VI Domenica dopo l’Epifania. No grazie? Commento al Vangelo del rito ambrosiano, di don Alessandro Noseda.
✠ Vangelo
Lc 17, 11-19
«Davvero, grazie ma no
Storia triste, aspettative basse»
Willie Peyote, Grazie ma no grazie (Sanremo 2025)
Dieci lebbrosi si fanno avanti e chiedono a Gesù di essere risanati. L’avranno sicuramente cercato, ma certo nascondendosi come ladri e gridando forte per chiedere a distanza se qualcuno lo avesse visto. Magari avranno inseguito voci e clamori di folle che potevano solo spiare da lontano.
La loro è la condizione dei malati contagiosi, che imponeva – per legge – di non avvicinarsi ad anima viva e li obbligava a girare con un campanello gridando “Impuro! Impuro!”, così da avvisare della loro presenza. Le vacche al pascolo – almeno loro – la campana al collo ce l’hanno per richiamarlo, il pastore, non per allontanarlo!
Quando finalmente i disgraziati trovano Gesù, gridano ad alta voce: “Gesù, maestro, abbi pietà di noi!”. E Gesù li risana, dicendo loro: “Andate a presentarvi ai sacerdoti!”. Il comando non è per scacciarli, ma perché possano essere dichiarati guariti, come prevede il libro del Levitico (14,2-32).
È un momento esplosivo, una svolta unica e straordinaria per la loro vita. Sono dieci, eppure uno solo torna a ringraziare: un Samaritano.
Non sappiamo perché gli altri non siano tornati, ma il Vangelo ci dice che di fronte ad un dono gratuito, inatteso, non meritato ma solamente sperato, solo uno su dieci ha portato a termine la parabola della riconoscenza.
Mi imbatto per pura coincidenza in una canzone di Sanremo, presentata proprio tre giorni fa. Si intitola “Grazie ma no grazie” e sembra sia la risposta che l’artista dà a tutti gli ipocriti, ai nostalgici del regime, ai vittimisti, ma anche soltanto a chi esprime opinioni non richieste. L’espressione “no grazie”, già presente nel Cyrano de Bergerac di Edmond Rostand, mi pare la traslitterazione del nostro gergale “anche no”, che usiamo per sancire l’inadeguatezza di qualcosa che andrebbe evitato.
“Anche no”, o “grazie ma no grazie”: espressioni che dicono che il nostro tempo dissente, che non ci sta, che punta il dito contro questo o quello perché è stufo di tante cose. Sono atteggiamenti sacrosanti, perché l’intelligenza è anche dissenso, reazione, indignazione.
Ma guai a togliere la riconoscenza, quasi che la cifra di un tempo e di un’epoca sia solo quella dell’insoddisfazione. Sarebbe come negare che c’è salvezza. E magari, invece, abbiamo ricevuto tutto e siamo stati capaci di dimenticarlo. Come quei nove, il giorno in cui invocarono e furono esauditi.
Don Alessandro
Don Alessandro Noseda. Nato a Cantù nel 1974. Dopo gli studi classici e la formazione teologica nel Seminario di Venegono, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Svolge dapprima il suo ministero a Milano come assistente degli Oratori della parrocchia di San Giovanni Battista alla Bicocca e successivamente della parrocchia del Santissimo Redentore. Dal 2007 al 2011 è cappellano presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Attualmente è parroco nella parrocchia di Gesù a Nazaret, Quartiere Adriano.
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