti di rito cattolico-greco e ortodossi, già intervenuti in occasione dell’ordinazione, è stata infatti valorizzata dall’esposizione di una croce risalente al Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze. Una concessione alla storia, come già il 6 maggio scorso con il pastorale che fu del vescovo di Cremona Geremia Bonomelli, ma soprattutto una mano tesa ad Oriente. «Oriente e Occidente, i due polmoni della Chiesa», ha ribadito mons. Perego. Uno degli elementi – alcuni dicono pochi – di continuità con l’episcopato di mons. Negri. Una Chiesa «libera, povera e bella», come sognata anche dal domenicano Savonarola e da numerosi altri esponenti del clero e del laicato, «che guarda a Gerusalemme, all’ecumenismo e al dialogo interreligioso», ha aggiunto l’Arcivescovo.
Fra storia e fallimento
Tutt’altro che un pezzo di storia locale, il Concilio di Basilea, Ferrara e Firenze rappresenta infatti una delle pagine più importanti – e a suo modo fallimentari – della storia della Chiesa. Convocato nel 1431 da papa Martino V, ma effettivamente aperto del suo successore Eugenio IV, al centro del Concilio si collocò il desiderio di riconciliazione fra cattolici e ortodossi, superando lo Scisma d’Oriente del 1054. Cosa che in effetti riuscì, almeno per qualche tempo. Inizialmente convocato a Basilea ed impegnato nel contrasto all’eresia hussita, nel 1438 il Concilio venne trasferito per volontà del Pontefice dalla Svizzera all’Italia in aperta polemica con i conciliaristi. Alcuni di essi, fra i quali un cardinale, rimasero in effetti a Basilea, dichiarando decaduto papa Eugenio IV ed eleggendo al suo posto un antipapa, Felice V. Una questione che sarebbe stata risolta una decina d’anni dopo, con le dimissioni spontanee di quest’ultimo.
Da Basilea a Ferrara
Nel 1438 a Ferrara il Concilio riprese invece all’insegna del riavvicinamento fra Chiesa d’Occidente e d’Oriente. Della nutrita delegazione bizantina, ricca di esponenti dell’alto clero ortodosso e di teologi, facevano parte anche il patriarca di Costantinopoli Giuseppe II e l’imperatore Giovanni VIII Paleologo, interessato a guadagnarsi l’appoggio dell’Occidente in funzione anti-turca. Il Concilio si sarebbe rivelato un evento storico anche per gli artisti italiani, sedotti dalla ricchezza liturgica e dall’esotismo dell’abbigliamento degli Orientali, che fece dell’incontro uno dei momenti chiave del Rinascimento italiano, come dimostrano i pregevoli affreschi di Benozzo Gozzoli nella Cappella dei Magi di palazzo Medici Riccardi a Firenze.
E da Ferrara a Firenze
Nonostante l’abbandono di Ferrara a causa della peste, sul piano più strettamente ecclesiastico la riappacificazione fra le due Chiese sembrò finalmente raggiunta a Firenze nel 1439, con la felice sigla del decreto Laetentur coeli, che segnava la riunificazione fra greci e latini, alla quale in seguito si sarebbero aggiunte quelle con siri, copti ed armeni. Purtroppo, però, la storia aveva altro in serbo.
Facilitato dalla ragion di Stato, l’accordo si rivelò incapace di garantire a Costantinopoli il necessario aiuto contro l’avanzata turca e nel 1453 la capitale dell’Impero fu conquistata dagli Ottomani. La sua caduta segnò la fine di ogni immediata speranza di riconciliazione. I risultati raggiunti dal decreto rimasero, infatti, in buona parte inapplicati. Soltanto i regni di Ungheria e di Polonia si impegnarono a promuovere in concreto le conquiste del Concilio, guadagnando a Roma importanti comunità ortodosse locali, che da allora costituiscono le Chiese uniate. Ad Oriente, le forti resistenze anti-latine e la riproposizione delle differenze dottrinali con l’Occidente vanificarono invece l’intesa raggiunta a Firenze. Era il ritorno del Grande Scisma.
Nell’immagine: Benozzo Gozzoli, Cappella dei Magi (particolare del presunto ritratto di Giovanni VIII Paleologo), 1459 c., Firenze, Palazzo Medici Riccardi.
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