In occasione del 50° anniversario dello sbarco sulla luna si moltiplicano i riferimenti a Paolo VI. Ma non è questo l’unico legame fra spazio e Cristianesimo. La storia delle missioni spaziali da sempre è anche una questione di fede.
«Tutto questo è possibile solo con il sangue, il sudore e le lacrime di un gran numero di persone. Tutto ciò che si vede siamo noi tre, ma sotto la superficie ci sono migliaia e migliaia di altre persone». A dirlo, il 23 luglio 1969, durante l’ultima notte trascorsa nello spazio prima del rientro sulla Terra, Michael Collins, l’astronauta che insieme a Neil Armstrong e a Edwin “Buzz” Aldrin porta a compimento la conquista della Luna con la missione Apollo 11. Punto di arrivo e al tempo stesso di partenza di un’avventura sofferta, di un’epopea nella quale si uniscono genio e sacrificio, vittorie epocali e sconfitte pagate anche a prezzo della vita.
Non stupisce che spazio e fede siano da sempre profondamente legati, anche quando nello sguardo dell’uomo al cielo la tecnologia sembra aver avuto la meglio sulla poesia. Fra le pagine più note – e maggiormente rievocate in questi giorni – vi è certamente quella che ha per protagonista Paolo VI, spettatore e insieme attore di una giornata unica nella storia dell’umanità.
La “serata spaziale” di Montini inizia attorno alle 22.00 di domenica 20 luglio 1969 alla Specola Vaticana di Castel Gandolfo, dove il Papa osserva la Luna con il telescopio Schmidt in dotazione alla struttura, insieme all’allora direttore dell’osservatorio astronomico vaticano, il gesuita irlandese Daniel O’Connell. L’obiettivo è puntato sullo stesso Mare della Tranquillità dove, di lì a poco, sarebbero sbarcati i tre cosmonauti. Per il Papa è poi il momento di unirsi ai circa 900 milioni di spettatori – 20 milioni solo in Italia – che nel mondo seguono l’allunaggio grazie alle diverse televisioni nazionali. In Italia – e in Vaticano – la diretta coincide con la celeberrima “veglia” Rai di 28 ore dallo Studio 3 di via Teulada, guidata da Tito Stagno, con i commenti di Andrea Barbato e di Ruggero Orlando, inviato a Houston. Insieme a Paolo VI ci sono padre O’Connell e il sostituto della segreteria di Stato, mons. Giovanni Benelli.
Al grido “Ha toccato!” l’Italia intera esulta. Per la cronaca, l’entusiasmo di Stagno lo porta ad annunciare l’allunaggio con quasi un minuto di anticipo, innescando un battibecco con Orlando che copre persino una delle due storiche frasi pronunciate quel giorno da Neil Armstrong: «Qui base della Tranquillità, l’Aquila è atterrata». Ma poco importa. Il Papa alza le mani, quasi un gesto liberatorio, una delle immagini del suo pontificato che entreranno nella storia. Pochi minuti dopo, Paolo VI rivolge ai cosmonauti un messaggio fra i più poetici, eppure meno noti, sul nostro satellite. «Onore, saluto e benedizione a voi, conquistatori della Luna, pallida luce delle nostre notti e dei nostri sogni», dice il Papa. «Portate ad essa, con la vostra viva presenza, la voce dello spirito, l’inno a Dio, nostro Creatore e nostro Padre». Già in precedenza Paolo VI aveva fatto riferimento all’impresa, invitando a pregare per gli astronauti ed auspicando che «nell’ebbrezza di questo giorno fatidico» non ci si scordasse dei tanti traguardi ancora da conquistare sulla Terra, primo fra tutti la pace. Il disco con la registrazione del messaggio di augurio del Papa, insieme a quelli di altri 72 capi di Stato, viene lasciato dagli astronauti sulla superficie lunare.
Meno di tre mesi dopo, Armstrong, Aldrin e Collins, insieme alle rispettive consorti, sono a Roma. È il 16 ottobre 1969. Per Collins, nato al numero 16 di via Tevere, quartiere Salario, è un ritorno a casa. Forse una magra consolazione per lui, unico dei tre astronauti a non essere sceso dal modulo lunare. «Con la più grande gioia nel cuore diamo il benvenuto a voi, che superando le barriere dello spazio, avete messo piede su un altro mondo del Creato», li saluta Paolo VI. «Con la vostra intrepida avventura, l’uomo ha compiuto un altro passo verso una maggiore conoscenza dell’universo: con le sue parole, signor Armstrong: un passo gigante per l’umanità». Ma un bel viaggio anche per la bandiera della Città del Vaticano, portata sulla Luna (e ritorno) dall’Apollo 11 ed esposta oggi ai Musei Vaticani insieme ad alcuni frammenti di roccia lunare, dono del presidente Nixon. Il “viaggio romano” dei tre astronauti si conclude con un intervento all’Assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, riunita proprio in quei giorni.
Per quanto Paolo VI impersoni uno dei momenti di maggiore vicinanza tra l’esplorazione spaziale e la fede, non rappresenta l’unico legame della missione Apollo 11 con il Cristianesimo, sebbene per lo più con riferimento a diverse denominazioni protestanti. Basti pensare, ad esempio, che Buzz Aldrin trova la maniera di ricevere, a modo suo, il sacramento dell’Eucaristia prima di scendere sulla Luna. Il tutto grazie ad un “kit” (foto) preparato appositamente per lui dal pastore Dean Woodruff della Chiesa presbiteriana di Webster, Texas, contenente il pane e il vino benedetti nel corso della precedente liturgia domenicale. Ancora oggi la Chiesa di Webster conserva il calice usato sulla Luna e commemora ogni anno la “Comunione lunare” nella domenica più vicina al 20 luglio (quest’anno, domenica 21 luglio). Il gesto di Aldrin si svolge in forma strettamente privata, per non dire segreta, anche in ragione della causa legale intentata contro la Nasa dall’attivista atea Madalyn Murray O’Hair, fondatrice e presidentessa dell’associazione American Atheists. All’origine del contenzioso, la lettura di alcuni versetti, dall’1 al 10, del primo capitolo del libro della Genesi da parte dell’equipaggio dell’Apollo 8, mentre la navicella orbitava intorno alla Luna (audio Nasa). Era il 24 dicembre 1968 e la Bibbia quella cosiddetta “di re Giacomo”, traduzione in inglese per eccellenza.
La causa legale, e la conseguente prudenza adottata dalla Nasa, influenzano anche le parole “politically correct” pronunciate da Aldrin durante i preparativi per la discesa sulla superficie lunare e meticolosamente preparate su un biglietto che l’astronauta porta con sé (foto). «Houston, qui è il pilota del LEM “Aquila” che parla. Vorrei chiedere alcuni momenti di silenzio. Passo. Vorrei invitare ogni persona che ascolta, dovunque e chiunque sia, a contemplare per un momento gli eventi delle ultime ore e a ringraziare a modo suo personale». Nondimeno, Aldrin è molto chiaro per quanto lo riguarda. «Il mio modo – scrive nei propri appunti, sebbene non lo annunci pubblicamente – sarà prendere gli elementi della Santa Comunione». Sul retro del biglietto Aldrin annota un versetto del Vangelo secondo Giovanni, 15,5. «Gesù disse: “Io sono la vite, voi siete i tralci. Chi rimane in me e io in lui, porterà molto frutto; perché non potete fare nulla senza di me». Seguono i versetti 3 e 4 del Salmo 8, particolarmente appropriati alla situazione, scritti con un inchiostro diverso e che Aldrin cita tre giorni dopo, durante una trasmissione televisiva a bordo della Columbia, la sera prima del rientro sulla Terra. «Quando considero i tuoi cieli, l’opera delle tue dita, la luna e le stelle che tu hai ordinato; che cosa è l’uomo, perché te ne ricordi, e il figlio dell’uomo, perché lo visiti?».
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Grazie per il bellissimo articolo.
Sarà colpa della mia età, sarà perché quella lunga notte della diretta dell’allunaggio l’ho vissuta, come tanti italiani, con emozione, trepidazione, gioia e tanta commozione che anche ora nel ricordarla non mi vergogno di dire che sto scrivendo con un “groppo” in gola e con le lacrime che irrigano le mie guance… ma è bello che sia così.
È bello perché nella commozione del ricordo mi viene spontaneo lodare e ringraziare Dio con le parole del Salmo 8 ma anche con il meraviglioso canto di lode del Salmo 148.
Ancora grazie.