La strage di Orlando e l’impossibile uguaglianza delle religioni

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«Purtroppo è la religione, inclusa la nostra, che prende di mira, per lo più verbalmente, e spesso genera anche disprezzo per le persone gay, lesbiche e transgender». Così il vescovo di Tampa, a commento della strage di Orlando. Cosa accade? È il nuovo volto dell’indifferentismo.

«Oggi gli attacchi contro uomini e donne Lgbt spesso piantano il seme del disprezzo, poi dell’odio, che infine può portare alla violenza», ha proseguito Robert Lynch, vescovo di Tampa, in Florida, sull’onda emotiva della strage di Orlando. Parole che sarebbero condivise dalla filosofa Michela Marzano, chiamata da Repubblica a rispondere al “perché le religioni odiano gli omosessuali?”, o da Edmund White, attivista dei diritti omosessuali, che dalle colonne di Repubblica denuncia l’intolleranza delle religioni, legando la strage di Orlando al clima di discriminazione patito dalle persone omosessuali negli Usa, «anche in bagno, negando per esempio i gabinetti transgender e il riconoscimento alla nostra vera sessualità».

«Ma è tutto l’islam, non solo quello estremista, che discrimina gli omosessuali – continua White – Si legga il Corano. Ma anche la Bibbia o i testi ebraici. Tutte le religioni ci odiano e vogliono limitare i nostri diritti. Così come vogliono limitare l’aborto, o il divorzio». Al di là delle valutazioni, ciò che colpisce nei commenti del vescovo Lynch, della Marzano, di White e di molti altri, dentro e fuori dalla gerarchia ecclesiastica cattolica, è il nuovo volto – più o meno consapevole e politically correct – dell’indifferentismo, nell’equiparazione fra le religioni, sempre rigorosamente considerate al plurale. Lo stesso indifferentismo che un tempo riteneva che ci si salvasse indipendentemente dalla religione professata e che era condannato dalla Chiesa cattolica.

«Veniamo ora ad un’altra sorgente trabocchevole dei mali da cui compiangiamo afflitta presentemente la Chiesa. L’indifferentismo, vogliamo dire, ossia quella perversa opinione che per frodolenta opera degli increduli si dilatò in ogni parte, che cioè possa in qualunque professione di fede conseguirsi l’eterna salvezza dell’anima, se i costumi si conformino alla norma del retto e dell’onesto». Così tuonava il 15 agosto 1832 dall’enciclica Mirari Vos papa Gregorio XVI, del quale ricorreva pochi giorni fa il 170esimo anniversario della morte.

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Indifferentismo è considerare ogni religione buona o cattiva come un’altra e che – sfumando nel relativismo – non esiste alcuna verità religiosa assoluta o universale, di modo che ogni religione può essere vera per una cultura o per un periodo storico, mentre un’altra o nessuna possono essere più adatte ad altre culture o periodi. La condanna di Gregorio XVI trovò ampio risalto nella Chiesa ottocentesca e venne ripresa l’8 dicembre 1854 nel Sillabo da Pio IX e il 1° novembre 1885 nell’enciclica Immortale Dei da Leone XIII, nella quale il Pontefice metteva in guardia contro le teorie secondo le quali «è diritto di ciascuno professare qualsiasi fede gli aggradi; per ciascuno il solo giudice è la coscienza; inoltre è lecito proclamare qualsiasi opinione».

Una posizione che non ammette eccezioni neppure in campo cristiano, e che torna di attualità all’alba delle celebrazioni del 500esimo anniversario della Riforma protestante, in occasione delle quali – certamente con nomi diversi – tornerà a porsi la questione del latitudinarismo, una forma, cioè, di indifferentismo comune ad alcune Chiese riformate, secondo cui non fa alcuna differenza a quale delle diverse confessioni cristiane si scelga di aderire.

Una condanna che trova le sue motivazioni non solo in quanto affermato «dall’Apostolo, esservi un solo Dio, una sola Fede, un solo Battesimo, temano coloro i quali sognano che veleggiando sotto bandiera di qualunque religione possa egualmente approdarsi al porto della eterna felicità», ma anche nella logica – non solo evangelica – dei fatti. Fra le molte questioni che si porrebbero – e si pongono – nella teoria indifferentista figura la contraddizione nei valori morali, come risultato delle differenze in materia etica e morale delle diverse religioni combinate al loro essere ugualmente veritiere. Si pensi, ad esempio, alle differenze in campo sessuale, familiare, dogmatico che contraddistinguono le diverse fedi.

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Una corrente, quella dell’indifferentismo, nata in seno all’Illuminismo settecentesco e condannata dalla Chiesa ottocentesca, che sarebbe però un errore considerare superata nel mondo presente, se è vero che l’Europa di oggi è governata dagli «eredi dell’Illuminismo», come ha rivendicato Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, rivolgendosi a papa Francesco in occasione della consegna al Pontefice del Premio Internazionale Carlo Magno 2016, il 6 maggio scorso. In riferimento ai discorsi pronunciati dai rappresentanti dell’Unione Europea si parlò di relativismo, così come di essere portatori di un pericoloso sincretismo è l’accusa mossa recentemente a Barack Obama e Hillary Clinton.

Il primo già due anni fa in un mea culpa pronunciato di fronte all’Assemblea Generale dell’Onu avocava al potere politico-militare degli Stati Uniti la risoluzione anche di questioni di attinenza religiosa, nel denunciare di non aver «affrontato con forza sufficiente l’intolleranza e le tensioni interconfessionali». Lo stesso Obama è tornato recentemente a dichiarare che «un attacco a qualsiasi fede è un attacco a tutte le fedi». Posizioni riprese poche ore fa da Hillary Clinton. Intervistata in merito alla strage di Orlando, la Clinton ha evidenziato quanto «sia pericoloso dichiarare guerra a una religione intera», dimentica forse di aver detto, non più tardi di un anno fa, che «codici culturali profondamente radicati, credenze religiose e condizionamenti strutturali dovranno essere cambiati». Se necessario, anche con la forza delle leggi.

Plus minus bonas ac laudabiles, ovvero tutte le religioni sono più o meno buone e lodevoli? «Ho conosciuto molte persone desiderose di ingannare; nessuna di essere ingannata», soleva dire sant’Agostino (Le Confessioni, libro X). Che altro sarebbe, se non un inganno – verso Dio, l’uomo, la storia – proporre tutte le religioni come equivalenti? E quanto sarebbe lontano affermare che, per il fatto stesso che tutte le religioni sono ugualmente vere, sono anche tutte ugualmente false?

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«Alla base di tutto ciò vi è la necessità di un’adeguata formazione affinché, saldi nella propria identità, si possa crescere nella conoscenza reciproca», ricordava nel gennaio dello scorso anno papa Francesco ai partecipanti all’incontro promosso dal Pontificio istituto di studi arabi e d’islamistica. Questo è – o meglio dovrebbe essere – il punto di partenza delle riflessioni attorno al ruolo delle religioni, al loro rapporto e all’opportunità del dialogo interreligioso e dell’ecumenismo. Terreno di confronto – o di scontro – prossimo venturo, c’è da scommetterci, sarà l’infallibilità del papa.

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