Domenica 17 ottobre 2021. Dedicazione del Duomo di Milano. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. Ricorreva a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era inverno. Gesù camminava nel tempio, nel portico di Salomone. Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: «Fino a quando ci terrai nell’incertezza? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente». Gesù rispose loro: «Ve l’ho detto, e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste danno testimonianza di me. Ma voi non credete perché non fate parte delle mie pecore. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano. Il Padre mio, che me le ha date, è più grande di tutti e nessuno può strapparle dalla mano del Padre. Io e il Padre siamo una cosa sola»
(Gv 10, 22-30)
Si sveglia, ma non è più l’uomo di quando s’era addormentato. Vuole alzarsi, e non può; vuol muovere un braccio e non può, vuol muovere una gamba e non può; vuol voltare la testa, e non può voltarla. Se ne stupisce, ma non se ne addolora affatto. Comprende che è la morte, ma non se ne addolora. Si ricorda che Nikíta è sotto di lui, che s’è riscaldato ed è vivo. Gli sembra di esser Nikíta, gli sembra che Nikíta sia lui, e che la sua propria vita non sia in lui, ma in Nikíta. Tende l’orecchio e ode il respiro, e anche il flebile russare di Nikíta. «Nikíta è vivo, allora sono vivo anch’io», dice a se stesso.
(L. Tolstoj, Padrone e servo)
Vassíli è un mercante russo, al tempo degli zar, e Nikíta uno dei suoi servi. Il padrone non è un uomo cattivo, ma è molto concentrato sui propri affari e ha il vizio di rubacchiare qua e là, all’occasione, sempre teso a ricavar qualcosa a danno di chi fa affari con lui. E poi è avido. Costringe il servo a mettersi in viaggio con lui, nonostante il tempo minacci bufera, per andare a concludere l’acquisto di un boschetto che gli fa gola. Insomma, la bufera si scatena e loro ci si perdono. Dopo vani tentativi di orientarsi, e dopo che Vassíli ha cercato di salvarsi abbandonando il povero servo, per poi ritrovarsi al punto di partenza, avviene qualcosa nel cuore del padrone.
Di fronte al lamento di Nikíta, che rischia di morire congelato, passa all’azione – se ne sorprende lui stesso – lo libera dalla neve, gli si sdraia sopra (sul panchetto della slitta), lo copre con la sua pelliccia e rimane immobile per ore, nella gelida notte ventosa, per riscaldarlo con il proprio corpo. Il brano sopra riportato si inserisce a questo punto.
Quando si sveglia dal torpore in cui è scivolato, anticamera della morte, e si accorge di non potersi muovere, il suo pensiero fiorisce alla percezione del respiro di Nikíta. Gli sembra di esser Nikíta, gli sembra che Nikíta sia lui e che la sua propria vita non sia in lui, ma in Nikíta. Tende l’orecchio e ode il respiro e anche il flebile russare di Nikíta. «Nikíta è vivo, allora sono vivo anch’io», dice a se stesso.
Il Vangelo di Giovanni insiste a più riprese: il Figlio è venuto per dare la vita in abbondanza, “per dare la vita eterna”, cioè la partecipazione alla vita che circola tra Padre, Figlio e Spirito. La vita eterna è la vita divina, e il Figlio è sorto nel mondo per renderne partecipi i figli di Adamo. Per questo impegna il suo corpo e il suo respiro.
Anche lui, come Vassíli, vive perché i suoi servi (che ormai chiama “amici”, nel quarto vangelo) abbiano la vita. Muore per trasfondere la sua vita nel corpo dei suoi discepoli. “Le mie pecore […] io le conosco ed esse mi seguono. Io do loro la vita eterna e non andranno perdute”. La bufera del mondo non le ucciderà. Io mi pongo tra loro e la minaccia. È questa, dice Gesù, la mia opera: se la accogliete con fiducia vi parlerà del Padre mio e della mia intimità con Lui. “Ma voi non credete”, commenta desolato. E così restate nel buio della notte.
La “vita eterna” è, in Giovanni, l’amore del Padre, la comunione con Lui. Lo sappiamo tutti per esperienza: solo l’amore è generativo e dà la vita. Possiamo fare a meno di tanto, sotto il cielo, ma non dell’amore.
Nell’avventura di aprirci all’Amore che ci salva dal gelo di una morte disperata, il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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