Papa Francesco e la Disney. Ma sarebbe più corretto dire la Santa Sede e la Disney: una fascinazione vecchia di anni, che si rinnova con qualche scelta. E il rischio di alcune ombre.
Basta un breve riferimento, in un articolo a firma di Franca Giansoldati per Il Messaggero, per riportare alla memoria più di un ricordo. Scrive la Giansoldati, per spiegare l’ultima “fuga” del Santo Padre dal Vaticano, direzione ex Lanificio Luciani di Via di Pietralata, a Roma: «Per Francesco quel giorno era molto importante, aveva in agenda un appuntamento ancora più segreto di quella trasferta in incognito, doveva incontrare una troupe televisiva e un gruppo nutrito di ragazzi ispanofoni. Per quattro ore ha risposto alle loro domande facendosi registrare. Quel materiale confluirà in un grande progetto della Disney, un film centrato sulle grandi idee che sono state portate avanti nel suo pontificato». E aggiunge: «All’origine di questo progetto c’è il colosso Disney, scelto da papa Francesco e approvato da lui personalmente».
Una Chiesa da film
Che il Pontefice ami il cinema – ricambiato – è fuor di dubbio. Lo testimoniano le molte citazioni dal grande schermo, a cominciare dalla Gelsomina (Giulietta Masina) de La strada di Fellini fino alle recenti produzioni Netflix e ai documentari Papa Francesco – Un uomo di parola di Wim Wenders e In viaggio di Gianfranco Rosi e Rai Cinema.
Ma con la Disney, negli ultimi anni, il rapporto della Santa Sede è andato ben al di là di qualche lampo di riflettore. «Per la riforma dei media vaticani abbiamo preso il modello di management della Walt Disney», dichiarava nel 2016 con orgoglio (e suscitando parecchie perplessità) l’allora prefetto della Segreteria della Comunicazione, mons. Dario Edoardo Viganò. Che chiariva: «Lo abbiamo trasformato declinandolo con il principio fondamentale che è quello apostolico». Il tutto, «in modo professionale: prima ancora dell’etica ci vuole la professione. Anzi se c’è la professione non serve l’etica».
Si era ai tempi della cosiddetta riforma “a cipolla” dei media vaticani: perché fatta a strati e «perché ogni riforma, come la cipolla, fa sempre piangere qualcuno». E forse non era un caso che, l’anno precedente, i personaggi Disney – costumi e gommapiuma – avessero fatto il loro ingresso in Vaticano per l’incontro di Francesco con bambini e ragazzi della manifestazione promossa dalla Fabbrica della Pace. Sulla Disney mons. Viganò era tornato un paio di anni dopo, quando la montagna della rivoluzione mediatica rischiava già di partorire il topolino. Anzi, il Topolino. «Nelle prime presentazioni della riforma ho citato spesso il modello Disney, suscitando ovviamente, e anche sorprendentemente allo sguardo di chi conosce le questioni metodologiche della conoscenza, qualche ilarità». Pardon, notre faute.
Disney e propaganda del pensiero unico
Ma la Disney non è una multinazionale come le altre. Fin dalla sua creazione, nel 1923, l’azienda e i suoi fondatori, Walt e Roy Disney, hanno attraversato la storia degli Stati Uniti e del resto del mondo tutt’altro che da spettatori, e per nulla esenti da polemiche. Massoneria, antisemitismo, razzismo e sessismo sono soltanto alcune delle accuse mosse a Walt Disney – e, di riflesso, al colosso dell’intrattenimento – nel corso degli anni.
Complesso giudicare a posteriori uomini ed epoche, ma non si può certo dire che alla Disney si sia fatto molto per smarcarsi da un’eccessiva condiscendenza verso gli stereotipi e il pensiero dominante del tempo. Che oggi ha un nuovo obiettivo, anzi una vera e propria “agenda”. «Gli showrunner (responsabili di una serie televisiva, ndr) sono stati super-accoglienti verso la mia agenda-gay-nulla-affatto-segreta», rivela in un video una produttrice esecutiva e autrice Disney, Latoya Raveneau. Che ammette alcune resistenze in passato in merito all’inserimento di elementi LGBT+ nei contenuti per il pubblico più giovane, ma che oggi si dice «piacevolmente sorpresa» e di aver sperimentato «quel senso di “Non devo aver paura di avere questi due personaggi che si baciano sullo sfondo”. Stavo solo, ovunque potevo, aggiungendo queerness (letteralmente, “stravaganza”, ma qui nel senso attribuitogli dal mondo LGBT+, ndr). Nessuno mi avrebbe fermato, e nessuno stava cercando di fermarmi».
Verso il politicamente corretto, e oltre
Fatta salva una parte del pubblico, eventualmente. Ultime, in ordine di tempo, le polemiche suscitate dalla retorica gay-friendly, dai baci saffici e dagli ammiccamenti alla fecondazione artificiale inseriti nell’ultimo film di animazione di casa Disney, Lightyear – La vera storia di Buzz, mediocre spin-off dell’indimenticabile e pluripremiato Toy Story. A dar battaglia non soltanto una fetta di spettatori occidentali, ma anche parte del mondo musulmano: in Egitto si sono pronunciati per il boicottaggio dei prodotti Disney alcuni operatori dello spettacolo e soprattutto il Centro Internazionale Al-Azhar per Fatwa.
Ma a scendere in campo a favore della Disney negli Stati Uniti è nientemeno che il presidente Joe Biden, alle prese con una battaglia contro un provvedimento di legge già soprannominato Don’t Say Gay (letteralmente, “Non dire gay”) del governatore repubblicano Ron DeSantis, che in Florida punta a limitare l’istruzione relativa all’orientamento sessuale e all’identità di genere nelle scuole. «Finiranno per assaltare il castello di Cenerentola», ha dichiarato un ironico Biden, con un riferimento tutt’altro che velato ai fatti di Capitol Hill. «In Florida stanno inseguendo Topolino, per l’amor di Dio», ha aggiunto il Presidente democratico.
Avventura in salsa Disney
Il terreno, insomma, è spinoso a sufficienza. Cosa attendersi, perciò, dalla nuova avventura vaticana targata Disney? Speriamo non uno scivolone cartoonesco – ma tutt’altro che indolore – sul modello dell’incensato Evgeny Afineevsky, regista israeliano-americano di natali ex-sovietici (altri tempi!), responsabile dello stravolgente taglia e cuci di una vecchia intervista del Papa in tema di diritti civili e coppie omosessuali.
Qualche anno fa l’arcivescovo metropolita di Benevento, mons. Felice Accrocca, dalle pagine de L’Osservatore Romano giocava sull’assonanza fra il celebre Paperon de’ Paperoni dei fumetti e Paparone de Paperonibus, domenicano del Duecento, nominato prima vescovo di Foligno e poi di Spoleto durante i pontificati di papa Clemente IV e Onorio IV. Nulla a che vedere, beninteso, con quei «preti, qualche vescovo, qualche congregazione religiosa, che professano la povertà ma vivono da ricchi», stigmatizzati da papa Francesco. Ma forse un monito sulla necessità di prestare attenzione quando si decide di avventurarsi nel mondo – tutt’altro che fatato – dei cartoni animati.
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Credo che le ombre saranno più numerose delle luci! Un certo tipo di comunicazione della Santa Sede sta danneggiando la Chiesa. La Chiesa è la casa di tutti i battezzati: in essa convivono bene e male. Occorre estirpare la zizzania, senza però dimenticare il grano buono: è questo che serve per fare il pane. Come si fa a condannare certe istituzioni religiose “mondane” per poi aggrapparsi a certi personaggi che della
mondanità hanno fatto un business?
Grazie, Edoardo. Quello che esprimi è un timore che accomuna molti credenti.