Triduo pasquale 2020, Anno A. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
In quel tempo. Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. Presto, andate a dire ai suoi discepoli: “È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete”. Ecco, io ve l’ho detto» (Mt 28,1-7).
“Che cosa state facendo qui?” Urlò con tono molto duro, e i bambini scapparono via. “Il mio giardino è il mio giardino”. Dunque costruì un alto muro intorno ad esso, e vi mise sopra un cartello (Oscar Wilde, Il Gigante egoista)
Quando il Gigante torna dalla visita all’amico orco scozzese, trova nel suo giardino bambini che giocano. La fiaba di Oscar Wilde, con le sue mura alte e chiuse, dà forma di racconto a quel che già sappiamo in molti modi. Nelle culture antiche il Paradiso è un gran giardino, ma stretto tra le mura del “mio!” raggrinzisce in fretta in un Inferno.
È evidente: il nostro è un tempo di muri. Vengono su come croste sul vecchio continente. Il prurito di tenere stretto quel che temo voli via lascia libere le dita solo ad innalzar difese. E poi il Gigante scopre quanto morde il lungo inverno:
Arrivò dunque la primavera, e in tutto il paese c’erano fiori e uccellini. Soltanto nel giardino del Gigante egoista era ancora inverno. Non essendoci bambini, gli uccelli lì dentro non si preoccupavano di cantare, e gli alberi dimenticarono di fiorire […] “Non capisco come mai Primavera tardi tanto ad arrivare”, disse il Gigante egoista, mentre stava seduto di fronte alla finestra guardando il suo giardino freddo e bianco. “Spero che cambi presto il tempo”.
Ma chissà che in cuor suo non cominci a capire: l’incantesimo ha a che fare con quel “mio!”. Prigionieri della compulsione che ci fa sentire vivi, quando invece è il primo passo verso la prigione. Possedere in fretta, perché di doman non v’è certezza; trattenere per una cerchia ristretta di vicini, perché al di là del muro non c’è da fidarsi. Quella furia egoista e frettolosa fa ammalare. Non è vita. È solo la soffocante ansia di non morire.
L’Europa che si trincera dietro i muri lascia sempre meno spazio ai bambini. Nel racconto di Oscar Wilde il bimbo è l’immagine delle silenziose, nuove forze della vita. I muri tengono fuori la parte coraggiosa e più vitale di noi stessi. Il Gigante lo intuisce. E noi lo sapevamo. I muri alti, il filo spinato, i porti chiusi. “Il mio giardino è il mio giardino”. Mancava l’aria. Anche nella comunicazione, nell’informazione, nei confronti sui tavoli della politica. L’egoismo soffoca il giardino, il Gigante raggrinzisce congelato.
Gesù, raccontano i Vangeli, prepara in molti modi i suoi discepoli allo snodo drammatico che li attende, lui e loro. Tra gli altri, lo fa avvicinandoli alla vicenda del chicco di grano. Offre loro, o quantomeno ci prova, una chiave di lettura degli eventi che incombono.
“Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo. Se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24).
“Chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà, chi invece la perde la salverà” (Lc 17,33).
Il sabato santo è il tempo della chiusura tra le alte mura. Nelle ore precedenti, la preoccupazione dominante dei discepoli è stata di trattenere la propria vita, di risparmiar respiro e rinserrar le porte. Il cenacolo è chiuso, come il giardino del Gigante. Arrivato il tempo di consegnarsi alla terra, il chicco di grano si consegna. I discepoli no. Devono ancora imparare a farlo. Impareranno.
Le mura del Cenacolo, le sue porte chiuse. Le mura del giardino, il cartello del Gigante. Il filo spinato, i porti chiusi d’Europa. Abbiamo paura di perder qualcosa. Ce la portiamo dentro. Non è anzitutto una colpa. È un sano istinto vitale, primordiale e benedetto. Ma se non matura nella forza mite e consapevole del chicco, determinato a consegnarsi per affrontare la grande avventura del morire per dar frutto, rimane prigioniero dell’Inverno. Ma poi sorge il canto del fringuello.
Una mattina, mentre era disteso sul letto, il Gigante udì una musica incantevole.
E vien fuori che quel sospiro di musica incantata è penetrata grazie ad una breccia. “Una piccola crepa nel muro”, e i bambini son fluiti sopra i rami. Ho sempre letto nella breccia il segno della misteriosa forza della Vita. Ma in queste settimane mi son sorpreso a pensare che la breccia si sia aperta dall’interno. Che l’insopportabile solitudine del Gigante, il suo dolore erompendo dal profondo, sia debordata al di fuori del recinto, liberando uno spazio di respiro.
Attraverso una piccola crepa nel muro i bambini erano entrati e si erano seduti sui rami degli alberi. In ogni albero c’era un bambino. E gli alberi erano così felici di avere di nuovo dei bambini vicini che si erano di nuovo ricoperti di fiori. […] Era una scena bellissima, e soltanto in un angolo era ancora inverno. Era l’angolo più lontano del giardino, e lì c’era in piedi un bambino. Quel bambino era così piccino che non era in grado di raggiungere i rami dell’albero, ma gli girava tutto intorno, piangendo disperato. […] “Sali su, piccolo!”, disse l’albero, e piegò i suoi rami più in giù che poteva; ma il bambino era troppo piccolo per arrivarci. Così, quando lo vide, il cuore del Gigante si sciolse. “Quanto sono stato egoista!” disse; “adesso so perché la Primavera non veniva qui. Prima metterò quel bambino sopra quell’albero, e dopo abbatterò le mura”.
Nel giardino il Gigante scende e vede un bimbo: è l’immagine di una Presenza misteriosa. Un bimbo ha infranto la norma suicida del Gigante. Nel Cenacolo i discepoli si trovano visitati dalla Presenza.
Mentre essi parlavano di queste cose, Gesù in persona stette in mezzo a loro e disse: “Pace a voi!”. Sconvolti e pieni di paura, credevano di vedere un fantasma. Ma egli disse loro: “Perché siete turbati, e perché sorgono dubbi nel vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi: sono proprio io! Toccatemi e guardate; un fantasma non ha carne e ossa, come vedete che io ho”. Dicendo questo, mostrò loro le mani e i piedi (Lc 24,36-40).
Le porte chiuse non hanno il potere di tenerlo fuori, il Signore della Vita lì presente. E non è muto: la sua parola sa di pace, ha il vigore di chi disperde le paure, vuole aprire i sentieri delle relazioni rimaste interrotte.
Perché la Vita trova il modo di entrare. Lo desideriamo tanto. L’Amore troverà il suo pertugio, il nostro sterile inverno si aprirà alla fioritura. Perché l’Amore è tenace e non si ferma, una piccola crepa è sufficiente. Il nostro desiderio di esserne raggiunti aprirà qualche breccia nel gran muro.
Lo aveva detto, il Maestro: “Non vi lascerò orfani. Ritornerò da voi” (Gv 14,18).
Il Signore della vita ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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