14 luglio 2019. V Domenica dopo Pentecoste, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.
Nel rito ambrosiano, in questa quinta domenica dopo Pentecoste viene proclamato il Vangelo che contiene l’insegnamento di Gesù sulla necessità di passare dalla porta stretta per entrare nel regno di Dio.
Vangelo della Messa (Luca 13, 23-29)
In quel tempo. Un tale chiese al Signore Gesù: «Signore, sono pochi quelli che si salvano?». Disse loro: «Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, io vi dico, cercheranno di entrare, ma non ci riusciranno. Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, voi, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: “Signore, aprici!”. Ma egli vi risponderà: “Non so di dove siete”. Allora comincerete a dire: “Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze”. Ma egli vi dichiarerà: “Voi, non so di dove siete. Allontanatevi da me, voi tutti operatori di ingiustizia!”. Là ci sarà pianto e stridore di denti, quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio, voi invece cacciati fuori. Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio».
Commento
La domanda dell’anonimo interlocutore di Gesù: «…sono pochi quelli che si salvano?» sorge spontanea allorché la perfezione richiesta da Gesù appare irraggiugibile dai più (vedi Luca 18,22-26). La risposta del divino Maestro non è incoraggiante: Egli, infatti, parla di una “porta stretta” dalla quale molti non riusciranno a passare per raggiungere la vita eterna, anzi tra quei molti ci sono proprio gli ascoltatori di Gesù, per i quali Egli profetizza che troveranno la porta chiusa dal padrone di casa, evidentemente da Dio, che non si commuove per quelli che bussano, non li riconosce e ribadisce che non sa di dove siano essi, anche quando gli ricordano di aver pranzato con lui e di conoscere la sua pedicazione nelle piazze. Questo non riconoscimento sottintende che Gesù non li riconosce come stirpe di Abramo, ma come figli del diavolo (cfr. Giovanni 8,33-44) e quindi non possono essere della terra di Israele. Gesù anticipa per loro l’inferno, descritto per quello in cui consiste: l’allontanamento dalla sua presenza (e quindi dalla Trinità), dove il pianto e lo stridore di denti caratterizzeranno la loro situazione per non poter partecipare alla mensa nel regno di Dio. In compenso il divino Maestro annuncia che a quella mensa parteciperanno popoli provenienti da ogni parte del mondo. Il motivo della condanna è quello di essere stati operatori di ingiustizia. Si tratta, quindi, di quei farisei che si sono rivelati ipocriti, cioè falsi, in quanto ostentavano fedeltà nell’osservanza della Legge mosaica e delle tradizioni, ma non praticavano le esigenze profonde della Legge, che sono la giustizia, la misericordia e la fedeltà (vedi Matteo 23,1316).
L’idea dell’inferno vuoto è l’eresia di Origene (184-253) che credeva nella redenzione di tutti (apokatastasis in greco), ripresa secondo taluni dal teologo Hans Urs von Balthasar (1905-1988), cosa smentita dall’interessato. Invece è dogma di fede che l’inferno rimane per i demoni e per quanti si sono allontanati da Dio non riconoscendosi peccatori, per mancanza di umiltà. Sono coloro che hanno bestemmiato contro lo Spirito Santo, unico peccato che non può essere perdonato per definizione (vedi Matteo 12,22-32), in quanto consiste nel rifiutare la salvezza operata da Cristo (al tempo di Gesù le guarigioni da lui compiute per virtù dello Spirito Santo, successivamente e anche oggi coloro che rifiutano la salvezza, che è uno dei peccati contro lo Spirito Santo noto come “impenitenza finale”).
I denigratori dell’attuale Papa, specialmente in seguito ad un articolo fuorviante di Eugenio Scalfari su «Repubblica» del 29 dicembre 2013, “La rivoluzione di Francesco. Ha abolito il peccato”, sostengono che il Pontefice non creda nell’esistenza del’inferno, quando in verità Francesco è il papa che più spesso ha parlato dell’inferno e del diavolo, rispetto ai suoi predecessori dal Concilio Vaticano II in poi. L’insegnamento di Gesù di una “porta stretta” da cui passare per entrare nella vita eterna ci ricorda che «Il regno dei cieli subisce violenza e i violenti se ne impadroniscono» (Matteo 11,12). Questo detto di Gesù significa che, poiché il regno dei cieli è la sua stessa Persona e si entra nel regno dei cieli per mezzo di lui, chi vuole entrare nel regno di Dio deve farsi violenza, cioè deve mettere tutta la propria forza nel combattere contro la mentalità del mondo e nel sostenere la verità del Vangelo in tutti gli ambienti dove opera. Questo sforzo nel rendere testimonianza a Gesù non esclude la misericordia di Dio, che si esprime nel sacramento della Riconciliazione e periodicamente nell’anno santo, dove la necessità dell’impegno personale è ribadita con i segni esterni del pellegrinaggio e del passaggio dalla “porta santa”, che è una “porta stretta” delle basiliche papali.
Il giudizio severo di Gesù contro gli operatori di ingiustizia ci ricorda che essere ingiusti nei confronti dell’umanità, vale a dire nei confronti dei nostri fratelli in Cristo, è un peccato che grida al Cielo, o per dirla con il linguaggio tradizionale, che grida vendetta al cospetto di Dio. Esso può diventare quell’atteggiamento abituale detto “ostinazione nei peccati” che è un altro dei peccati contro lo Spirito Santo che porta facilmente all’impenitenza finale. Questa ingiustizia e mancanza di misericordia stanno diventando un modo di pensare anche di molti cattolici italiani che si credono giusti (altro peccato contro lo Spirito Santo: “presunzione di salvarsi senza merito”) perché osservano i precetti della Chiesa, come partecipare alla Messa domenicale e nelle altre feste comandate, ma ritengono che debbano essere lasciati a se stessi i naufraghi che vengono salvati dalle navi delle ONG o che sia giusto sparare a un ladro nella schiena facendosi giustizia da sé.
Infine, notiamo che la profezia di Gesù sull’universalismo della salvezza si è avverata praticamente nel secolo scorso in quanto il vangelo ha raggiunto tutti i popoli della Terra e la Chiesa stessa è il sacramento visibile di quel regno dei cieli annunciato duemila anni fa da Gesù. La Chiesa, quindi, è il nuovo Israele che, a partire da un nucleo di giudei che hanno seguito Gesù, ha sostituito storicamente l’antico Israele. La “storia civile” dell’umanità è in realtà una “storia sacra”. Si può anche dire che per capire in profodità gli eventi della storia dei due millenni dell’era cristiana occorra una Teologia della Storia.
Don Ezio
Nato a Caltignaga (No) il 12 febbraio 1953, mostra un precoce interesse per la comunicazione, coniugando opere parrocchiali, impegno sociale e la cronaca per il settimanale cattolico “L’Azione” e per il telegiornale dell’emittente cattolica Tele Basso Novarese. Spiccata la passione per l’ambiente, che nel 1976 lo vede tra i fondatori dell’Associazione “Pro Natura Novara”, nella quale mantiene tutt’ora un ruolo attivo. È stato vice-presidente della Federazione nazionale “Pro Natura”. Laureato in Scienze biologiche, da sacerdote salesiano svolge il proprio ministero in diverse case del Piemonte e in Svizzera, dove insegna matematica e scienze nelle scuole medie. Per trent’anni si occupa del Museo Don Bosco di Storia Naturale e delle apparecchiature scientifiche del liceo Valsalice di Torino. Nel 2016 fonda a Novara il Museo scientifico-tecnico “Don Franco Erbea”. Dall’ottobre 2018 è incaricato della Biblioteca salesiana ispettoriale nella Casa Madre di Valdocco, in Torino.
Nell’immagine: Ambrogio da Fossano detto il Bergognone, Cristo risorto, XV-XVI sec., Milano, Basilica di Sant’Ambrogio (particolare).
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