La parabola di Peña Nieto: dall’incidente con Francesco all’alleanza contro Trump

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Nel febbraio del 2015 i rapporti fra il governo messicano di Enrique Peña Nieto e papa Francesco sembravano al punto di rottura. Oggi, a due anni da quei fatti, la situazione è profondamente mutata. Dalle polemiche sulla “messicanizzazione” dell’Argentina al comune contrasto al muro statunitense, passando per la visita di Francesco in Messico e l’opposizione della Chiesa alle nozze gay: la parabola di Enrique Peña Nieto, ora in rotta di collisione con l’America di Donald Trump.

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Nel febbraio di due anni fa a complicare i rapporti fra Vaticano e Città del Messico era stato il contenuto di una mail privata nella quale Francesco esprimeva all’amico Gustavo Vera, fondatore della Ong argentina “La Alameda”, l’auspicio di poter ancora «evitare la messicanizzazione» dell’Argentina. Un neologismo reso concreto dalla crescita del consumo di droga nel Paese e dalle collusioni tra forze dell’ordine e narcotrafficanti. Pochi giorni dopo, in risposta alla dura presa di posizione delle autorità messicane, la Segreteria di Stato consegnò una Nota all’ambasciatore del Messico presso la Santa Sede, Mariano Palacios Alcocer, nella quale si precisava come il Papa non intendesse ferire i sentimenti del popolo messicano né misconoscere l’impegno del governo nella lotta al narcotraffico, bensì denunciare nuovamente la gravità del fenomeno, che affligge il Messico così come altri Paesi dell’America latina. A fine febbraio il caso era già rientrato e per parola dell’ambasciatore messicano era da considerarsi un «capítulo cerrado».

Un anno dopo, nel febbraio 2016, papa Francesco faceva il suo ingresso in Messico – non prima di una sosta a L’Avana per la firma della storica Dichiarazione congiunta con il patriarca di Mosca, Kirill – accolto dallo stesso presidente Peña Nieto e da un popolo messicano in festa. Anche se il viaggio del Pontefice venne preceduto dalle rivelazioni delle presunte irregolarità nel matrimonio fra il presidente messicano e Angélica Rivera, che si disse vennero coperte dalla Chiesa messicana, ad essere ricordato di quella visita fu ben altro. Prima di tutto la nuova denuncia di Francesco dei mali del narcotraffico, una «metastasi che divora». Impossibile, infatti, non percepire nelle parole di Francesco gli echi delle tante stragi nate dall’incontro fra narcotraffico e corruzione, che nel settembre 2014 toccarono un terribile apice con l’uccisione di 43 studenti della “Normal Rural de Ayotzinapa” di Iguala, nello Stato messicano di Guerrero.

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E poi la Messa celebrata da Francesco nell’area fieristica di Ciudad Juárez, a ridosso della rete metallica al confine fra Stati Uniti e Messico. Vera icona di quel viaggio messicano e segno di solidarietà con i migranti latino-americani che cercano a nord la loro “America”. «Questa crisi, che si può misurare in cifre – aveva detto allora Francesco nell’omelia – noi vogliamo misurarla con nomi, storie, famiglie. Sono fratelli e sorelle che partono spinti dalla povertà e dalla violenza, dal narcotraffico e dal crimine organizzato. A fronte di tanti vuoti legali, si tende una rete che cattura e distrugge sempre i più poveri. Non solo soffrono la povertà, ma devono anche patire tutte queste forme di violenza. Ingiustizia che si radicalizza nei giovani: loro, come carne da macello, sono perseguitati e minacciati quando tentano di uscire dalla spirale della violenza e dall’inferno delle droghe. E che dire di tante donne alle quali hanno strappato ingiustamente la vita?».

Un tema, quello dei migranti, che caratterizza fin dall’inizio il rapporto fra la Chiesa in Messico e il governo di Peña Nieto. Risale infatti al 2012, anno dell’insediamento del nuovo presidente, la notizia dell’avvio dei lavori ad una agenda comune di protezione dei migranti senza documenti. Come non guardare, allora, ai recenti sviluppi prodotti dall’inizio della presidenza di Donald Trump? Chiesa e governo messicano, con motivazioni non del tutto sovrapponibili, si trovano ora uniti nella comune opposizione al nuovo muro frontaliero, accolto con «profondo dolore» dai vescovi messicani: una «inumana interferenza», che «metterà le vite degli immigrati necessariamente in pericolo», aumentandone la dipendenza da «trafficanti e contrabbandieri», in special modo per ottenere il sempre più difficile ricongiungimento con i familiari già emigrati a nord. Povertà, corruzione e violenza che sono tornati nell’incontro di pochi giorni fa tra il Consiglio permanente della Conferenza episcopale messicana e Peña Nieto.

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Nella storia del governo di Peña Nieto non sono comunque mancati momenti di tensione con la Chiesa in Messico. Emblematico il caso delle nozze omosessuali, promosse a più riprese dal governo e contro le quali la Chiesa si è dichiarata in «assoluto disaccordo». Nel novembre scorso il disegno di legge che mirava ad estendere a tutti i 32 Stati federali del Messico il diritto alle unioni omosessuali, venne infine clamorosamente bocciato dalla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati. Ad accompagnare l’iter legislativo anche numerose proteste, sfociate nella grande manifestazione popolare a Città del Messico del 24 settembre 2016, che aveva incassato anche il sostegno del Pontefice, giunto in occasione dell’Angelus domenicale da piazza San Pietro.

«Mi associo ben volentieri ai vescovi del Messico nel sostenere l’impegno della Chiesa e della società civile in favore della famiglia e della vita – aveva detto il Pontefice – che in questo tempo richiedono speciale attenzione pastorale e culturale in tutto il mondo. E inoltre assicuro la mia preghiera per il caro popolo messicano, perché cessi la violenza che in questi giorni ha colpito anche alcuni sacerdoti». Un’altra piaga, questa, ancora tutta da chiarire, nella quale il copione di calunnie e complicità è sempre lo stesso e raramente parla di giustizia.

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