La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo di rito ambrosiano 20 giugno 2021

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Domenica 20 giugno 2021. IV Domenica dopo Pentecoste. Anno B. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.


In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andaròno chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
(Mt 22, 1-14)

“Tutta quella città… non se ne vedeva la fine… / La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine? […] Non è quel che vidi che mi fermò / È quel che non vidi / Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi… lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne / C’era tutto / Ma non c’era una fine. Quel che non vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo / Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono ottantotto, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono ottantotto. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu / Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me / Ma se io salgo su quella scaletta e davanti a me si srotola una tastiera di milioni di tasti, milioni e miliardi / Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita / Se quella tastiera è infinita, allora / Su quella tastiera non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio / Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una / A scegliere una donna / Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire / Tutto quel mondo / Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce / E quanto ce n’è / Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla… / Io sono nato su questa nave. E qui il mondo passava, ma a duemila persone per volta. E di desideri ce n’erano anche qui, ma non più di quelli che ci potevano stare tra una prua e una poppa. Suonavi la tua felicità, su una tastiera che non era infinita. Io ho imparato così. La terra, quella è una nave troppo grande per me. È un viaggio troppo lungo. È una donna troppo bella. È un profumo troppo forte. È una musica che non so suonare. Perdonatemi. Ma io non scenderò. Lasciatemi tornare indietro. Per favore.
(A. Baricco, Novecento)

Il primo giorno di Gennaio del 1900 un macchinista di colore trova, sulla nave da crociera Virginian su cui lavora, un neonato in una cassa di limoni. Il bimbo riceve il nome di Novecento, e crescerà sulla nave, che sarà tutto il suo mondo. Vien fuori poi che ha nel sangue le note musicali, e dalla tastiera del pianoforte sa trarre melodie mai sentite.

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All’età di trentadue anni, per la prima volta, decide di scender dalla nave. Si prepara a quel passo, che segnerà una svolta decisiva nella sua vita. Ma quando è già sulla scaletta, la sua determinazione a scendere si sgretola, sotto il segreto improvviso lavorio del dubbio e della paura. Di fronte alla sconfinata rete di possibilità di scelta che vede dipanarsi ai suoi piedi si sente irrimediabilmente perso.

Ma le vedevi le strade?/ Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una / A scegliere una donna / Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire.

Novecento sente che il mondo è troppo grande, la vita sovrabbondante per le sue possibilità di coglierla, e si sente venir meno, inadeguato a far fronte a tutta quella incontenibile ricchezza.

C’è da pensare che qualcosa del genere provassero alcuni scribi e farisei davanti al modo di Gesù di stare al mondo e di raccontare Dio. Un senso di vertigine di fronte alla libertà profonda e impegnativa delle proposte del rabbino galileo. Che chiede di scendere dalla scaletta di schemi mentali troppo angusti, abbandonando il grembo rassicurante ma rugginoso e umidiccio di una visione di Dio che non gli fa giustizia. Gesù vuole che chi gli vien dietro affronti il mondo in tutta la sua ricchezza, drammatica bellezza, folle sovrabbondanza; che impari un po’ per volta, tentando e ritentando, a tracciar sentieri di vita e maturazione umana dentro il groviglio tumultuoso della storia. Vuole insegnare a godere con fiducia del dono di stare al mondo, e a rischiare l’avventura di diventar liberi sul serio.

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Il Padre mio è come un gran re che invita a far festa per le nozze del figlio. Voi, scribi e farisei reticenti, siete come invitati che, presi dalla vertigine di un gesto regale e gratuito, si rintanano nelle loro scuse, nei meandri dei loro piccoli riti ripiegati, e perdono l’occasione di entrare in uno sguardo più vasto e libero sul mondo. Di fronte al grande dono, voi risalite la scaletta.

Voi ritenete, con gli antichi, che Dio premia il buono e osteggia il malvagio. Ma Dio non è così. Voi suonate la musica delle idee su una tastiera troppo angusta. Il Gran Pianista trae le melodie della storia da una tastiera sconfinata, inesorabilmente troppo ampia per ridurla dentro schemi così meschini. Dio suona musica di vita e benedizione per ogni creatura sotto il cielo: “Andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali.

Se rifiuti il dono, se non ti fidi della bontà sempre sorprendente e drammatica della vita, perdi tutto, perdi te stesso e il mondo intero. Ma quando ti fai raggiungere dalla sua sovrabbondanza, allora silenziose forze ti spingono a cambiarti d’abito, ad assumere un’altra postura, a comportarti in altro modo. Accogliere il dono, lasciarti amare, genera in te una nuova vita. Se cominci a suonare sulla “tastiera di Dio”, quella musica ti spalanca a nuovi orizzonti, e non sai dove ti condurrà. Ma puoi star certo che sarà una grande avventura di amore e libertà, secondo il cuore del Padre mio.

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Nella grande avventura il Signore ci accompagni.

Don Paolo Alliata

Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.

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