Cresce l’attesa per l’insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca, previsto per le 17.30 di oggi, ora italiana, seguito dal giuramento alle 18. Fra balli e concerti sottotono, l’attenzione però si concentra già sul futuro degli Stati Uniti. Molte le questioni aperte, dalla politica internazionale – Cina, Russia e Israele su tutti – a migranti e ambiente, senza dimenticare donne, aborto e unioni omosessuali. Ma se l’agenda di Trump è piena, non lo è di meno la borsa di Francesco.
Migranti e muri
È senza dubbio l’argomento che ha tenuto banco nei confronti tra Francesco e Trump durante l’intera campagna elettorale statunitense. A farvi esplicito riferimento è stato lo stesso Pontefice sul volo di ritorno dal Messico, il 17 febbraio 2016. «Una persona che pensa soltanto a fare muri, sia dove sia, e non a fare ponti, non è cristiana. Questo non è nel Vangelo. Poi, quello che mi diceva, cosa consiglierei, votare o non votare: non mi immischio». Parole che avevano suscitato la stizzita reazione di Trump. «Il Papa è un personaggio molto politico», aveva contrattaccato il miliardario newyorkese durante un’arringa elettorale in South Carolina. Di più: una «pedina» in mano all’amministrazione Obama e al governo messicano.
Sul progetto di Trump di costruire un muro al confine con il Messico si sono spesi fiumi d’inchiostro, digitale e non. Molti meno sulla barriera già esistente lungo quello stesso confine: il “muro di Marijuana” per gli statunitensi, quello “della vergogna” per i messicani. Al posto dei mattoni, lamiere alte fino a 4 metri, un sistema di vigilanza armata e una rete di sensori direttamente connessa con la polizia di frontiera. La costruzione del muro ha avuto inizio nel 1994, durante la presidenza Clinton, ed è proseguita con le amministrazioni successive, estendendosi per chilometri lungo la frontiera tra Tijuana e San Diego, con tratti aggiuntivi in Arizona, Nuovo Messico e Texas. «Quello che faremo è prendere la gente che ha problemi di criminalità, con la fedina penale sporca. C’è tanta gente così, probabilmente 2 milioni, potrebbero essere pure 3 milioni. Li manderemo fuori dal Paese e li manderemo in prigione», aveva spiegato Trump nella prima intervista televisiva da presidente eletto, alla Cbs. E tutti gli altri, i milioni di immigrati che con il proprio lavoro contribuiscono all’economia americana e non hanno problemi con la legge? Qui i toni si erano fatti più vaghi. «Una volta messo in sicurezza il confine e quando tutto sarà normalizzato, decideremo sulla gente di cui state parlando, che è gente meravigliosa».
Note sono invece le posizioni aperte all’accoglienza sostenute da Francesco, più volte ribadite durante i quasi quattro anni del suo pontificato. Convinzioni sostenute da Cristianesimo e umanità, ma tutt’altro che utopistiche. «Io credo che il più cattivo consigliere per i Paesi che tendono a chiudere le frontiere sia la paura, e il miglior consigliere sia la prudenza», aveva detto Francesco durante il volo da Malmö a Roma, al termine del viaggio apostolico in Svezia, il 1° novembre scorso. Accoglienza sempre con «il cuore aperto», che però può far «pagare politicamente una imprudenza nei calcoli, nel ricevere più di quelli che si possono integrare. Perché, qual è il pericolo quando un rifugiato o un migrante – questo vale per tutti e due – non viene integrato, non è integrato? Mi permetto la parola – forse è un neologismo – si ghettizza, ossia entra in un ghetto. E una cultura che non si sviluppa in rapporto con l’altra cultura, questo è pericoloso». Parole che avevano fatto gridare alla “svolta” una certa parte di stampa. In realtà un appello al realismo e all’integrazione del tutto coerente con le posizioni espresse dal Pontefice in altre occasioni, ad esempio nel messaggio per la Giornata mondiale delle migrazioni celebrata pochi giorni fa.
Cina
Francesco ha confessato di essersi «commosso» quando ha sorvolato la Cina, nella notte fra il 13 e il 14 agosto del 2014, in volo verso Seul. La prima volta per un pontefice – che fu negata a Giovanni Paolo II – replicata da Francesco nel volo di ritorno a Roma, il 19 agosto 2014, e ancora nel gennaio 2015, rientrando dalle Filippine. «Mi ha commosso volare su questa grande ricchezza della cultura e della saggezza», ha confessato il Pontefice nella sua prima intervista sulla Cina rilasciata il 28 gennaio all’Asia Times, quotidiano con base a Hong Kong. Un riavvicinamento al Paese che fu del Celeste Impero che guarda tanto alla storia della Compagnia di Gesù quanto all’attualità. Non solo parole di circostanza, infatti, ma l’inaugurazione di una nuova stagione nei rapporti con il governo di Xi Jinping sul tema della Chiesa cattolica in Cina. Una nuova fase di dialogo che per il Pontefice non si è rivelata priva di critiche e che passa anche attraverso storie di eroismo e di martirio come quella di mons. Pietro Liu Guandong, vescovo emerito della prefettura apostolica di Yixian, morto il 28 ottobre 2013 dopo 28 anni di carcere per non aver mai voluto recidere il legame con Roma.
Decisamente più critico il rapporto di Donald Trump con la Cina. Scaramucce verbali, per lo più consumate via Twitter, su temi economici e di geopolitica, dalla svalutazione dello yuan alla battaglia sulle isole contese, passando per la tassazione degli scambi commerciali. Il tutto condito dalla telefonata ricevuta dalla presidente taiwanese Tsai Ing-wen, che aveva suscitato le proteste ufficiali di Pechino. Sebbene la difesa della globalizzazione e dell’ambiente lanciata in questi giorni da Davos dallo strategico Xi Jinping sia viziata da tutte le ipocrisie del dirigismo e del protezionismo che caratterizzano ancora le politiche monetarie, industriali e commerciali cinesi, la distanza – almeno sulla carta – dall’amministrazione Trump sembra essere palpabile.
Israele
Così come quella fra Trump e Francesco sull’assetto mediorientale. Il 14 gennaio, a pochi giorni dall’insediamento del nuovo presidente Usa, il Pontefice ha fatto la sua mossa, ricevendo Abu Mazen per l’inaugurazione dell’ambasciata palestinese presso la Santa Sede. L’incontro segue l’ennesimo appello a favore del dialogo fra israeliani e palestinesi rivolto da Francesco durante il tradizionale incontro con il corpo diplomatico, il 9 gennaio scorso. L’obiettivo rimane una «pacifica coesistenza di due Stati all’interno di confini internazionalmente riconosciuti». Nella stessa occasione, quasi di sfuggita, il Pontefice aveva accennato anche alla «piena attuazione» data dalla Santa Sede «al Comprehensive Agreement con lo Stato di Palestina, entrato in vigore un anno fa». Con “lo Stato di Palestina”, appunto. L’Accordo, costituito da un Preambolo e da 32 articoli, «riguarda aspetti essenziali della vita e dell’attività della Chiesa in Palestina – si legge nel Bollettino della Sala Stampa della Santa Sede del 2 gennaio 2016 – riaffermando nello stesso tempo il sostegno per una soluzione negoziata e pacifica del conflitto nella regione». Due chiari messaggi di politica internazionale in vista del progetto avanzato da Trump di trasferire l’ambasciata statunitense in Israele da Tel Aviv a Gerusalemme. L’ipotesi – che metterebbe a serio rischio i delicati equilibri della regione – è stata confermata anche da David Friedman, scelto da Donald Trump come nuovo ambasciatore in Israele. Molto dipenderà ora dall’atteggiamento dell’Europa.
Russia
Se Vladimir Putin avesse concorso personalmente alle presidenziali Usa, probabilmente non si sarebbe riusciti a parlare di lui più di quanto si sia fatto nello scontro fra Donald Trump e Hillary Clinton. Della vicinanza fra il tycoon americano e il Presidente russo si è detto molto, coinvolgendo in una spy story ancora tutta da dimostrare pirati informatici, spionaggio internazionale e ricatti personali. Unico punto fermo – almeno per ora – l’intenzione di Trump di riprendere la distensione con Mosca, in crisi durante l’era Obama.
Di tono diverso il rapporto di Francesco con la Russia, che passa necessariamente attraverso il Patriarcato di Mosca e Kirill, capo della Chiesa ortodossa russa. L’incontro fra i due, il 12 febbraio scorso a Cuba, è stato giustamente definito storico. Pur non riguardando lo scisma del 1054, riesumato a sproposito da alcuni, l’incontro ha segnato una tappa fondamentale del lungo cammino di riavvicinamento fra le due Chiese che, pur divise da questioni teologiche, trovano una convergenza su temi importanti, dalla difesa della famiglia e della vita alla guerra in Siria, passando per la condanna al terrorismo. Da tempo nell’aria l’ipotesi di un viaggio di Francesco a Mosca.
Europa
Nato obsoleta, «grande rispetto» per la cancelliera Merkel anche se commette «un errore catastrofico» nell’accoglienza data ai migranti, Europa asservita agli interessi della Germania e Brexit un successo che sarà presto imitato da altri Paesi, ma anche l’urgenza di un accordo con la Russia per ridurre gli arsenali nucleari. La voce “Europa” la fa da padrona nell’agenda del nuovo presidente americano, almeno a giudicare dal fiume in piena delle dichiarazioni rilasciate nei giorni scorsi al londinese Sunday Times e alla tedesca Bild.
Non meno duro, anche se per ragioni diverse, il giudizio di Francesco sull’Europa. Ormai lontani i tempi di Schumann, De Gasperi e Adenauer, «al giorno d’oggi mancano leader», ha dichiarato il Papa il 7 dicembre scorso in un’intervista al settimanale cattolico belga Tertio. «L’Europa ha bisogno di leader, leader che vadano avanti… Bene, non voglio ripetere quello che ho detto nei tre discorsi». I “tre discorsi” sono quelli dedicati dal Pontefice all’Europa: i primi due di fronte al Parlamento europeo e al Consiglio d’Europa, nel novembre 2014, il terzo quando ricevette in Vaticano il “Premio Carlo Magno”, il 6 maggio dello scorso anno. Proprio in quest’ultimo discorso, Francesco aveva rivolto un vibrante appello alla necessità di «fare memoria» in una Europa «decaduta». «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà? Che cosa ti è successo, Europa terra di poeti, filosofi, artisti, musicisti, letterati? Che cosa ti è successo, Europa madre di popoli e nazioni, madre di grandi uomini e donne che hanno saputo difendere e dare la vita per la dignità dei loro fratelli?».
Donne
Boutade, volgarità e poi le scuse. Non si contano quelle che hanno animato la recente campagna elettorale. Insieme alle denunce per molestie e violenze sessuali: una cinquantina solo quelle raccolte dal New York Times, fra le quali quelle di collaboratrici, modelle e una pornostar. Eppure sembra che queste vicende non abbiano pesato sul voto. La CNN indica nel 41% le donne che hanno preferito Trump alla Clinton, quota che sale al 53% fra le donne bianche. Anche il livello di istruzione, a lungo invocato come discriminante, a conti fatti sembra non avere avuto un peso decisivo.
Per ovvie ragioni, decisamente diverso il rapporto di Francesco con le donne. «La Chiesa è donna, è sposa di Cristo, è madre del suo popolo di fedeli cristiani», aveva detto il Papa, a braccio e in lingua spagnola, ai sacerdoti riuniti nella basilica di San Giovanni in Laterano in occasione del ritiro mondiale del giugno 2015. «Non è femminismo osservare che Maria è molto più importante degli apostoli», aveva affermato ancora il Pontefice. Non è una novità. Nel luglio 2013, sul volo di ritorno a Roma dal Brasile, Francesco aveva sottolineato che non si può immaginare una Chiesa in cui le donne siano escluse. Apertura al sacerdozio femminile, dunque? Assolutamente no. «Sull’ordinazione di donne nella Chiesa cattolica, l’ultima parola chiara è stata data da san Giovanni Paolo II, e questa rimane. Questo rimane», ha precisato il Papa incontrando i giornalisti sul volo di ritorno dalla Svezia, il 1° novembre scorso.
Ambiente
Ad aver fatto più discutere è stata certamente la nomina, l’8 dicembre scorso, di Scott Pruitt, procuratore generale del petrolio e del gas ad alta intensità dello stato di Oklahoma – nonché diacono della Prima Chiesa Battista di Broken Arrow – a capo della Environmental Protection Agency (Epa). Vale a dire un petroliere al vertice di un’agenzia per l’ambiente. L’obiettivo sarebbe «di tenere la nostra aria e la nostra acqua pulite e sicure», garantendo al tempo stesso che l’agenzia non spenda i soldi dei contribuenti per inseguire «un’agenda fuori controllo e anti-energetica», ha precisato Trump. Una svolta che si accompagna alle perplessità del nuovo presidente rispetto ai cambiamenti climatici e alle critiche mosse alle agenzie di tutela della fauna selvatica, come il U.S. Fish and Wildlife Service.
Di tono opposto le posizioni espresse da Francesco. «Qualsiasi danno all’ambiente è un danno all’umanità», aveva detto il Pontefice all’Onu il 25 settembre 2015. Proprio all’ambiente – o meglio all’ecologia integrale, umanità compresa – Francesco ha addirittura dedicato nel 2015 l’enciclica Laudato Si’, «sulla cura della casa comune». La circolazione di brani decontestualizzati o la ricerca di citazioni sensazionalistiche ha finito con il ridurla ad un cumulo di massime ambientaliste e animaliste sul clima, gli OGM e la biodiversità, impoverendola drasticamente di significato. L’impostazione di Francesco, lungi dall’essere superficialmente “verde”, è invece veramente «sociale» (n. 142) e allarga lo sguardo ad una «ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità» (n. 10), allo stato di salute delle istituzioni della società contemporanea (n. 142) e al rapporto dell’uomo con il proprio corpo (n. 155), sempre più minacciato dalla tecnocrazia e dall’efficientismo, dall’eccesso di antropocentrismo e dall’avvento di nuovi e presunti diritti dettati soltanto dall’imperante individualismo.
Aborto e unioni omosessuali
Sulle nuove nomine per la Corte Suprema, Trump ha le idee chiare: sceglierà giudici anti-aborto e favorevoli al diritto di difesa dei privati cittadini, armi alla mano. «Saranno pro-life e sulla questione delle armi, saranno molto a favore del Secondo emendamento», ha spiegato il nuovo Presidente. Al di là dell’opportunismo politico, c’è da sperare che per Trump la vita sia da custodire dal concepimento al suo termine naturale, e non bruscamente interrotta da una mano armata dal grilletto facile. «Nessun problema» sulle nozze gay, invece. «Sono legge, è stato stabilito dalla Corte Suprema, voglio dire, è cosa fatta», ha dichiarato Trump alla Cbs nel novembre scorso. «Nessun problema, mi va bene così». Nelle scorse settimane si è anche vociferato della nomina di Richard Grenell, esperto di affari internazionali e dichiaratamente omosessuale, voluto da Trump come ambasciatore Usa all’Onu.
Decisamente più circostanziato il pensiero di Francesco sull’aborto. Nonostante le “svolte” e le “aperture” più volte annunciate dalla stampa, specie in seguito alla Lettera apostolica Misericordia et misera a conclusione del Giubileo 2015, la posizione di Francesco sull’aborto è chiara: «Vorrei ribadire con tutte le mie forze che l’aborto è un grave peccato, perché pone fine a una vita innocente. Con altrettanta forza, tuttavia, posso e devo affermare che non esiste alcun peccato che la misericordia di Dio non possa raggiungere e distruggere quando trova un cuore pentito che chiede di riconciliarsi con il Padre». Dovrebbe stupire che il Papa segua la dottrina cattolica? Così anche sul tema dell’omosessualità e della cosiddetta teoria del gender, più volte equiparata da Francesco al totalitarismo di stampo nazista.
Post-verità che unisce
Un punto in comune fra Donald Trump e papa Francesco? Se la campagna elettorale che ha condotto all’elezione di Trump ha generato il neologismo di “post-verità” per ridefinire un concetto vecchio quanto l’uomo – la bufala – è di certo il pontificato di Francesco ad esserne stato maggiormente vittima.
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