25 agosto 2019. Domenica che precede il martirio di san Giovanni il precursore, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.
Nel rito ambrosiano, la ricorrenza del martirio di san Giovanni Battista, il 29 agosto, fa da riferimento ad un nuovo periodo dell’anno liturgico. Pertanto il numero delle domeniche dopo Pentecoste varia in relazione alla data della Pasqua. L’ultima non viene mai omessa e viene celebrata nella domenica che precede la ricorrenza del 29 agosto: nell’anno C viene proclamato il passo del Vangelo che contiene i detti di Gesù sulla necessità di diventare come i bambini per entrare nel regno dei cieli e sullo scandalo.
Vangelo della Messa (Matteo 18, 1-10)
In quel tempo. I discepoli si avvicinarono al Signore Gesù dicendo: «Chi dunque è più grande nel regno dei cieli?». Allora chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse: «In verità io vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque si farà piccolo come questo bambino, costui è il più grande nel regno dei cieli. E chi accoglierà un solo bambino come questo nel mio nome, accoglie me. Chi invece scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, gli conviene che gli venga appesa al collo una macina da mulino e sia gettato nel profondo del mare. Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che vengano scandali, ma guai all’uomo a causa del quale viene lo scandalo! Se la tua mano o il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, anziché con due mani o due piedi essere gettato nel fuoco eterno. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, cavalo e gettalo via da te. È meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna del fuoco. Guardate di non disprezzare uno solo di questi piccoli, perché io vi dico che i loro angeli nei cieli vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli».
Commento
L’ambizione porta i discepoli di Gesù a chiedergli chi sia più grande nel regno dei cieli. Gesù, chiamando a sé un bambino, prende l’occasione per ricordare che la cosa più importante è come entrare nel regno dei cieli e non chi sarà il più grande. Per questo occorre convertirsi, che significa “cambiare mentalità”, “cambiare modo di pensare” riguardo evidentemente alla legge di Dio che non va osservata in quanto legge per meritare di entrare nel regno dei cieli, come pensavano i farisei, ma come criterio, linea-guida per così dire, per esprimere il nostro amore per Dio e per il prossimo, in quanto la vita eterna è essenzialmente un dono di Dio. Inoltre, Gesù dice che bisogna diventare come i bambini, bisogna diventare cioè persone semplici che si affidano a Dio come i bambini nella loro semplicità hanno fiducia della mamma. Quindi, Gesù entra nel merito della domanda e risponde che il più grande nel regno dei cieli è quello che si farà piccolo come il bambino che aveva davanti a sé in quel momento. Notiamo che nella domanda i discepoli avevano chiesto chi è più grande, mentre Gesù risponde che chiunque è il più grande. Con questo tipo di risposta Egli sottolinea che non è importante sapere chi sia il più grande.
Possiamo ricordare a questo proposito altre risposte simili che Gesù ha dato. Una è quella relativa al Battista quando disse che «Fra i nati da donna non vi è alcuno più grande di Giovanni, ma il più piccolo nel regno di Dio è più grande di lui» (Luca 7, 28). In quel caso Gesù dichiarava che Giovanni Battista era il più grande come profeta, ma sottolineava la situazione migliore di chi entra nel regno di Dio dopo la sua morte e risurrezione, per cui il più piccolo nel regno di Dio, rispetto al Battista si trova a vivere nel tempo della salvezza realizzata con la Pasqua. L’altra risposta è quella che Gesù diede alla madre dei figli di Zebedeo, gli apostoli Giacomo e Giovanni, la quale chiedeva che Egli le promettesse che nel regno dei cieli i figli sarebbero stati seduti uno alla destra e uno alla sinistra di lui: Egli le disse che la sua missione era quella di bere il calice della passione, cosa che gli stessi discepoli avrebbero dovuto essere pronti a fare, spiegando poi agli altri dieci apostoli che la loro autorità doveva essere a servizio come la sua (vedi Matteo 20, 20-28; Marco 10, 35-45; Luca 22, 24-27).
Questo insegnamento di Cristo ci ricorda che le autorità religiose e civili devono essere a servizio del bene comune e non delle proprie ambizioni. Del resto le espresioni “ministro del culto” e “ministro segretario di Stato” o “Consiglio dei ministri” indicano nel nome la missione della carica. Nella storia europea, con l’appannaggio delle cariche da parte della nobilità, questo non è avvenuto molto spesso sia in ambito civile sia in ambito ecclesiastico. I sovrani e i nobili santi sono lodevoli eccezioni. Nella Chiesa attuale, libera dai condizionamenti del passato, possiamo dire tranquillamente che questa è una realtà consolidata. Sporadici casi di sacerdoti, abati e vescovi che hanno utilizzato il denaro della comunità per sé sono stati individuati e nei loro confronti è scattata la rimozione dall’ufficio.
Il passo del Vangelo contiene altri insegnamenti di Gesù collegati ai bambini e ai piccoli. Il divino Maestro dice che accogliere anche un solo bambino nel suo nome equivale ad accogliere Lui stesso. Vedere nei bambini il volto di Gesù ed anche la tenerezza del Padre direi che sembra una cosa scontata per un credente e invece leggo esterrefatto sui quotidiani lo sprezzo da parte di italiani, sicuramente credenti e praticanti, nei confronti di naufraghi dell’Africa nera, comprese donne incinte, che non dovrebbero venire qui a partorire terroristi. A parte l’insensatezza di tale frase, poiché nessuno sa che cosa faranno da grandi i figli degli immigrati e i figli degli italiani, come siano lontani dal Vangelo! Le critiche che spesso vengono rivolte alla Chiesa e alla società civile, che non si curerebbe dei poveri nei paesi di orgine, sono ingiuste perché esistono e funzionano la Pontificia Opera della Santa Infanzia e l’UNICEF (Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia), oltre ad una capillare diffusione delle adozioni a distanza organizzate da enti vari e da parrocchie.
Infine, nel Vangelo di questa domenica si parla dello scandalo. Anzitutto, Gesù dice dello scandalo dei piccoli. Questi non sono tanto i bambini che possono subire traumi gravi per abusi sessuali compiuti nei loro confronti dagli adulti, perché il testo parla di “piccoli che credono in me”. Si tratta, quindi, di quei credenti che sono deboli nella fede. Chi distoglie un credente dalla fede opera come il Maligno, è pervertito secondo Gesù e per questo Egli dice che per lui sorte migliore sarebbe il suicidio. Questo tipo di scandalo non è quindi di un peccato di debolezza di cui uno possa pentirsi, ma di un caso di bestemmia contro lo Spirito Santo, l’unico peccato imperdonabile per definizione, che qui consiste nell’impugnare la verità conosciuta, che appunto è quella della fede, da cui vengono distolte le persone semplici (cfr. Luca 12, 10; Matteo 12, 32; Marco 3, 29). Il consiglio di amputare la mano, il piede o l’occhio che dà scandalo non è da intendersi alla lettera, ma è un modo di dire proprio del linguaggio semita, molto concreto, per dire che ciascuno nella vita deve fare rinunce anche molto drastiche pur di non cadere nello scandalo da sé stesso. A conclusione di questi insegnamenti, Gesù aggiunge una raccomandazione nei confronti dei piccoli, cioè delle persone che hanno una fede semplice: di non disprezzarle, perché i loro angeli vedono sempre la faccia di Dio Padre. L’orgoglio della fede porta anche a questo e noi sacerdoti lo possiamo constatare. L’affermazione di Gesù è anche una conferma autorevole dell’esistenza degli Angeli custodi che vegliano su ciascuno di noi.
Don Ezio
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