3 novembre 2019. Seconda domenica dopo la Dedicazione, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.
Il tema di questa domenica nel rito ambrosiano è quello dell’universale vocazione dei popoli alla salvezza. Il Vangelo che viene proclamato è quello della parabola del banchetto di nozze.
Vangelo della Messa (Matteo 22, 1-14)
In quel tempo. Il Signore Gesù riprese a parlare loro con parabole e disse: «Il regno dei cieli è simile a un re, che fece una festa di nozze per suo figlio. Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non volevano venire. Mandò di nuovo altri servi con quest’ordine: “Dite agli invitati: Ecco, ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e gli animali ingrassati sono già uccisi e tutto è pronto; venite alle nozze!”. Ma quelli non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari; altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero. Allora il re si indignò: mandò le sue truppe, fece uccidere quegli assassini e diede alle fiamme la loro città. Poi disse ai suoi servi: “La festa di nozze è pronta, ma gli invitati non erano degni; andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Usciti per le strade, quei servi radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni, e la sala delle nozze si riempì di commensali. Il re entrò per vedere i commensali e lì scorse un uomo che non indossava l’abito nuziale. Gli disse: “Amico, come mai sei entrato qui senza l’abito nuziale?”. Quello ammutolì. Allora il re ordinò ai servi: “Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti”. Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti».
Commento
La parabola del banchetto di nozze è presente anche nel Vangelo secondo Luca (14, 16-24) e nell’apocrifo Vangelo di Tommaso (64). Nel Vangelo secondo Matteo (21, 1-16) questa parabola del regno fa parte di una serie di insegnamenti che Gesù fece dopo l’ingresso in Gerusalemme, nell’ambito delle discussioni tra Lui e i capi del giudei che stavano tramando per la sua condanna a morte (21,12-25,46). La parabola allude a fatti ben noti ai contestatori di Gesù.
Intanto, ricordiamo che “regno dei cieli” è un’espressione che nel Vangelo secondo Matteo equivale a “regno di Dio”, dove la parola “Dio” non è usata per riguardo ai giudeo-cristiani, i cristiani provenienti dal giudaismo, per i quali il nome di Dio (Jahvè) non andava mai pronunciato, per non correre il rischio di nominarlo invano. Il “regno dei cieli” indica la sovranità di Dio su tutte le cose ed è in contrapposizione ai regni terreni. Il complemento “di Dio” è un complemento di specificazione soggettivo, dove Dio è il soggetto che regna nel cuore degli uomini, quindi possiamo dire che il regno di Dio è l’immagine della vita eterna in paradiso, ma che comincia a realizzarsi su questa terra. La Chiesa è a servizio del Regno, non è il regno di Dio su questa terra, e neppure lo è un regno terreno della cristianità.
Il re della parabola indica Dio Padre, il figlio del re è Gesù Cristo. Le nozze del figlio del re sono le nozze tra Cristo e la Chiesa. Lo sposalizio tra Cristo e la Chiesa è un’immagine, usata anche dall’apostolo Paolo (Lettera agli Efesini 5, 21-32) per indicare l’amore che Gesù ha per la Chiesa, cioè per i suoi discepoli. Questo amore è paragonabile a quello del marito per la moglie, al punto che lo stesso amore sponsale ha come modello quello di Cristo per la Chiesa. Il banchetto faceva parte del rituale delle nozze degli ebrei del tempo di Gesù e delle usanze dei popoli vicini, come fa parte delle usanze di molti ancora oggi. Nella Bibbia il banchetto è un’immagine del regno di Dio: in paradiso la vita dei beati è rappresentata con l’immagine del banchetto celeste dell’Agnello (Apocalisse 19, 1.5-9a), dove l’Agnello è il Figlio di Dio immolato nel sacrificio della croce per la salvezza degli uomini.
L’Eucaristia è l’anticipazione sulla terra di quel banchetto, tant’è che Gesù la istituì nell’ultima sua Cena prima della Passione, nel contesto del banchetto pasquale in cui si consumava un agnello, in ricordo del sangue dell’agnello sparso sugli stipiti delle case degli ebrei in Egitto. Il sangue di quell’agnello rappresentò la salvezza del popolo dalla morte che colpì le case degli Egizi, in quanto, dopo tale evento, il faraone si decise a lasciare liberi gli ebrei, considerati responsabili delle disgrazie che avevano colpito il popolo (Esodo 12, 21-32). Per questo nella Liturgia il sacerdote nel presentare al popolo il Pane eucaristizzato dice: «Beati gli inviati alla Cena del Signore. Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo». Alle perplessità di chi non può rimanere sconcertato di fronte a un Dio che vuole la morte dei primogeniti degli Egizi, ricordiamo che non si tratta mai di una volontà di morte espressa da Dio, ma dell’interpretazione di un evento accaduto e permesso da Dio, il quale prepara il popolo che si è scelto per rivelarsi e incarnarsi in Gesù Cristo.
Gli invitati alle nozze sono i sudditi del re, storicamente i giudei. I servi sono i profeti che annunciavano la salvezza del popolo e le condizioni perché si realizzasse, in particolare la fedeltà a Jahvè, evitando l’idolatria, e la pratica della giustizia. Poiché gli antichi profeti non furono ascoltati, Dio mandò al popolo altri profeti, ma anche in questo caso molti non ascoltarono i loro appelli alla conversione, perché attratti dai loro interessi terreni, anzi ci fu chi li insultò e li uccise, come avvenne per molti giusti fino al profeta Zaccaria (cfr. Vangelo secondo Matteo 23, 29-35; Secondo Libro delle Cronache 24, 20-21) e come avverrà per Gesù di lì a poco. In conseguenza di queste disobbedienze, Gesù narra che il re condannò a morte gli invitati assassini e distrusse le città, allusione ai fatti storici della dominazione babilonese avvenuta nel 586 a.C. (vedi Secondo Libro dei Re 24-25 e Secondo Libro delle Cronache 36, 11-21), ma che ritorneranno con la rovina di Gerusalemme e del Tempio, distrutti da Tito nel 70 d.C.. Dopo i rifiuti degli invitati, Dio manda i suoi servi, che sono i discepoli di Gesù, ad invitare altre persone, cattive o buone che fossero, anche cercandole ai crocicchi delle strade, dove mendicavano i poveri, ma Gesù allude anche agli altri popoli. Tutti i popoli, infatti, sono chiamati al banchetto, cioè alla salvezza.
Uno degli invitati non ha l’abito di nozze e viene non solo cacciato dal banchetto, ma gettato nel regno delle tenebre, immagine dell’inferno. L’abito nuziale era una veste da cerimonia che doveva essere indossata obbligatoriamente da chi partecipava alle nozze. Chi non l’aveva, poteva prenderla in prestito gratuitamente all’ingresso della sala, quindi tale macanza è grave. Quell’uomo aveva rifiutato l’abito nuziale, ritenendo l’invito al pranzo non un dono del re, ma un’occasione da sfruttare a proprio vantaggio. Gesù vuol fare intendere ai capi del popolo e ai farisei che come si era comportato quell’uomo così essi avevano stravolto la fede per un loro vantaggio.
Quell’uomo senza l’abito nuziale può essere ciascuno di noi, ma anche la Chiesa, la diocesi o la parrocchia, quando perseguiamo i nostri meschini interessi o quelli della comunità senza un’apertura verso gli altri. Questa universale vocazione di tutti i popoli alla salvezza non è compatibile con quella visione del cattolicesimo che viene sostenuta in Italia da ambienti di cattolici conservatori e da qualche partito, che riducono il cattolicesimo ad un valore identitario della nazione, la quale, secondo loro, dovrebbe difendersi da quella che chiamano “invasione per islamizzare l’Europa”, mentre si tratta di figli di Dio che scappano dai lager libici o da altre situazioni simili.
C’è anche un’interpretazione teologica di questa parabola che sentii dal mio parroco più di cinquant’anni fa: l’abito nuziale è la grazia che Dio ci dà nel Battesimo perché possiamo possedere la vita eterna, ma anche per poter accedere all’Eucaristia. E se dovessimo perdere la grazia con il peccato mortale, sappiamo che con la Confessione Dio ci ridona la grazia.
Don Ezio
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