Domenica 08 maggio 2022. IV Domenica di Pasqua. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri».
(Gv 15, 9-17)
C’è un vantaggio nell’avere delle radici, e questo vantaggio si chiama frutto. Non è vero che un nomade è più libero di un contadino. Il beduino potrà anche sfrecciare oltre con il suo cammello, lasciando dietro di sé una nube di polvere, ma non si può dire che la polvere sia libera solo perché è sospesa nell’aria. O, analogamente, che il nomade sia libero solo perché corre via. Stando in groppa a un cammello non si possono far crescere cavoli, né più né meno che nella cella di un condannato.
(G. K. Chesterton, Lo spirito del Natale)
Gesù sta lungamente salutando i suoi, iniziandoli a un tempo in cui non sarà più fisicamente con loro. Nel Vangelo di Giovanni i capitoli dal 13 al 17 sono un lungo monologo di Gesù, con saltuari e impacciati interventi dei discepoli, durante l’ultima cena, e la pagina che leggiamo oggi è un’onda di quel mare di parole.
E Gesù, dopo aver assicurato ai suoi che la sua partenza non è la fine della loro relazione (“Non vi lascerò orfani, ritornerò a voi” [Gv 14,18]), e che la loro relazione continuerà ad essere alimentata dalla presenza dello Spirito e dalla preghiera fiduciosa, comincia a raccontare la loro relazione ricorrendo ad un’immagine. “Io sono la vite, voi i tralci”. “Rimanete in me”, cioè “nel mio amore”, nell’amore di cui vi ho amati e di cui ancora vi amo, e che vi mette a parte dell’amore con cui il Padre ama me.
Radicatevi in me, per dirla con Chesterton. Così porterete frutto. Nel giro di pochi versetti (Gv 15,1-17) il verbo “rimanere” ritorna dieci volte, e l’espressione “portare frutto” sette volte. Chi rimane in Gesù, chi continua ad accogliere la linfa del suo amore appassionato e incondizionato, porta frutto. Il legame a Lui ci rende liberi e fecondi. L’indipendenza da Lui è un’illusione che ci rende polvere “sospesa nell’aria”: non è libera, è solo sospesa.
E l’amore, di natura sua, non accetta di essere sospeso. Vuole incarnarsi in rapporti, diventare carne e sangue, legame, radici. Non è sempre facile, ma è sempre, per ognuno di noi, di un’importanza vitale.
Nella grande avventura, il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.