Negli ultimi giorni una doppia distanza separa la Roma di Francesco dalla Germania del card. Reinhard Marx: quella fra il Papa e un altro Marx, il filosofo del Comunismo. Se Treviri deve essere, meglio, allora, sant’Ambrogio.
La Chiesa in Germania fa parlare di sé, e non soltanto per il dibattito sulla possibilità di accedere all’Eucarestia per gli sposi non cattolici nei matrimoni misti, questione ancora tutt’altro che risolta. La dichiarazione, va detto, è di quelle in grado di fare notizia: senza Karl Marx, non ci sarebbe stata alcuna dottrina sociale cattolica. A dirlo, in un’intervista al giornale domenicale Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung del 30 aprile scorso, il card. Reinhard Marx, arcivescovo metropolita di Monaco e Frisinga, nonché presidente della Conferenza episcopale tedesca e coordinatore del Consiglio per l’economia. Occasione, i 200 anni dalla nascita del filosofo ed economica tedesco, considerato uno dei padri delle ideologie socialiste e comuniste.
Certo il card. Marx non è dimentico di papa Leone XIII, indicato a buon titolo come il “padre” della dottrina sociale della Chiesa, e la sua riflessione appare più ampia e circostanziata rispetto alle poche battute riferite dalla stampa internazionale, ma tanto è bastato per lasciare intendere una sintonia fra i due omonimi, il Marx filosofo e il Marx cardinale. E che questa sintonia non si fermi a Treviri, città natale del primo e della quale il secondo è stato vescovo fra il 2001 e il 2007.
Una vicinanza, però, non condivisa da papa Francesco, che nei giorni scorsi – nonostante le strumentali accuse di “comunismo” che da tempo gli vengono mosse – ha preso le distanze da quella che definisce la «pretesa marxista di collocare il cielo sulla terra, la redenzione dell’uomo nell’aldiqua – dalla differenza abissale che sussiste riguardo al come la redenzione debba avvenire» e che rigetta di fatto la dipendenza dell’uomo da Dio e dalla Sua misericordia. Parole che non lasciano spazio a dubbi e che sono contenute nella prefazione che il Pontefice ha scritto per il libro che raccoglie le riflessioni di Benedetto XVI sul rapporto tra fede e politica, Liberare la libertà. Fede e politica nel terzo millennio (Editrice Cantagalli).
Un errore, quello di Karl Marx, che ricorda da vicino l’eresia di un moderno pelagianesimo, contro la quale si è più volte espresso Francesco. «Questi apparenti “diritti” umani che sono tutti orientati all’autodistruzione dell’uomo – prosegue Francesco nella prefazione – hanno un unico comune denominatore che consiste in un’unica, grande negazione: la negazione della dipendenza dall’amore, la negazione che l’uomo è creatura di Dio, fatto amorevolmente da Lui a Sua immagine e a cui l’uomo anela come la cerva ai corsi d’acqua (Sal 41)». Una posizione pienamente concorde con quella di un altro illustre nativo di Treviri, sant’Ambrogio, in questi anni più volte ricordato da Francesco. Proprio rispetto alla dipendenza dell’uomo da Dio, poche settimane fa il Papa ha ricordato con il grande vescovo di Milano che «Gesù perdona sempre. Gesù non si stanca di perdonare. Siamo noi a stancarci di chiedere perdono. Proprio pensando al valore salvifico di questo Sangue, sant’Ambrogio esclama: “Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina”».
Di Karl Marx, comunque, non si può dire soltanto male. Nel 2007 lo stesso Benedetto XVI nell’enciclica Spe salvi riconosce al filosofo tedesco di avere «descritto la situazione del suo tempo ed illustrato con grande capacità analitica le vie verso la rivoluzione». Proprio con la vittoria del Comunismo, però, «si è reso evidente anche l’errore fondamentale di Marx. Egli ha indicato con esattezza come realizzare il rovesciamento. Ma non ci ha detto come le cose avrebbero dovuto procedere dopo», spiega l’oggi Pontefice emerito nell’enciclica. «Egli ha dimenticato che l’uomo rimane sempre uomo. Ha dimenticato l’uomo e ha dimenticato la sua libertà. Ha dimenticato che la libertà rimane sempre libertà, anche per il male. Credeva che, una volta messa a posto l’economia, tutto sarebbe stato a posto. Il suo vero errore è il materialismo: l’uomo, infatti, non è solo il prodotto di condizioni economiche e non è possibile risanarlo solamente dall’esterno creando condizioni economiche favorevoli».
Anche a proposito della concezione materialista dell’uomo, nel 2016 Francesco torna a fare riferimento a sant’Ambrogio, ricordandone un testo sul biblico Nabot, privato con violenza della sua vigna da Gezabele, moglie del re di Samaria. Un libro «che ci farà bene leggere, perché è un libro di attualità. Non è una storia di altri tempi, è anche storia d’oggi, dei potenti che per avere più soldi sfruttano i poveri, sfruttano la gente. È la storia della tratta delle persone, del lavoro schiavo, della povera gente che lavora in nero e con il salario minimo per arricchire i potenti. È la storia dei politici corrotti che vogliono più e più e più!». Come a dire che, perduta la dimensione del servizio, «il potere si trasforma in arroganza e diventa dominio e sopraffazione». Al pari della dottrina, anche politica, che se è privata dell’amore diviene ideologia.
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1 commento su “Fra quei due di Treviri, Francesco preferisce il santo”