Domenica 23 gennaio 2022. Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. Morto Erode, ecco, un angelo del Signore apparve in sogno a Giuseppe in Egitto e gli disse: «Àlzati, prendi con te il bambino e sua madre e va’ nella terra d’Israele; sono morti infatti quelli che cercavano di uccidere il bambino». Egli si alzò, prese il bambino e sua madre ed entrò nella terra d’Israele. Ma, quando venne a sapere che nella Giudea regnava Archelao al posto di suo padre Erode, ebbe paura di andarvi. Avvertito poi in sogno, si ritirò nella regione della Galilea e andò ad abitare in una città chiamata Nàzaret, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo dei profeti: «Sarà chiamato Nazareno».
(Mt 2, 19-23)
A casa mia la religione non aveva nessun carattere solenne. Ci limitavamo a recitare quotidianamente le preghiere della sera tutti insieme. Mi rimase scolpita nella memoria la posizione che prendeva mio padre. Egli tornava a casa dal lavoro con un gran fascio di legna sulle spalle. Dopo cena, si inginocchiava per terra, appoggiava i gomiti su una sedia e la testa tra le mani, senza guardarci, senza fare un movimento, né dare il minimo segno di impazienza. E io pensavo: mio padre, che è così forte, che governa la casa, che sa guidare i buoi, che non si piega davanti al sindaco, mio padre davanti a Dio diventa come un bambino. Come cambia aspetto quando si mette a parlare con Dio… Deve essere molto grande Dio, se mio padre gli si inginocchia davanti! Ma deve essere anche molto buono, se si può parlargli senza cambiare il vestito. Al contrario, non vidi mai mia madre inginocchiarsi. Era troppo stanca la sera, per farlo. Si sedeva in mezzo a noi, tenendo in braccio il più piccolo. Ci guardava, ma non diceva niente. Non fiatava nemmeno se i più piccoli la molestavano, nemmeno se infuriava la tempesta sulla casa o il gatto combinava qualche guaio. E io pensavo: deve essere molto semplice Dio, se gli si può parlare tenendo un bambino in braccio e vestendo il grembiule. E deve essere anche molto importante se mia madre, quando gli parla, non fa caso né al gatto, né al temporale. Le mani di mio padre e le labbra di mia madre mi insegnarono, di Dio, molto più che il catechismo.
(Pierre Duval)
La pagina del cantante d’opera Pierre Duval (1932-2004) è suggestiva, ci immerge nel respiro di una vita familiare di tempi meno ansiosi e convulsi dei nostri. E ci aiuta una volta di più a mettere a fuoco che quel che respiriamo in casa negli anni dell’infanzia ha il potere di strutturarci nella postura interiore che sarà nostra per molti anni, magari per tutta la vita.
Anche Gesù impara, da bambino, le cose fondamentali della vita dall’ambiente familiare in cui è radicato. Il giovane virgulto (una etimologia possibile di “Nazaret” ha a che fare con “germoglio”) cresce in una terra ricca di tradizioni, racconti, memorie di quel che Dio ha fatto per il suo popolo. Il bimbo rivive nella sua carne – dice Matteo, più degli altri evangelisti – avvenimenti fondamentali della storia dei suoi antenati: la persecuzione sanguinaria di un tiranno (Erode come il Faraone del tempi antichi), la necessità di una fuga rocambolesca (verso l’Egitto la famiglia di Giuseppe, dall’Egitto il popolo di allora), le tappe del cammino accompagnate dal Potente (le rivelazioni in sogno, la colonne di nube e di fuoco al tempo degli antenati). Tutto questo il bimbo vive, nella concretezza del suo travaglio sotto il cielo e nei racconti intorno al fuoco e in sinagoga.
“Le mani di mio padre e le labbra di mia madre mi insegnarono, di Dio, molto più del catechismo”, conclude Duval. Diciamola così: non c’è nutrimento paragonabile, per conoscere il Mistero del Dio vivente, a quello che un bimbo succhia dalla madre e assume guardando il padre, e che interiorizza vivendo quello che la vita lo accompagna ad affrontare.
Leggiamo che il nostro Maestro ha vissuto, da bambino, la terribile angustia di una via insicura, in fuga da violenza minacciosa. Possiamo celebrare la famiglia di Nazaret con una qualsiasi sensata solennità, se trascuriamo di aprire gli occhi e le mani davanti a padri madri e figli che riscrivono nella loro storia di oggi i travagli della famiglia galilea di ieri?
Il Signore li accompagni, e accompagni noi a camminare con loro.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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