Cari lettori, care lettrici,
a distanza di un anno dalla sua creazione, con questa domenica dedicata alla regalità universale di Cristo la rubrica “La Parola, la Chiesa, il mondo” viene temporaneamente sospesa. Il Tempo di Avvento che si apre davanti a noi è occasione di bilanci e ci invita al rinnovamento. Non una chiusura, quindi, ma un ripensamento, in vista di prossime novità. Il mio e nostro ringraziamento va a don Ezio Fonio per il prezioso servizio svolto con passione in questi mesi.
Simone M. Varisco
Domenica 10 novembre 2019, Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell’universo, anno C. Commento al Vangelo, di don Ezio Fonio.
La solennità di Cristo Re cade nell’ultima domenica dell’anno liturgico in entrambi i riti, ambrosiano e romano, con la differenza che l’anno liturgico termina nel rito romano tra due domeniche. Queste due domeniche nel rito ambrosiano fanno già parte dell’Avvento. Il tema della solennità di Cristo Re è quello della ricapitolazione di tutte le cose nella regalità di Cristo e la loro sottomissione in Lui al Padre. Il Vangelo che viene proclamato nel rito ambrosiano nell’anno C è quello del giudizio universale e corrisponde a quello dell’anno A del rito romano. Ricordiamo che il lezionario ambrosiano è tematico, il che significa che le letture illustrano un tema, mentre nel rito romano nel Tempo ordinario si fa la cosiddetta lectio semicontinua di un Vangelo: Matteo nell’anno A, Marco nell’anno B e Luca nell’anno C.
Vangelo della Messa (Matteo 25, 31-46)
In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».
Commento
La solennità di Cristo Re fu istituita dal papa Pio XI con l’enciclica Quas Primas dell’11 dicembre 1925. Nell’età dei totalitarismi affermare la regalità di Cristo doveva rendere relative le suggestioni dei regimi, che pretendevano dai cittadini un’adesione assoluta. In realtà, la richiesta dell’istituzione di una festa liturgica dedicata a Cristo Re risale al 1899, quando il gesuita Sanna Solaro scrisse ai vescovi dell’Italia perché sottoscrivessero una petizione al papa Leone XIII per l’istituzione della festa. I vescovi che aderirono alla petizione furono 49 su circa 300. Una nuova supplica, sottoscritta da 69 prelati, fu presentata al papa Pio XI nel 1922. L’anno seguente fu presentata al medesimo Pontefice una terza supplica, con 340 firme di cardinali, arcivescovi, vescovi e superiori generali di istituti religiosi, che chiedeva l’istituzione della festa per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall’ateismo ufficiale (comunismo sovietico). La supplica era sostenuta da 200 ordini e congregazioni religiose, 12 università cattoliche e da petizioni firmate da centinaia di migliaia di fedeli da tutto il mondo.
Invero, la regalità di Gesù è già celebrata nella solennità dell’Epifania; inoltre, già ai tempi dell’istituzione della festa presentare Gesù come re sembrava poco comprensibile rispetto agli ideali monarchici già in declino. Questa difficoltà ha certamente maggior peso nel contesto attuale. Di fronte a tante richieste, però, il Papa istituì la festa e ne fissò la celebrazione all’ultima domenica di ottobre in prossimità, quindi, delle celebrazioni di Tutti i Santi e dei Defunti, per indicare la dimensione “escatologica” del regno di Dio, vale a dire il suo compimento alla fine del mondo. Con la riforma del calendario liturgico, emanata dal beato Paolo VI nel 1969, la solennità è stata spostata all’ultima domenica dell’anno liturgico e si colloca, quindi, nella stessa prospettiva escatologica, cadendo nel mese dei morti.
Anzitutto, ci possiamo domandare in che senso Cristo sia “re”. Egli stesso disse a Pilato di essere re, precisando «Il mio regno non è di questo mondo» (cfr. Vangelo secondo Giovanni 18, 36-37). Dall’insieme dei Vangeli, noi possiamo dire che Gesù è un re che serve e che dà la vita, un re il cui trono è la croce e la corona quella di spine; Egli dalla croce domina il mondo e dalla croce lo salva; Egli è un re che morendo vince la morte e apre per tutti la possibilità di accedere al paradiso. Egli è un re che non è geloso della sua regalità, ma accogliendo nel suo perdono i suoi fratelli, li fa partecipi del suo regno, fa di loro «un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre» (Apocalisse 1, 6) e li chiama a costruire, come ha fatto Lui, il regno della vita che non ha fine, il regno dell’Amore. E proprio perché il regno di Dio è il regno dell’Amore, il giudizio finale sarà sull’amore. Anzi, il giudizio finale sarà in conformità al giudizio particolare a cui ognuno di noi sarà sottoposto dopo la morte.
Il discorso sul giudizio finale è riportato dall’evangelista Matteo come ultimo insegnamento che Gesù dà prima dei preparativi della festa di Pasqua (vedi Vangelo secondo Matteo 26, 1-2). Il divino Maestro si presenta come il Figlio dell’uomo e come re che ritorna sulla terra nella sua gloria, cioè nella sua identità divina. Infatti, l’espressione “Figlio dell’uomo” richiama quella presente nel Libro di Daniele: «Guardando ancora nelle visioni notturne, ecco venire con le nubi del cielo uno, simile ad un figlio di uomo; giunse fino al vegliardo [= Dio Padre] e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivanoː il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (7, 13-14). A sottolineare la gloria divina di Gesù è la presenza di tutti i suoi angeli. Il giudizio riguarda tutti i popoli della terra, perché la salvezza è per tutti, anche per coloro che non sono stati battezzati.
La discriminante per entrare nella vita eterna e sfuggire il supplizio eterno è la pratica delle opere di misericordia che sono espressione di quell’amore del prossimo che qualifica chi dice di amare Dio (cfr. Prima Lettera di Giovanni 4, 19-21). Gesù enuncia sei opere di misericordia, la Chiesa ne ha aggiunta una settima, “Seppellire i morti”, e queste costituiscono le sette opere di misericordia corporale, cui poi ancora la Chiesa ha aggiunto una seconda serie, delle sette opere di misericorsia spirituale. Dopo duemila anni di cristianesimo vediamo che le opere di cui parla Gesù sono di una drammatica realtà: la fame nel mondo, il problema dell’acqua, l’accoglienza degli stranieri, il problema della povertà, sino a quello di non avere il denaro per vestirsi, il problema dei malati e dei carcerati. Su questi punti dovrebbe essenzialmente vertere l’esame di coscienza personale, anche ai fini del sacramento della Riconciliazione. Gesù ci chiede coerenza di comportamento nella vita di ogni giorno, nelle scelte politiche e in particolare in quelle di voto, quando siamo chiamati come cittadini a eleggere i nostri amministratori o rappresentanti al Parlamento.
Don Ezio
© La riproduzione integrale degli articoli richiede il consenso scritto dell'autore.
Reverendo don Ezio,
ho letto attentamente il suo commento al Vangelo e l’ho trovato corretto, dotto, chiaro, concreto e molto attuale. La Verità annunciata da Gesù infatti, è immutabile non ha tempo, è valida ieri come oggi. Mi è piaciuto il riferimento alle opere di carità che sono la via concreta che il cristiano deve percorrere se vuole davvero giungere e partecipare al Regno di Dio già su questa terra, senza soluzione di continuità. Un altro aspetto molto interessante di cui ha fatto menzione è la responsabilità che deve guidare il cristiano anche nelle scelte politiche. Il Regno di Dio invero inizia ad edificarsi qui ed oggi. Molti di noi dimenticano questa realtà o non le prestano la dovuta attenzione.
Grazie don Ezio per i suoi profondi spunti di riflessione.
A presto Federica Ianne, alias Antigone
Cara Antigone, la ringrazio per il commento. Davvero le opere di carità qualificano l’essere umano e l’impegno politico, per chi ne ha la possibilità quello diretto, ma per tutti nelle scelte di voto, deve essere un’espressione di questa umanità. Colgo l’occasione per ringraziare dell’opportunità che il titolare del blog, Simone Varisco mi ha dato, di poter commentare i vangeli domenicali nell’anno liurigico ambrosiano testà concluso. Io continuo a essere presente nel web diversamente anche con i miei commenti. Raccomando comunque a tutti di seguire il blog caffestoria.it per i validi e interessanti contenuti e spunti di riflessione che offre. Dio benedica tutti.