Domenica 9 febbraio 2020. V Domenica dopo l’Epifania, Anno A. Commento al Vangelo di rito ambrosiano, di don Paolo Alliata.
In quel tempo. Il Signore Gesù andò di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea. (Gv 4, 46-54)
«Alcuni dicono che, quando è detta, la parola muore. Io dico invece che proprio quel giorno comincia a vivere».
È un pensiero di Emily Dickinson. La scrittrice sta riflettendo sulla potenza della parola, che una volta pronunciata acquisisce vigor di creatura, comincia a respirare e a camminare con le sue gambe. Può diffondersi come un virus, se ha la natura del pettegolezzo o il fetore della calunnia, o scaldare e dar forza come un fuoco, se è radicata nella potenza della verità.
Resta il fatto che la parola è come un seme: ha bisogno di terreno buono per attecchire. A Cana di Galilea era già avvenuto (Gv 2,1-12) che cuori disponibili si fossero fatti terreno accogliente a un comando di Gesù. Alle sfortunate nozze di quei due giovani, lo sconosciuto rabbino di Nazaret aveva sfidato i servi di casa: andate a prendere acqua per le abluzioni. Era un comando parecchio strano: se è finito il vino, perché questo qui pensa all’acqua per lavarsi? Quelli si erano fidati, avevano dato credito alla sua parola, e ne erano scaturiti seicento litri di gioia.
È ancora a Cana, la fortunata cittadina sulle colline di Galilea, che Gesù affida la sua parola a un cuore travagliato: un padre implora per il suo bimbo, agonizzante a molte ore di cammino da lì. Gesù prima lo prepara – ti fidi davvero della mia parola? O pretendi in anticipo gesti clamorosi? – e poi lo mette davanti al bivio. Ora il funzionario dovrà decidere: scenderà a Cafarnao, dove si trova il figlio, aggrappandosi alla nuda parola del rabbino? Oppure cederà allo sconforto di chi dice “Come faccio a fidarmi? E se poi arrivo là e non è cambiato niente?”.
Perché la Parola cominci a vivere e trasformare il mondo ha bisogno di un cuore accogliente per attecchire.
Siamo tutti impegnati ad imparare: diventare terreno profondo.
Il Signore ci accompagni.
Don Paolo Alliata
Don Paolo Alliata. Nato a Milano nel 1971, dopo la laurea in Lettere classiche all’Università degli Studi di Milano, viene ordinato sacerdote nel 2000 dal card. Carlo Maria Martini. Attualmente è vicario della comunità pastorale Paolo VI per la parrocchia di Santa Maria Incoronata a Milano. Autore di testi teatrali sull’Antico e sul Nuovo Testamento, è responsabile dell’Ufficio per l’Apostolato Biblico della Diocesi di Milano. Fra le sue pubblicazioni, Dove Dio respira di nascosto. Tra le pagine dei grandi classici (Milano, Ponte alle Grazie, 2018) e C’era come un fuoco ardente. La forza dei sentimenti tra Vangelo e letteratura (Milano, Ponte alle Grazie, 2019). Da due anni le sue omelie sono raccolte su un canale YouTube.
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