La Parola, la Chiesa, il mondo. Commento al Vangelo ambrosiano del 24 febbraio 2019

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24 febbraio 2019. Domenica penultima dopo l’Epifania, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.

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Questa domenica dal punto di vista cronologico è la VII dopo l’Epifania, ma dal punto di vista liturgico è la domenica penultima dopo l’Epifania (cf la premessa che ho scritto al commento di domenica 3 febbraio). La domenica è detta della “divina clemenza”. Nell’anno C si legge il Vangelo della vocazione (letteralmente “chiamata”) di Levi a diventare apostolo.

Vangelo della Messa (Marco 2, 13-17)
In quel tempo. Il Signore Gesù uscì di nuovo lungo il mare; tutta la folla veniva a lui ed egli insegnava loro. Passando, vide Levi, il figlio di Alfeo, seduto al banco delle imposte, e gli disse: «Seguimi». Ed egli si alzò e lo seguì. Mentre stava a tavola in casa di lui, anche molti pubblicani e peccatori erano a tavola con Gesù e i suoi discepoli; erano molti infatti quelli che lo seguivano. Allora gli scribi dei farisei, vedendolo mangiare con i peccatori e i pubblicani, dicevano ai suoi discepoli: «Perché mangia e beve insieme ai pubblicani e ai peccatori?». Udito questo, Gesù disse loro: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori».

Commento
Levi era un pubblicano, termine che indicava l’esattore delle pubbliche imposte per conto dell’erario romano. I pubblicani pagavano in anticipo le imposte e poi si rifacevano sulla gente con somme maggiori di quelle che avevano pagato. In pratica erano usurai. Per questo erano la categoria di persone più odiata dagli ebrei. Inoltre, siccome all’imperatore veniva tributato un culto come se fosse una divinità, i sacerdoti, per rispettare il primo comandamento «Io sono il Signore Dio tuo […]: non avrai altri dei fuori di me» (Esodo 20,2-5), avevano vietato al popolo ebraico addirittura di toccare le monete romane che portavano l’immagine dell’imperatore, cosa che per necessità facevano i pubblicani. Per questo i pubblicani venivano accusati di essere peccatori. L’episodio della vocazione di Levi è narrato dai Sinottici (Matteo, Marco, Luca), ma solo Marco e Luca lo ricordano con il nome di Levi, mentre Matteo dice genericamente di un pubblicano. Gli esegeti identificano quindi Levi con Matteo, ritenendo che l’Agiografo parli di se stesso.

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Notiamo che Gesù non annuncia il Vangelo solo ai poveri, ma anche ai ricchi, anzi chiama come apostolo un peccatore arricchito. Rimane vero che «è più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio» (Matteo 19,24), ma in questo caso vale quanto il divino Maestro ha detto subito dopo riguardo la possibilità della salvezza: «Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio» (v. 26). Per di più, Gesù, invitato da Levi, partecipa con i suoi discepoli ad un banchetto in suo onore, insieme ad altri pubblicani, amici di Levi, ed altri peccatori. Secondo le prescrizioni dei sacerdoti i peccatori erano persone da evitare, perché il contatto con loro rendeva impuri e da questa impurità legale occorreva poi purificarsi con delle abluzioni.

Si comprende quindi lo sdegno degli scribi dei farisei, cioè degli esperti della Sacra Scrittura. Gesù risponde loro con una sentenza che possiamo considerare programmatica della sua missione: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati; io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Marco 2,17). Gesù giustifica la sua missione verso i peccatori con il detto popolare del medico che cura i malati, non i sani, richiamando così agli ascoltatori l’immagine di Dio «medico» e salvatore. Come agisce Dio così agisce Gesù, il quale chiama i peccatori a far parte della sua comunità. In questo modo Gesù condivide il loro destino per risanarli a partire dalla loro condizione di emarginati.

Quando il papa Francesco invita i sacerdoti e i fedeli ad andare nelle “periferie esistenziali” non intende solo le zone degradate delle periferie cittadine, dove si concentra la miseria, ma anche i peccatori che sono lontani da una prospettiva di fede. Molti cristiani cosiddetti “per bene” devono fare l’esame di coscienza sia rispetto al loro atteggiamento nei confronti dei poveri sia rispetto ai peccatori. Molti cristiani non riescono ad accettare il concetto elementare che siamo tutti cittadini del mondo in cammino verso la comune patria celeste, per cui fanno distinzione tra cittadini ed immigrati, tra cittadini e nomadi, tra cristiani e musulmani, tra bianchi e neri, vedendo il male sempre e solo negli altri, mentre non riescono a vedere il male dentro se stessi. È una storia che si ripete dai tempi antichi, se già Esopo († 564 a.C.), nella favola delle due bisacce che teniamo in spalla, spiegava che i difetti degli altri sono nella bisaccia davanti alle spalle per cui li vediamo, mentre i nostri sono nella bisaccia che teniamo dietro le spalle per cui non li vediamo.

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Un’altra considerazione riguarda la ricezione dell’Eucaristia, che è stata istituita da Gesù “per la remissione dei peccati”, come si dice nella celebrazione della Messa, considerata come “premio” per i virtuosi e non, come dovrebbe essere, rimedio e medicina per i peccatori. Di qui lo scandalo dei benpensanti per le tante comunioni dei giorni nostri, ma a loro dire sacrileghe, specialmente riguardo alle coppie “irregolari”, pur pentite e che stanno compiendo un cammino di fede, mentre essi ben pensanti ritengono di non avere nessun peccato da confessare. In realtà, ci sono sempre state regole per ricevere l’Eucaristia anche da parte di chi non è sposato in chiesa. Il fatto poi che oggi, rispetto al passato, la generalità dei fedeli si accosta alla Comunione è spiegabile per la diversa considerazione della gravità dei peccati, in quanto oggi c’è più attenzione alle condizioni per cui una colpa grave sia anche peccato mortale (deliberato consenso e piena avvertenza). Da parte dei tradizionalisti si arriva all’assurdo di considerare sacrilega la ricezione dell’Eucaristia in mano, piuttosto che sulla lingua, mentre è soltanto una modalità rituale eventualmente da discutere, ma certamente non da considerarsi in se stessa irrispettosa del Sacramento.

Infine, una terza ed ultima considerazione che propongo riguarda il dovere di pagare le imposte. Il sottrarsi al pagamento delle imposte dovute non solo è un reato perseguito dalla legge, ma è un peccato grave perché sottrae risorse allo Stato che servono per garantire i servizi di base a tutti i cittadini. Eppure questo peccato da molti non è percepito come grave nei confronti dei poveri. Si può discutere sull’obiezione fiscale che ogni tanto rispunta come atteggiamento etico, non pagando le imposte per la percentuale relativa alla quota destinata nel bilancio dello Stato alla spesa contestata (è stata praticata in passato riguardo agli armamenti da guerra dello Stato, cosa complessa che personalmente mi lascia perplesso). Se poi, ciascuno, in base ai propri convincimenti, praticasse l’obiezione fiscale, perché non ritiene etiche determinate spese, metterebbe in seria difficoltà tutta la macchina dello Stato e quel poco di Stato sociale che ancor oggi sussiste.

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Certamente è contro la Morale l’interruzione volontaria della gravidanza, ma se si dovesse fare l’obiezione fiscale, riducendo in percentuale quanto dovuto allo Stato, non si otterrebbe certo l’abolizione del diritto di abortire, ma soltanto, ahimè, la riduzione delle spese in ambito sociale. La stessa cosa vale per la riduzione delle spese degli organi di rappresentanza, che già sta facendo lo Stato per conto suo (abolizione o riduzione del numero degli eletti): un’eventuale obiezione fiscale avrebbe come conseguenza immediata una riduzione della democrazia.

Don Ezio

Nato a Caltignaga (No) il 12 febbraio 1953, mostra un precoce interesse per la comunicazione, coniugando opere parrocchiali, impegno sociale e la cronaca per il settimanale cattolico L’Azione e per il telegiornale cattolico Teleradiotrasmesse. Spiccata la passione per l’ambiente, che nel 1976 lo vede tra i fondatori dell’Associazione “Pro Natura Novara”, nella quale mantiene tutt’ora un ruolo attivo. È stato vice-presidente della Federazione nazionale “Pro Natura”. Laureato in Scienze biologiche, da sacerdote salesiano svolge il proprio ministero in diverse case del Piemonte e in Svizzera, dove insegna matematica e scienze nelle scuole medie. Per trent’anni si occupa del Museo Don Bosco di Storia Naturale e delle apparecchiature scientifiche del liceo Valsalice di Torino. Nel 2016 fonda a Novara il Museo scientifico-tecnico “Don Franco Erbea”. Dall’ottobre 2018 è incaricato della Biblioteca salesiana ispettoriale nella Casa madre salesiana di Valdocco, in Torino.

Nell’immagine: Cristo Redentore in trono, IV-VIII sec. con restauri del XVIII sec., Milano, Basilica di Sant’Ambrogio (particolare).

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