La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo ambrosiano del 28 luglio 2019

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28 luglio 2019. VII Domenica dopo Pentecoste, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.

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Nel rito ambrosiano, in questa settima domenica dopo Pentecoste dell’anno C viene proclamata la conclusione del discorso di Gesù sul pane di vita.

Vangelo della Messa (Giovanni 6, 59-69)
In quel tempo. Il Signore Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao. Molti dei suoi discepoli, dopo aver ascoltato, dissero: «Questa parola è dura! Chi può ascoltarla?». Gesù, sapendo dentro di sé che i suoi discepoli mormoravano riguardo a questo, disse loro: «Questo vi scandalizza? E se vedeste il Figlio dell’uomo salire là dov’era prima? È lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che io vi ho detto sono spirito e sono vita. Ma tra voi vi sono alcuni che non credono». Gesù infatti sapeva fin da principio chi erano quelli che non credevano e chi era colui che lo avrebbe tradito. E diceva: «Per questo vi ho detto che nessuno può venire a me, se non gli è concesso dal Padre». Da quel momento molti dei suoi discepoli tornarono indietro e non andavano più con lui. Disse allora Gesù ai Dodici: «Volete andarvene anche voi?». Gli rispose Simon Pietro: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna e noi abbiamo creduto e conosciuto che tu sei il santo di Dio».

Commento
Il tema del Vangelo di questa domenica è quello della fede. Lo si comprende considerando quanto precede nello stesso capitolo VI del Vangelo secondo Giovanni. Gesù era stato ricercato dalle folle come taumaturgo (vedi Giovanni 6,2). Il divino Maestro aveva sfamato migliaia di persone che lo avevano seguito, con il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci (versetti 5-13). Le folle lo riconoscono come il profeta annunciato da Mosè (Deuteronomio 18,15: «Il Signore Dio susciterà per te, fra i tuoi fratelli, in mezzo a te, un profeta come me»), e pensano di farlo re, evidentemente perché potesse liberare la nazione dal dominio di Roma; per questo Gesù si allontana dalla folla (versetti 14-15). Il giorno dopo, però, la folla lo raggiunge a Cafarnao (versetti 16-25) e Gesù nella sinagoga tiene il discorso sul pane di vita, ben più importante del miracolo che aveva fatto il giorno prima (versetti 26-58). Si tratta, quindi, di credere che Egli è il Figlio di Dio e il pane vivo disceso dal cielo per dare la vita eterna a chi mangerà di quel pane.

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Veniamo, quindi, al testo del Vangelo di questa domenica. Il discorso di Gesù non è accettato da molti degli stessi suoi discepoli, cioè da coloro che lo avevano seguito riconoscendolo come profeta, e a causa di questo discorso per essi duro, se ne vanno. È lo stesso Gesù che afferma che la fede in Lui è un dono di Dio Padre. Questo dono è stato ricevuto dai dodici apostoli, a nome dei quali Simon Pietro fa la professione di fede.
Che la fede sia essenzialmente un dono che non tutti possiedono è un dato di fatto, ma come mai questo avvenga rimane un mistero incomprensibile, fuori dalla logica umana. Tra l’altro la fede non è strettamente legata alla santità di vita, in quanto constatiamo che ci sono persone naturalmente buone che non hanno la fede e persone che, pur avendo la fede, vivono nel peccato. Neppure si può dire propriamente che la fede si possa perdere. Caso mai con questa espressione s’intende la perdita di una pseudo-fede infantile che non è mai maturata in un atto di fede consapevole. Vi sono poi diversi tipi di fede: vi è la fede dogmatica e la fede fiduciale. La prima è la fede nei dogmi e la seconda quella nella Provvidenza. Per quanto riguarda i dogmi, vi sono varietà di credenze che hanno originato nella bimillenaria storia della Chiesa una quantità incribile di eresie e di scismi. Si tratta, comunque, di una fede sostenuta dalla divina Rivelazione e dalla ragione, perché non vi è un dogma che sia irragionevole. La fede nella Provvidenza, invece, richiede un’adesione a Dio che è messa alla prova dalla sofferenza che vediamo nel mondo e talvolta nella stessa vita di ciascuno di noi. A chi nella vita non è mai capitato di dire la stessa frase pronunciata da Gesù in croce: «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Matteo 27, 46; Marco 15, 34). Va ricordato, per altro, che Gesù non è mai stato abbandonato da Dio né poteva esserlo, essendo lui stesso Dio, ma in quella frase Gesù, con la sua natura umana, rappresenta tutta l’umanità che si sente abbandonata da Dio, come ha osservato mirabilmente sant’Agostino nel commento al Salmo 58.

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Vivere la fede cinquant’anni fa, in Italia, era una cosa naturale, anzi ci voleva del coraggio a vivere in modo non conforme alla fede. In questo senso, si correva il rischio del formalismo religioso. La rivoluzione culturale dovuta al consumismo e all’edonismo, che si è manifestata in modo aperto con la “contestazione globale” del Sessantotto, che ho vissuto in prima persona, ha portato alla progressiva scristianizzazione dell’Italia, preceduta da altri Paesi europei nei decenni precedenti. Così, poco per volta, si è giunti alla situazione attuale, dove per un giovane manifestare la propria fede nel contesto della scuola statale, dell’università o sul posto di lavoro spesso diventa molto difficile. È più che mai necessario il supporto della parrocchia, dell’oratorio o di un gruppo in cui il giovane possa condividere la propria fede con altri giovani. Ecco, quindi, anche l’importanza delle iniziative di aggregazione giovanile e in particolare delle Giornate Mondiali della Gioventù come esperienza forte di fede e di fraternità tra i giovani di tutto il mondo.

Alcuni cattolici tradizionalisti, che hanno la memoria corta, affermano, invece, che le chiese si siano svuotate a partire dal 2013 con l’elezione di Francesco al soglio pontificio e attribuiscono al papa attuale la responsabilità dell’abbandono della pratica religiosa delle masse. Per quanto agguerrita sui social, rappresentano un’esigua minoranza. Sono per lo più gli stessi che fanno un uso distorto della religione come un valore identitario dell’Italia da salvaguardare nei confronti degli immigrati. Noi crediamo, invece, che nella Chiesa sia più che mai attivo quello Spirito Santo che dà la vita, di cui parla Gesù nel Vangelo che abbiamo commentato. Quello stesso Spirito Santo spinge le persone al bene anche se non sono cattolici romani o magari credono di non credere, perché Dio non è cattolico, come ha detto giustamente Francesco, ma è padre di tutti gli uomini e vuole che tutti siano salvati (cfr. Prima Lettera a Timoteo 2,4).

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Don Ezio

Nato a Caltignaga (No) il 12 febbraio 1953, mostra un precoce interesse per la comunicazione, coniugando opere parrocchiali, impegno sociale e la cronaca per il settimanale cattolico “L’Azione” e per il telegiornale dell’emittente cattolica Tele Basso Novarese. Spiccata la passione per l’ambiente, che nel 1976 lo vede tra i fondatori dell’Associazione “Pro Natura Novara”, nella quale mantiene tutt’ora un ruolo attivo. È stato vice-presidente della Federazione nazionale “Pro Natura”. Laureato in Scienze biologiche, da sacerdote salesiano svolge il proprio ministero in diverse case del Piemonte e in Svizzera, dove insegna matematica e scienze nelle scuole medie. Per trent’anni si occupa del Museo Don Bosco di Storia Naturale e delle apparecchiature scientifiche del liceo Valsalice di Torino. Nel 2016 fonda a Novara il Museo scientifico-tecnico “Don Franco Erbea”. Dall’ottobre 2018 è incaricato della Biblioteca salesiana ispettoriale nella Casa Madre di Valdocco, in Torino.

Nell’immagine: Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Cristo risorto, XV-XVI sec., Milano, Basilica di Sant’Ambrogio (particolare).

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