I Domenica dopo il martirio di san Giovanni il Precursore. Il “best man”. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Alessandro Noseda.
✠ Vangelo
Gv 3,25-36
Rito ambrosiano, I domenica dopo il martirio di Giovanni. Precursore, battista, profeta: dopo Gesù, Giovanni è il personaggio che nei Vangeli ha più “soprannomi”, o se volete più aggettivi. Lui, però, di sé stesso ha detto solo di essere “voce” e di essere “amico dello sposo”:
“Io sono voce di uno che grida nel deserto” (Gv 1,23).
“…l’amico dello sposo che è presente e lo ascolta, esulta di gioia…” (Gv 3,29).
L’unione di questi due termini mi ha subito fatto pensare al cosiddetto “best man”. Nella cultura anglosassone, il “best man” (letteralmente “miglior uomo”) è colui che ha il compito di assistere lo sposo durante la cerimonia e i festeggiamenti e soprattutto di tenere un discorso augurale per la coppia, seguìto da un brindisi finale. Questo ruolo si deve riservare ad un fratello, o meglio ancora all’amico più vicino allo sposo.
Giovanni è il “best man” di Gesù, colui che della sua vita ha fatto un discorso che introduce “il suo amico” e narra del suo progetto d’amore. Se Giovanni è arrivato a tanto, allora la buona notizia è che quella meta è possibile: si può essere amici del Figlio di Dio, pur restando polvere di stelle, creature negli immensi spazi e tempi dell’universo che sono e durano meno di niente. Amici per sempre. Perché Lui ha voluto così.
Giovanni però dice anche che l’amicizia è esigente. Parlare di Cristo come di un “amico” non è qualcosa che possa essere banalizzato; bisogna che la nostra vita, in ogni sua fibra, diventi un discorso che parla di Lui.
C’è una bella preghiera di un grande sacerdote, di nome don Luigi Serenthà, che ha bene espresso tutto questo; ne cito una parte:
Tu mi basti, Signore:
il mio cuore,
il mio corpo, la mia vita,
nel suo normale modo di vestire,
di alimentarsi, di desiderare
è tutta orientata a Te.
Io vivo nella semplicità
e nella povertà di cuore;
non ho una famiglia mia,
perché Tu sei la mia casa,
la mia dimora, il mio vestito,
il mio cibo,
Tu sei il mio desiderio.
Don Luigi Serenthà (Tu sei i miei giorni)
Sono parole bellissime, che Giovanni Battista ha incarnato a sua volta, e che solo “i migliori” sanno vivere. Forse, però, anche noi possiamo dirci amici di Gesù, se – pur non essendo i migliori – desideriamo almeno di diventare migliori. E visto che abbiamo iniziato con l’inglese mi verrebbe così: “If not the best, at least the better”.
Don Alessandro
Don Alessandro Noseda. Nato a Cantù nel 1974. Dopo gli studi classici e la formazione teologica nel Seminario di Venegono, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Svolge dapprima il suo ministero a Milano come assistente degli Oratori della parrocchia di San Giovanni Battista alla Bicocca e successivamente della parrocchia del Santissimo Redentore. Dal 2007 al 2011 è cappellano presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca. Attualmente è parroco nella parrocchia di Gesù a Nazaret, Quartiere Adriano.
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.