Domenica 13 febbraio 2022. VI Domenica dopo l’Epifania. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
✠ In quel tempo. Lungo il cammino verso Gerusalemme, il Signore Gesù attraversava la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
(Lc 17, 11-19)
Arrivammo vicino al pianoforte. Non c’era nessuno in giro. Quasi buio, solo qualche lucina, qua e là. Novecento mi indicò le zampe del pianoforte. “Togli i fermi”, disse. La nave ballava che era un piacere, facevi fatica a stare in piedi, era una cosa senza senso sbloccare quelle rotelle. “Se ti fidi di me, toglili”. Questo è matto, pensai. E li tolsi. “E adesso vieni a sederti qua”, mi disse allora Novecento. Non lo capivo dove voleva arrivare, proprio non lo capivo. […] “Se non sali adesso, non sali più”, disse il matto sorridendo.
(A. Baricco, Novecento)
Novecento è il nome che un neonato abbandonato sul transatlantico Virginian ha ricevuto da uno dei marinai che l’ha trovato e poi cresciuto. Passano gli anni e il bimbo diventa grande sulla nave, e vien fuori che ha la musica nel sangue (magari perché i misteriosi genitori l’hanno lasciato accanto al pianoforte). Suona incomparabili melodie sulla tastiera dello strumento, accompagna chi lo ascolta nei suoi viaggi immaginari. È la trama di Novecento, monologo teatrale di Alessandro Baricco.
In una notte di burrasca, in piena traversata, l’io narrante del racconto (un suonatore di tromba in cerca di fortuna nelle Americhe) incontra Novecento, ormai giovane, per gli angusti corridoi. “Vieni”, lo invita quello, e lui barcollando gli va dietro. Fino alla sala del pianoforte.
Una relazione che inizia con una chiamata. Novecento passeggia leggero per il ventre della nave mentre tutto cigola e si schianta e ondeggia come nausea, e lui a passo lieto come “avesse i binari sotto i piedi”. L’autorevolezza di chi sa attraversare la tempesta, e ti si fa incontro come un’apparizione che non puoi ignorare.
Così Gesù, secondo il racconto dei Vangeli, si fa incontro ai primi discepoli. “Vieni”, dice Novecento al giovane suonatore di tromba che si è perso nel ventre del Virginian. Con la stessa autorevolezza Gesù, nel pieno della tempesta di vento che infuria sul lago di Tiberiade (Mt 14,22-33), dirà a Pietro: “Vieni”, invitandolo a partecipare alla sua capacità di dominare la violenza delle acque sconvolte dal turbinio degli elementi.
Come il giovane nel racconto di Baricco, così Pietro si fida della parola che gli è offerta, perché intuisce in colui che gliela pone una potenza benevola e misteriosa. “Se ti fidi di me, toglili [i freni]”: una bella immagine per raccontare qualcosa di quel misterioso orientamento della vita che è la fede. La fede ha un’evidente componente di rischio. “Se non sali adesso, non sali più…”: e il giovane deve decidere se rischiare, se stare a reggersi ai corrimano della sala o sedersi accanto al misterioso pianista sull’oceano.
Rischiare. È il grande tema della pagina di Luca. Non appena Gesù sente l’invocazione dei dieci lebbrosi, li raggiunge la sua parola: li invita a fidarsi di lui, come a sedersi di fianco a lui nella tempesta. “Andate a presentarvi ai sacerdoti”. La Torah prescrive che chi è stato colpito dalla lebbra non potrà avere più alcuna relazione sociale con i sani del villaggio, dovrà essere allontanato dalla comunità, nella quale potrà essere riammesso solo dopo che il sacerdote abbia constatato che la malattia ha finito il suo corso e abbandonato il corpo ormai guarito.
Quando Gesù dice ai dieci di andare dai sacerdoti, nulla ancora è avvenuto in loro: la loro carne non mostra segni di guarigione, non c’è ragione di andare in città (tanto più che in Galilea i sacerdoti erano rari, si può immaginare un lungo cammino, magari fino a Gerusalemme, a quasi una settimana di distanza). Che si mettano in viaggio per andar dietro alla parola del rabbino di Nazaret è segno certo della loro fiducia in lui. Fede, appunto.
Sempre di nuovo, ma in certi passaggi esistenziali in modo particolarmente intenso, ci raggiunge la parola di Gesù, come quella di Novecento: “Se ti fidi di me, togli i freni”, “Se non Sali adesso, non sali più”.
Salirò?
Il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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