“Cani” e “massa”. Sono due parole che emergono da chat agghiaccianti a definire i confini dell’ennesima terribile storia quotidiana, che ridesta dal torpore estivo e chiarisce nella maniera più dura che sono ben più che l’economia e l’ambiente ciò che una risacca implacabile ci sta portando via. Tutt’altro che un singolo episodio, accaduto nella periferia geografica della periferia dell’Europa, assurge a simbolo, segnale e denuncia del nostro tempo.
“Cani” è ciò cui paragonano se stessi i 7 giovani (il più grande ha 22 anni, il più giovane è minorenne) autori di una violenza sessuale su una ragazza di 19 anni a Palermo. Violentata, picchiata e umiliata, secondo il più ricorrente e mostruoso dei copioni, fatto di viltà del branco e video registrati da condividere con altri depravati, criminali menomati nell’anima e nella coscienza.
“Massa” è la definizione che gli stessi stupratori attribuiscono al proprio gesto scellerato. Non una violenza “di gruppo”, bensì “di massa”. Si dirà: a parlare è l’ignoranza di generazioni sempre meno abili con l’italiano, e non solo (i dati delle prove Invalsi tratteggiano uno scenario di crescente povertà linguistica e intellettiva). Si tratta, invece, di un’espressione significativa e calzante.
Perché è una società di “cani” e di “massa”, pulsione e spersonalizzazione, quella che abbiamo plasmato e offerto ai più giovani, l’eredità di un cambiamento antropologico prima ancora che climatico, di un disastro umano prima ancora che economico. Dove i secondi sono figli dei primi.
Inutile invocare pene più severe – sempre ammesso che in Italia valga la certezza della pena – o maggiori controlli da parte delle forze dell’ordine. Le radici dell’albero nefasto che ha prodotto simili frutti vanno, da par loro, ben più in profondità. Deficienze in ambito familiare, fallimento educativo, disoccupazione, dipendenze varie e modelli autolesionistici non sono che alcune delle diramazioni all’origine di questi gesti. Per non dire della mancanza di prospettive umane e spirituali, che sfocia in fenomeni di compensazione e di fuga dalla realtà.
Il 40% dei giovani ritiene che il futuro sarà peggiore del presente, il 38% che non cambierà nulla e solo il 22% che sarà migliore: meno di uno su quattro. È quanto emerge da uno studio realizzato in Italia da Censis, Consiglio Nazionale dei Giovani e Agenzia Nazionale Giovani, che fotografa l’abisso che abbiamo scavato dove un tempo c’erano sogni e promesse di miglioramento per le nuove generazioni. Un abisso nel quale prevalgono incertezza (per il 49% dei giovani) e ansia (31%), che talvolta si trasformano in paura (15%) e pessimismo (14%) di fronte ad eventi globali che vanno oltre la capacità di agire dei singoli.
Naturalmente, l’insoddisfazione non si ferma allo studio o al lavoro, ma coinvolge anche le altre dimensioni della vita quotidiana, comprese quelle relazionali e affettive. Il 71% degli under-37 ritiene di meritare di più nelle amicizie e nelle relazioni personali, l’82% di meritare di più dalla vita in generale.
La pandemia di Covid-19, all’ombra dei cui effetti stiamo ancora vivendo, ha aperto ferite profonde nel corpo e nella mente di molti giovani. Da un lato, l’aumento dei disturbi del comportamento alimentare, per lo più anoressia e bulimia: il 12% dei giovani fra i 18 e i 36 anni dichiara di soffrirne, secondo uno scenario sempre più trasversale fra i due sessi. Dall’altro, la metà di ragazzi e ragazze fra i 18 e i 25 anni dichiara di aver sperimentato problemi psicologici, ansia e depressione durante l’emergenza sanitaria, e oltre l’80% dei presidi delle scuole secondarie ritiene che tra gli studenti siano sempre più diffuse forme di disagio esistenziale.
Il risultato è una narrazione collettiva sempre più sclerotica, asfittica e asfissiante, che lascia spazi irrisori alle voci (positive) dissonanti e dalla quale i primi ad essere espulsi sono i protagonisti più sani. Da tempo le pseudo-esistenze virtuali e una sessualità disordinata rappresentano la nuova frontiera dell’oppio dei popoli. La pornografia è la droga – e spesso neppure l’unica – dei cosiddetti “bravi ragazzi” (e sempre più spesso ragazze). Facilissima da consumare e da occultare, apparentemente. Ma che, al pari di ogni droga, richiede dosi sempre più elevate, oltre il limite tollerabile, e domanda un prezzo, per sé e per gli altri, sempre più alto.
Con ancora negli occhi le immagini delle migliaia di giovani riuniti da una fede e da un impegno comuni, lo scarto è evidente. Senza farne, beninteso, una semplice questione di religiosità: una sana attitudine alla vita e l’impegno per il prossimo appartengono a percorsi personali anche molto diversi fra loro, così come la criminalità non manca anche nel mondo cattolico, come dimostrano decenni di abusi sessuali nel clero e recenti fatti di cronaca che chiamano in causa i movimenti cattolici.
Precoce e senza limiti è la sessualità di molti adolescenti, contro la quale si scaglia l’ipocrisia di un mondo adulto che si sorprende e si indigna, salvo poi non essere in grado, spesso, di proporre modelli credibili, adeguando anzi i propri comportamenti, sessuali e relazionali, a quelli degli adolescenti. Possiamo negare che siano innumerevoli gli esempi, anche illustri, dove il sesso è inteso come strumento di potere, merce di scambio, stereotipo di genere, veicolo di aggressività?
«Una cosa come questa l’avevo vista solo nei video porno», scrivono in un italiano stentato i giovani autori dello stupro di Palermo. «Mi sono schifato un poco ma però che dovevo fare? La carne è carne». Parole che dovrebbero far riflettere sulle proprie responsabilità i falsi profeti del libertinismo come conquista del progresso, della transitorietà fluida e del relativismo di ogni legge, anche naturale. Cancellata la norma, è rimasta la normalità di ogni comportamento in grado di giustificare se stesso. O almeno di provarci.
La disinibizione con la quale la sessualità è trattata e l’immediatezza di ogni fruizione, lungi dall’avere inagurato la democrazia di una sana educazione sessuale (intesa come informazione, consapevolezza e conoscenza), hanno instaurato il regime di una società iper-sessualizzata che ha la forza, da un lato, dello sfruttamento, e dall’altro della colonizzazione ideologica.
La sessualità che un tempo era fascino, esperienza ed esplorazione, è oggi una sceneggiatura storpiata, spesso virtualmente, da riprodurre, imitare e condividere. In barba ad ogni presunta modernità, nella finzione pornografica – perché di questo si tratta – si ripropongono e consolidano i più beceri stereotipi di genere, che vogliono il maschio potente, dominante, padrone di usare non la donna, quanto piuttosto parti del corpo femminile, con la “femmina” relegata al ruolo di sottomessa violata o muta accondiscendente.
E se le prime esperienze con la sessualità rappresentano un imprinting per quella che sarà la sessualità futura, non è difficile intuirne l’esito. Con quanto consegue in termini di socialità distrutta e rapporto distorto con il sesso: ansia da prestazione, impotenza, insicurezza e vergogna di sé sono solo alcune delle premesse per la violenza, soprattutto di gruppo. Di “massa”.
Come possiamo continuare ad ignorare gli effetti sulla vita affettiva, relazionale e sessuale di bambini e ragazzi gettati in pasto alle (il)logiche della rete, agli algoritmi artificali dei social, che sempre in più tenera età conducono a contaminarsi, improvvisamente e senza la mediazione di figure adulte, con la pornografia?
Come possiamo continuare a fingere che sia soltanto un problema di giustizia e di educazione nelle scuole, quando si tratta di una delle innumerevoli conseguenze della crisi della famiglia e del vernire meno dell’alleanza fra l’uomo e la donna, sulla quale da sempre, in forme diverse, si sono fondate la società, l’educazione e il vero progresso? Continuiamo a fingere di non vedere e ciò che resterà saranno “cani” e “masse”, nelle più tragiche delle combinazioni possibili.
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