Domenica 26 settembre 2021. IV Domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. I Giudei si misero a mormorare contro il Signore Gesù perché aveva detto: «Io sono il pane disceso dal cielo». E dicevano: «Costui non è forse Gesù, il figlio di Giuseppe? Di lui non conosciamo il padre e la madre? Come dunque può dire: “Sono disceso dal cielo”?». Gesù rispose loro: «Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me, se non lo attira il Padre che mi ha mandato; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. Sta scritto nei profeti: “E tutti saranno istruiti da Dio”. Chiunque ha ascoltato il Padre e ha imparato da lui, viene a me. Non perché qualcuno abbia visto il Padre; solo colui che viene da Dio ha visto il Padre. In verità, in verità io vi dico: chi crede ha la vita eterna. Io sono il pane della vita. I vostri padri hanno mangiato la manna nel deserto e sono morti; questo è il pane che discende dal cielo, perché chi ne mangia non muoia. Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo».
(Gv 6, 41-51)
Tancredi voleva che Angelica conoscesse tutto il palazzo nel suo complesso inestricabile di foresterie vecchie e foresterie nuove, appartamenti di rappresentanza, cucine, cappelle, teatri, quadrerie, rimesse odorose di cuoi, scuderie, serre afose, passaggi, anditi, scalette, terrazzine e porticati, e soprattutto di una serie di appartamenti smessi e disabitati, abbandonati da decenni e che formavano un intrico labirintico e misterioso. Tancredi non si rendeva conto (oppure si rendeva conto benissimo) che vi trascinava la ragazza verso il centro nascosto del ciclone sensuale, ed Angelica, in quel tempo, voleva ciò che Tancredi aveva deciso. Le scorribande attraverso il quasi illimitato edificio erano interminabili; si partiva come verso una terra incognita, ed incognita era davvero perché in parecchi di quegli appartamenti sperduti neppure Don Fabrizio aveva mai posto piede, il che del resto, gli era cagione di non piccolo compiacimento perché soleva dire che un palazzo del quale si conoscessero tutte le stanze non era degno di essere abitato.
(G. Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo)
Nella sinagoga di Cafarnao Gesù si propone a chi lo ascolta come “il pane disceso del cielo”, “il pane vivo”. Gli astanti ne rimangono scandalizzati. Noi lo conosciamo bene, dicono, e conosciamo anche i suoi genitori. Che storia è mai questa, di venirci a raccontare di essere disceso dal cielo? Sappiamo bene che è uscito da un grembo di donna, come tutti. Vuole fare il misterioso, ma noi lo smascheriamo.
Il problema di costoro è che trattano Gesù alla stregua di un palazzo di cui abbiano esplorato tutte le stanze. Avrebbero bisogno di leggersi qualche pagina del Gattopardo. Magari quella che ho riportato, che con commovente immagine suggerisce che la vita è come l’enorme palazzo di Donnafugata, così esteso che anche il principe Fabrizio, il suo proprietario, non l’ha mai visitato per intero. Cosa di cui, peraltro, va ben fiero, perché soleva dire che un palazzo del quale si conoscessero tutte le stanze non era degno di essere abitato.
Una vita di cui abbiamo esplorato ogni angolo non è degna di essere vissuta. Ma il problema non è mai della vita, in effetti, ma del nostro modo di abitarla. Quando la viviamo come se avesse detto tutto di sé, la rendiamo un povero tugurio. Lo stesso vale, evidentemente, per le nostre relazioni, che sono tanta parte della nostra avventura sotto il cielo. Se una relazione è per me come un palazzo di cui ho visitato tutte le stanze, se ne varco la soglia come se non avesse più mistero, e nessun tesoro da offrire ancora, quella relazione è perduta. Soffocata dalla polvere, come ambienti in cui non avrò mai l’ardire e la curiosità di entrare.
I perplessi di Cafarnao non colgono l’occasione di varcare la soglia del grande palazzo della relazione con Gesù di Nazareth. Per loro quella dimora ha già consegnato ogni segreto. La loro sfiducia e il loro scetticismo impedisce loro di coglierne la misteriosa bellissima vastità.
Perché non ci capiti di ridurre la relazione con il Messia, e l’avventura stessa della vita, a un’arida e insulsa permanenza al di qua della soglia, il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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