La miopia sulla comunicazione non porta in Paradiso

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C’è Parola e parola: differenti, ma entrambe da comunicare. Muovendo dall’incontro. Pochi giorni nel nuovo anno, e la Chiesa cattolica è già alle prese con la crisi mediatica. Al pari della Chiesa copta e della politica italiana. Tutt’altro che un paradiso.

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«Spegnere la televisione e aprire la Bibbia, chiudere il cellulare e aprire il Vangelo», consiglia papa Francesco in occasione della seconda Domenica della Parola. Azioni che fanno il paio con la «chiamata a venire e vedere, come suggerimento per ogni espressione comunicativa che voglia essere limpida e onesta: nella redazione di un giornale come nel mondo del web», come invita lo stesso Pontefice nel messaggio per la 55ª Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Andare alla fonte, in entrambi i casi. Perché c’è Parola e parola: differenti, ma entrambe da comunicare. Muovendo dall’incontro.

«Chi frequenta la Parola di Dio riceve dei salutari ribaltamenti esistenziali […], l’occasione per andare incontro agli altri nel nome del Dio vicino», spiega papa Francesco nell’omelia letta da mons. Fisichella. «La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più consumare le suole delle scarpe, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni», prosegue il Papa per la Giornata delle Comunicazioni. Riflessioni intimamente legate fra loro, soprattutto guardando ai moderni media della perenne connessione, strumenti che più di altri si prestano ad un’informazione individualistica, potenzialmente disconnessa dalla realtà.

«Un’arma a doppio taglio», li definisce il papa della Chiesa ortodossa copta, Tawadros: una risorsa, ma anche in grado di fare del male, soprattutto (ma non soltanto) ai più giovani. «Ogni persona riceve da Dio il dono del tempo, ventiquattro ore al giorno», precisa con sano realismo Tawadros, davanti ad una Chiesa copta scossa da abusi digitali e «caos informativo». E se «ogni persona non può fare a meno di utilizzare i moderni dispositivi tecnologici nella sua vita quotidiana, tale utilizzo deve avvenire con saggezza e senza eccessi». Tanto più che non sono certo i social media ad aprire all’uomo le porte del Paradiso. Luoghi che rischiano, piuttosto, di produrre effetti di grave sbandamento per le coscienze di molte persone, difficili da contrastare anche attraverso le smentite ufficiali.

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Lo sanno bene Oltretevere, dove più di una volta – anche in episodi di grande rilevanza – si è scelta la strada del silenzio, affidandosi al buon senso e allo spirito di discernimento dei fedeli. Con risultati di dubbia efficacia. Se lo scorso anno, sull’onda della pandemia, si è potuto apprezzare un sostanziale desiderio di recuperare il proprio rapporto con la fede e la preghiera, non sono mancati momenti di turbamento. Esplosivi, come il caso, ancora nebuloso, del card. Angelo Becciu oppure l’irrisolta questione cinese (e di Hong Kong). Insidiosi, come la farraginosa gestione delle interviste del Papa (su tutte, quella modificata ad arte per il film “Francesco” del russo-statunitense Evgeny Afineevsky, in seguito premiato in Vaticano). Risibili, ma ancora da chiarire, come i “Mi piace” lasciati con l’account ufficiale Instagram del Papa a premiare improbabili pose osé. Immagini confuse e rumorose, che inevitabilmente si mescolano alle poche destinate davvero ad entrare silenziosamente nella storia, come quelle di Francesco che sale gli scalini di una piazza San Pietro deserta o, ancora, che sosta in preghiera davanti al Crocifisso miracoloso di San Marcello.

Pochi giorni nel nuovo anno, e già un nuovo caso mediatico – un’altra intervista, quella andata in onda su Canale 5, con seguito di presunti tentativi di censura interna – agita stanze e umori vaticani. Insieme agli interventi di Francesco per Vanity Fair, Sportweek e la Gazzetta dello Sport, mentre già si moltiplicano titoli come “Vaticano censura Papa”, “Papa caccia Tornielli?” e “Papa insoddisfatto degli addetti stampa. Ruffini e Tornielli non stanno sereni”. Vero o meno che sia, un problema da gestire. E pensare che, invece, anche in comunicazione la “ricetta per il paradiso” sarebbe così semplice: chi ha mani innocenti e cuore puro, chi non pronunzia menzogna, chi non giura a danno del suo prossimo, come recita il Salmo. Soltanto un sogno ingenuo? Forse no.

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Anche in quanto a politica italiana siamo ben lontani dal paradiso. Che uno dei suoi grandi mali, e dunque dell’intero Paese-Italia, sia la mancanza di un vero pensiero lungimirante, una miopia in grado di guardare oltre la distanza del contemporaneo, è evidente anche nelle (apparentemente) più piccole pieghe della cronaca, se non della storia. Basti pensare alla decisione di alcuni colossi dei social media, Facebook e Twitter su tutti (ma anche YouTube, TikTok – a sua volta alle prese con lo scandalo minori – Reddit e Twitch, solo per citare i più famosi), di silenziare, più o meno definitivamente, le ultime settimane della presidenza Trump, deragliata sui fatti di Capitol Hill.

Salutato “di pancia” come un provvedimento di giustizia, alla luce delle responsabilità – e dell’incoscienza – dell’ex Presidente degli Stati Uniti, si sono fatte strada alcune voci dissonanti. Non certo in difesa delle esternazioni di Donald Trump, quanto piuttosto per invitare a riflettere sull’insidiosità di decisioni, qualunque esse siano, prese da una minoranza, ma dall’impatto mondiale. Un evidente controsenso per chi sostiene di aver fatto di internet uno strumento di libertà universale, e di quest’ultima la propria bandiera.

Fra i commenti più tempestivi quello di Angela Merkel, che, personalmente a fine carriera e in una Germania duramente colpita dalla pandemia, si mostra in grado di vedere oltre le beghe di palazzo e la gestione dell’emergenza. «Problematico che sia stato bloccato in modo completo l’account Twitter di Donald Trump», fa sapere, per tramite del portavoce, Steffen Seibert. Ancora più netto il giudizio francese, che per bocca del ministro dell’economia, Bruno Le Maire, evoca i tratti di un’oligarchia digitale. «Ciò che mi sciocca è che sia Twitter a decidere di chiudere il profilo di Trump. La regolamentazione dei colossi del web non può avvenire attraverso la stessa oligarchia digitale».

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Addirittura la Commissione Europea, attraverso il commissario Ue per il Mercato interno, Thierry Breton, definisce la chiusura dell’account Twitter di Trump come un “11 settembre” dell’informazione in Rete. «Proprio come l’11 settembre ha segnato un cambio di paradigma per gli Stati Uniti, se non per il mondo, ci saranno, quando si parla di piattaforme digitali nella nostra democrazia, un prima e un dopò l’8 gennaio 2021». Precisando: «Questi eventi dimostrano che non possiamo più stare a guardare e fare affidamento solo sulla buona volontà delle piattaforme, ma dobbiamo stabilire le regole del gioco e organizzare lo spazio informativo con diritti, obblighi e garanzie chiaramente definiti».

Al di là delle condanne di rito dei fatti di Capitol Hill, invece, pesa il sostanziale silenzio del Governo – e dell’informazione – italiani in quanto ad elaborazioni di pensiero. Forse con una punta di imbarazzo, con l’Italia fra i Paesi da subito più coinvolti con l’Amministrazione Trump, dai berretti di Matteo Salvini agli avventati paragoni del Presidente del Consiglio. «Il mio Governo e l’Amministrazione Trump sono entrambi Governi del cambiamento, scelti dai cittadini per cambiare lo status quo e apportare un miglioramento delle loro condizioni di vita», dichiarava Giuseppe “Giuseppi” Conte nel luglio di tre anni fa, dopo un bilaterale con il Presidente Usa alla Casa Bianca. Silenzio ancora più preoccupante da parte di chi vorrebbe fare del digitale addirittura uno dei pilastri del rilancio dell’Italia dei prossimi decenni, riempiendosi bocca e programmi politici con cybersecurity, intelligenza artificiale, robotica, cloud, digital divide e agricoltura 4.0.

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