La chiesa di San Fedele, nel centro di Milano, nasconde tesori artistici, tradizioni dimenticate e polemiche mai sopite. Frequentata da Alessandro Manzoni e dalle ballerine della Scala, merita una scoperta. E qualche “sacrificio” contemporaneo.
Piazza San Fedele è uno degli scorci di Milano che non ti aspetti. Il centro della città, con il suo affastellarsi di palazzi storici, non concede molto allo spazio. Anche per questo arrivare nella piazza sia dalla principale via Tommaso Marino che da una delle più laterali via Agnello o via Case Rotte fa il suo effetto, con la piazza e la chiesa che sembrano aprirsi improvvisamente con la solenne intimità di un palcoscenico. E, in effetti, le atmosfere teatrali rimandano in qualche modo ad un pezzo di storia della chiesa.
Costruita nel Cinquecento per volontà di Carlo Borromeo al fine di ospitarvi la Compagnia di Gesù, la chiesa di San Fedele ne è oggi la roccaforte storica e culturale in città. Solenne e armoniosa, influenzata dal nascente barocco, alla chiesa lavora soprattutto Pellegrino Tibaldi, architetto prediletto dell’Arcivescovo di Milano, e non stupisce che l’edificio sia considerato il modello dell’architettura sacra della Controriforma. La facciata, impreziosita dalle colonne in pietra d’Angera donate da Carlo Borromeo, il lato sinistro della chiesa, ricco di modanature, le grandi colonne di granito rosa di Baveno e il coro e i confessionali cinquecenteschi dell’interno non sono che alcuni dei tesori d’arte dai quali lasciarsi sedurre. Per gli amanti dell’arte contemporanea, opere di questo filone sono sparse qua e là nei vari ambienti della chiesa e nell’attiguo museo. Per gli altri c’è da sopportare qualche sacrificio.
La posizione centralissima e al contempo appartata di San Fedele, alle spalle di Palazzo Marino, sede del Comune di Milano, e a due passi dal Duomo, ne fanno uno dei simboli della haute société milanese. Tra le più assidue – e peculiari – frequentatrici ci sono le ballerine del vicino Teatro alla Scala, che per lunghi anni approfittano di un ingresso riservato (ora chiuso) in via Case Rotte che consente loro di accedere alla chiesa senza attraversare la grande navata. La “loro” cappella si trova in un angolo dell’edificio, oltrepassata la sacrestia. A quest’ultima – secentesca, ricca di straordinarie opere lignee – si accede percorrendo la navata lungo il lato destro fino ad un varco, passato il Redentore in ceramica di Lucio Fontana.
Attraversata la sacrestia, si giunge nella cappella della Madonna dei Torriani, riccamente decorata, che custodisce l’affresco di una Virgo Lactans (galaktotrophousa). Protettrice in origine dei condannati a morte, a causa dei fatti sanguinosi che coinvolsero la famiglia Torriani, è questa oggi la “Madonna delle ballerine” della Scala, che da oltre un secolo accoglie speranze, preghiere, candele e fiori di étoile e giovani allieve dell’Accademia. Da Liliana Cosi a Carla Fracci, difficile che le maggiori danzatrici italiane ed internazionali non siano passate di qui. Si dice che nell’Ottocento gli altari della chiesa fossero perennemente adornati dai fiori devotamente “riciclati” da Fanny Elssler, alla quale gli ammiratori ne inviavano in quantità.
Artista nel suo campo e assiduo frequentatore di San Fedele fu anche Alessandro Manzoni, che a quel tempo viveva in via Morone, a pochi passi dalla chiesa. Qui lo scrittore aveva il proprio confessore, don Adalberto Catena, ricordato anche in una targa in bronzo alla sinistra dell’altare maggiore, opera dello scultore Luigi Secchi e raffigurante L’ultima Comunione di Alessandro Manzoni. Per anni lontano dalla religione e infine devotissimo, presso la chiesa di San Fedele Manzoni non trova soltanto quel «principio di grazie continue e di non interrotte benedizioni» che è l’Eucaristia, come scrive alla figlia Vittoria in occasione della sua Prima Comunione, ma anche il conforto della fede e il piacere di impartire il catechismo ai fanciulli della parrocchia.
A San Fedele è però legata anche la pagina più triste della vita dell’autore dei Promessi sposi. All’uscita della chiesa, infatti, il 6 gennaio 1873 lo scrittore cade, battendo la testa su uno degli scalini. Manzoni sembra riprendersi, ma in poche settimane l’incidente si risolve al peggio, conducendolo dapprima in uno stato catatonico – aggravato dalla scomparsa del figlio maggiore Pier Luigi, avvenuta il 28 aprile – e infine alla morte, il 22 maggio. In occasione del primo decennio della scomparsa viene eretta la statua in bronzo, opera dello scultore Francesco Barzaghi, che troneggia tuttora nella piazza antistante la chiesa.
Il rapporto di Alessandro Manzoni con i Gesuiti – così come con la fede cattolica – è complesso e dibattuto. Dopo la sua morte dalle pagine della Civiltà cattolica si tuona contro le esaltazioni e le strumentalizzazioni postume della sua figura, in special modo da parte dei liberali. «Cicalate, dove, a proposito del Manzoni, naufragò in questi giorni tanta grammatica, tanta logica, tanto buon gusto e tanto buon senso». Polemiche non esaurite, se ancora nel 1998 il gesuita Giandomenico Mucci, dalle pagine della medesima rivista, parla di una «congiura sia da parte della cultura illuministico-borghese sia da parte di quella marxista» contro la memoria di Manzoni, che «dopo la sua conversione religiosa, volle essere e fu, in tutti i suoi scritti, uno scrittore cattolico». A voi la scelta se lasciarvi torturare – si fa per dire – dalle polemiche o dallo Svelamento di Jannis Kounellis.
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Ciao. Ho trovato l’articolo molto interessante ☺
Grazie Gianluca