C’è chi manifesta in piazza Duomo a Milano e chi si nasconde nelle foreste dello Zimbabwe. O dietro la fede. Il fronte dei no-vax ha i suoi personaggi, le sue contraddizioni e le sue tante, troppe storture. Ma anche un urgente bisogno di ascolto.
In Zimbabwe, nella periferia della capitale Harare, la Chiesa Cristiana Apostolica, di ispirazione pentecostale, è uno dei gruppi più scettici in tema di vaccini Covid-19. Legata a credenze tradizionali, la comunità è diffidente nei confronti della medicina moderna, preferendole strumenti spirituali come la preghiera e l’acqua santa. I vaccini contro il Covid? Satanismo. Si tratta di un’espressione, per quanto estrema, tutt’altro che da sottovalutare, tanto più perché diffusa in quello che è dato come il gruppo religioso più numeroso dello Zimbabwe, con circa 2 milioni e mezzo di membri in un Paese che conta quasi 15 milioni di abitanti. E solo il 15% di vaccinati.
Anche per questo il governo dello Zimbabwe e Unicef hanno avviato una campagna di sensibilizzazione sull’importanza dei vaccini che mira a coinvolgere leader religiosi e fedeli locali. La difficoltà, qualche volta, è vincere le resistenze di chi, pur di non ascoltare i messaggi a favore della medicina moderna, è pronto a nascondersi nella foresta. La battaglia in corso in Zimbabwe – al pari di quella combattuta dalla Chiesa Metodista Unita in Costa d’Avorio, Congo, Liberia e Nigeria – è anzitutto contro la falsa informazione. Mentre in Togo la Chiesa cattolica, favorevole ai vaccini, si dichiara contraria alla normativa che ha istituito l’obbligatorietà della certificazione verde per l’accesso ai luoghi di culto.
Derubricare la vicenda a questione “esotica” sarebbe un errore. Le cronache, in Europa e nel resto del “primo mondo”, ci parlano ogni giorno di quella che il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha definito «anti-scienza». Nelle tante patrie della modernità, l’opposizione al vaccino contro il Covid-19 ha finora assunto la forma contraddittoria e scompaginata dell’ideologia politica, della sfiducia nella scienza e nella medicina, del complottismo e di un presunto tradizionalismo ecclesiale.
La galassia della contestazione, per semplicità denominata “no-vax” o “no-pass”, è in verità più confusa della tavolozza di un pessimo pittore. Minoranza rumorosa e sovraesposta rispetto alla reale consistenza. Al suo interno si agitano nauseanti vittimismi venati di banalità e antisemitismo (i contrari al vaccino paragonati agli ebrei e la certificazione verde ad uno strumento di oppressione), che si uniscono a rigurgiti ideologici di segno opposto e di uguale estremismo. Il medesimo che contraddistingue la pervicacia di certe teorie della cospirazione, varianti dei terrapiattismi che ormai hanno il sapore dell’ideologia.
È però negli Stati Uniti che l’opposizione al vaccino anti-Covid ha assunto i tratti di una guerra di religione, e forse non avrebbe potuto essere altrimenti. In principio fu il fuoco di fila indirizzato contro il vaccino Johnson & Johnson, del quale si denunciava – a ragione – l’odioso utilizzo nel processo di sviluppo di cellule prelevate da feti abortiti decenni fa. A poco sono valsi i pronunciamenti sulla liceità dell’uso del vaccino da parte della Congregazione per la dottrina della fede, del Comitato per la dottrina della Conferenza episcopale statunitense e del Comitato per le attività pro-life della stessa Conferenza episcopale. Un tema che, al di là di comprensibili scrupoli personali, ha tutt’oggi un andamento carsico.
In Germania ed Austria, invece, il tema dei vaccini ha avuto un singolare effetto sedativo, almeno per quanto riguarda le profonde fratture interne alla comunità cattolica e ai due episcopati. Per quanto nulla affatto immuni dalla sempre maggiore polarizzazione sul tema della vaccinazione, le due Conferenze episcopali tedesca (Dbk) e austriaca (Öbk) hanno preso decisamente posizione, richiamando i fedeli alla necessità di vaccinarsi davanti ad un «dramma quasi inarrestabile».
Simile l’atteggiamento dell’episcopato italiano: nessun obbligo, ma un auspicio ad immunizzarsi. Eppure anche nella Chiesa in Italia non mancano gli “scettici”, per usare un eufemismo, sulla reale natura del Covid-19, sugli effetti della malattia e sugli strumenti per combatterla, vaccini in testa. Fra di essi anche alcuni presbiteri. A loro il card. Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha indirizzato un commento, a margine dell’ultima Assemblea straordinaria dell’episcopato: difficile obbligare a fare una cosa per la quale non si è obbligati dalla legge, ha detto, ma almeno ci si metta nella condizione di non danneggiare gli altri. Vale a dire sottoporsi periodicamente ad un tampone: un invito morale doppiamente valido per chi ha responsabilità di ministero, anche se non risolve il problema.
E poi c’è l’universo Vaticano. Ha ben da ricordare papa Francesco che la Chiesa non è un’organizzazione politica, con ali di destra e di sinistra. Forse non saranno correnti di partito, ma hanno tutta l’aria di essere lobby di potere. Immancabile, ad infuocare gli animi, una dichiarazione di papa Francesco: una bomba contro presunti cardinali negatori, sganciata durante il volo di rientro a Roma dal viaggio apostolico in Ungheria e Slovacchia, nel settembre scorso. Immancabile almeno tanto quanto il ritorno – breve e poco intenso – di mons. Carlo Maria Viganò sulla scena, a favore di telecamere e di polemica. Propendere per teorie anti-scientifiche e complottiste, anche alla luce dell’efficacia dei vaccini anti-Covid, ha il chiaro senso di un suicidio – l’ennesimo – in termini di credibilità. Macchiettistico.
Rimane il fatto che la scienza è fatta anche di errori. Alcuni utili, altri che non sono che terribili sbagli. «Ci sono molte persone che vedono la vaccinazione come l’unico modo per porre fine alla pandemia, spesso invocando il mantra di “seguire la scienza”», scrive su America magazine, la rivista della Compagnia di Gesù pubblicata negli Usa, fr. Guy Consolmagno, gesuita, fisico, astronomo e direttore della Specola vaticana. «Implica che l’autorità della scienza è infallibile. Ma, naturalmente, la scienza non è infallibile. […] Per quanto odiamo ammetterlo, la paura della fiducia cieca nella scienza ha un elemento di verità. A volte “la scienza” è sbagliata. Sono uno scienziato, e posso citare un numero di documenti scritti da me che poi si sono rivelati errati in modo imbarazzante. Ma, soprattutto, ci sono momenti nella nostra storia in cui “la scienza” – o almeno il modo in cui viene presentata al pubblico – si è rivelata non solo imperfetta, ma orribilmente sbagliata».
Nelle nostre società c’è spazio per ogni tipo di setta. Amaro frutto della nostra decadenza storica e culturale. Ciononostante, sarebbe un errore non interrogarsi sull’origine di un certo tipo di sfiducia – trasversale ai contesti più diversi – nei confronti della medicina e della scienza in genere. Radici che affondano, anche, nei grandi orrori di pseudo-progresso del passato e del presente. Bisogna mettersi in ascolto delle paure per superarle. Tanto più vero in tempo di Sinodo. Una ragione però non sufficiente per essere costretti a sorbirsi la dose, quella sì tossica, di quotidiane sciocchezze.
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E se, almeno nel mondo occidentale, questa diatriba non fosse soltanto la manifestazione di uno squilibrio sempre più crescente tra “scientismo” e progresso dell’uomo nelle dimensioni spirituale, etica e sociale? E se fosse mancanza di solidarietà che consiste nella disponibilità a svolgere la parte che compete a tutti in nome del bene comune? Complimenti per la bella e chiara esposizione!
Grazie, caro Edoardo. Doppiamente per lo spunto di riflessione. Il senso del bene comune (e la sua conseguente realizzazione pratica): una delle grandi perdite del nostro tempo.