La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo del 9 febbraio 2025

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V Domenica dopo l’Epifania. Vengo dalla luna Commento al Vangelo del rito ambrosiano, di don Alessandro Noseda.

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✠ Vangelo
Mt 8, 5-13

«La vita reale… invece è imprevedibile
e non è frutto di qualcosa già scritto
su un libro che hai già letto tutto.
Io vengo dalla luna…»

Caparezza, Vengo dalla luna (Verità supposte, 2004)

V domenica dopo l’Epifania, nel rito ambrosiano. Gesù entra in Cafarnao, che è la “sua” città, anche se di adozione, quella da cui provengono i primi discepoli, quella in cui i pescatori di pesci diventano pescatori di uomini. È la città del paralitico per cui gli amici scoperchiano il tetto, e in cui l’evangelista che scrive il brano di oggi è diventato discepolo.

Cafarnao si trova in quella che la Bibbia definisce “Galilea delle genti” (Is 8,23), una periferia disprezzata dai giudei più osservanti, che arricciano il naso davanti all’accozzaglia di culture che la caratterizzano, stimandola troppo pagana per custodire la purezza della fede.

La scelta di Gesù, invece, cade proprio su quella terra, e sebbene non tutti si convertano, di fede – laggiù – se ne scopre tanta. Nel Vangelo di oggi il Maestro incontra un pagano del quale tesse la lode: “In Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande!”. Le parole di quest’uomo, lontano dall’avere il pedigree dei “figli del Regno”, le conosciamo tutti; sono rimaste così impresse nella memoria della Chiesa da essere entrate nel rito della Messa: “Io non sono degno… ma di’ soltanto una parola…”.

Come è possibile che questo autentico “alieno” abbia fatto scuola a tal punto?

C’è una straordinaria canzone di Caparezza, dal titolo “Vengo dalla luna”, che rappresenta una critica esplicita ai pregiudizi sociali contro chi è nato in un posto diverso da quello in cui si trova a vivere. Il concetto viene estremizzato sostenendo che il diverso posto di provenienza del cantautore sia la luna, e che nonostante ciò non vi siano vere ragioni per cui debba essere vittima di pregiudizio.

Mi rendo conto che il Signore di pregiudizi non ne ha, e non solo dal punto di vista razziale o sociale, ma anche per quel che riguarda la natura stessa della fede: chi nel Vangelo incontra Gesù vive una storia pressoché unica, e ciascuno dei racconti che conosciamo, fa emergere non un solo modo di credere, ma un’avventura imprevedibile che coinvolge e schiude universi sempre nuovi.

Se invece trattiamo l’esperienza di fede come un libro che abbiamo già letto tutto, rischiamo di essere noi quelli fuori dal mondo, alieni rispetto al punto di vista di Gesù, proprio come accade alla fine del video della canzone di Caparezza, in cui gli inseguitori che cercavano di braccare il cantante tolgono la maschera e si rivelano creature di un altro pianeta.

L’atteggiamento giusto non è, dunque, quello di “dire” a tutti come l’incontro con Gesù debba avvenire, ma raccontare come è avvenuto per sé, e poi mettersi in ascolto del racconto che l’altro può fare, di quando anche lui ha incontrato il Signore.

Don Alessandro

Don Alessandro Noseda. Nato a Cantù nel 1974. Dopo gli studi classici e la formazione teologica nel Seminario di Venegono, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Svolge dapprima il suo ministero a Milano come assistente degli Oratori della parrocchia di San Giovanni Battista alla Bicocca e successivamente della parrocchia del Santissimo Redentore. Dal 2007 al 2011 è cappellano presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Attualmente è parroco nella parrocchia di Gesù a Nazaret, Quartiere Adriano.

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