Non più tardi di dieci giorni fa il Vaticano ha ospitato il primo hackathon della propria storia, un raduno al quale hanno partecipato esperti di diversi settori dell’informatica. Oltre 120 studenti provenienti da 40 università di ogni parte del mondo radunatisi dopo l’appello di Francesco a coniugare innovazione, uguaglianza e inclusione sociale. Come a dire: la tecnologia come strumento di soluzioni, non come parte del problema. Una lezione che, a giudicare dalle notizie da Oltretevere che hanno monopolizzato la comunicazione negli ultimi giorni, è ancora lontana dall’essere appresa.
I fatti, brevemente. Lunedì 12 marzo, vigilia dell’anniversario dell’elezione di Bergoglio al soglio pontificio, presso la Sala Marconi di Palazzo Pio a Roma viene presentata la nuova collana La teologia di papa Francesco, edita dalla Libreria Editrice Vaticana. Una raccolta di saggi affidati a diverse personalità del panorama teologico e culturale internazionale. Per l’occasione mons. Dario Edoardo Viganò, da ormai 3 anni prefetto della Segreteria per la comunicazione, legge alcuni estratti di una lettera inviatagli da Benedetto XVI. Si apprende che a richiedere lo scritto, una «breve e densa pagina teologica», è stato lo stesso Viganò, con una missiva indirizzata al Pontefice emerito.
Un passaggio della risposta di Ratzinger, letto da mons. Viganò durante la presentazione dei volumi ma assente nel comunicato della Sala Stampa vaticana, lascia da subito perplessi. «Non mi sento di scrivere su di essi una breve e densa pagina teologica – precisa Benedetto XVI in riferimento ai volumi, apparentemente citando testualmente la richiesta giuntagli da mons. Viganò – perché in tutta la mia vita è sempre stato chiaro che avrei scritto e mi sarei espresso soltanto su libri che avevo anche veramente letto. Purtroppo, anche solo per ragioni fisiche, non sono in grado di leggere gli undici volumetti nel prossimo futuro, tanto più che mi attendono altri impegni che ho già assunti». Fra le righe, nel raffinato stile di Ratzinger, il concetto è chiaro: il Papa emerito non ha letto e non intende leggere quei libri. E solo «anche» – si badi – per ragioni fisiche. Nonostante questo, per alcune ore a livello internazionale di quella lettera viene rilanciata soltanto l’innocua smentita di Benedetto XVI allo «stolto pregiudizio» che vorrebbe Francesco privo di un’adeguata formazione teologica.
Di lì a poco, però, tutto si complica. Un pasticciaccio brutto, quasi barocco. A cominciare dai dubbi suscitati da una curiosa fotografia della lettera di Benedetto XVI, diffusa in una versione che la vede maldestramente privata di alcune frasi grazie ad un uso (poco) sapiente della funzione di blur (sfocatura), ben nota a chiunque abbia un minimo di dimestichezza con i software di grafica. Soltanto una discutibile scelta estetica? Difficile crederlo, tanto più che i passaggi in questione sono esplosivi e spiegano, con le stesse parole di Benedetto XVI, le ragioni del suo mancato assenso a quanto richiestogli da mons. Viganò. Scrive, infatti, il Papa emerito: «Solo a margine vorrei annotare la mia sorpresa per il fatto che tra gli autori [dei volumi su Francesco editi dalla LEV, NdR] figuri anche il professor Hünermann, che durante il mio pontificato si è messo in luce per avere capeggiato iniziative anti-papali. Egli partecipò in misura rilevante al rilascio della Kölner Erklärung (la Dichiarazione di Colonia del 1989, uno dei momenti più difficili del pontificato di Giovanni Paolo II, NdR), che, in relazione all’enciclica Veritatis splendor, attaccò in modo virulento l’autorità magisteriale del Papa specialmente su questioni di teologia morale. Anche la Europäische Theologengesellschaft (Società teologica europea, NdR), che egli fondò, inizialmente da lui fu pensata come un’organizzazione in opposizione al magistero papale». Ecco spiegata l’impossibilità, per non dire il palese rifiuto, di Benedetto XVI, tanto più se a Peter Hünermann all’elenco degli autori della collana si aggiunge anche il nome di Jurgen Werbick, certo non meno indigesto a Ratzinger.
Si farebbe tuttavia un torto a Benedetto XVI – e si peccherebbe anche di una maldestra dose di malizia – se si riducesse la vicenda ad un mero risentimento personale del Papa emerito. Per meglio comprendere i sentimenti di Ratzinger basti dire che Hünermann e Werbick, insieme ad Hans Küng, figurano da anni tra i più accesi sostenitori dell’ordinazione femminile, dell’abolizione del celibato sacerdotale, della legittimazione delle unioni omosessuali e della comunione ai divorziati risposati. Nel complesso, non solo la demolizione del magistero degli ultimi tre pontificati – quello di Francesco compreso – ma della Tradizione della Chiesa cattolica. La scelta di includerli nella pubblicazione si è rivelata nel peggiore dei modi per quello che era sin dall’inizio: infelice, per non dire del tutto inappropriata, tanto più se fra gli obiettivi della raccolta c’è anche quello di sottolineare la continuità fra i pontificati di Ratzinger e di Bergoglio. Poco male, verrebbe da dire a questo punto, che le polemiche attorno alle manipolazioni della lettera di Benedetto XVI abbiano oscurato l’uscita dei volumi, in barba alla massima di Wilde, secondo la quale nel bene o nel male purché se ne parli.
Quella di una Chiesa che rincorre notizie già sfuggite di mano, come i proverbiali bovini dalla stalla, è una triste metafora sin troppo ricorrente negli ultimi anni. Ne è un esempio l’opaco viaggio di Francesco in Cile, che ha restituito l’immagine di un Pontefice abbandonato all’incalzare dei fatti da una gestione della comunicazione a tratti lacunosa, finito costretto a scusarsi per colpe che sarebbe ingiusto attribuire soltanto a lui. Brutte pagine, alle quali sempre meno il Pontefice riesce a rimediare affidandosi solo al proprio carisma o alla propria popolarità. È quanto avvenuto con il caso del vescovo di Osorno, mons. Juan Barros, accusato di pedofilia e allievo del tristemente celebre padre Fernando Karadima. Ma anche quanto accade da troppi anni a questa parte con scandali simili.
Qualcosa che ormai va al di là delle fake news, più volte evocate in questi giorni, per arrivare ad un vero e proprio false thinking, un falso pensiero, l’autolesionistica pretesa di nascondimento che se già era destinata a peggiorare le cose trent’anni fa – amplificando piccoli intoppi e grandi crimini – appare oggi tanto più impraticabile ed ingiustificata alla luce degli sviluppi delle tecnologie della comunicazione e con la diffusione dell’accesso all’informazione pressoché ad ogni livello della società. Una strategia che i fatti hanno dimostrato a più riprese essere fallimentare, a tutto danno dei pontefici e, in ultima analisi, della Chiesa intera.
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4 commenti su “La lettera di Benedetto XVI e gli scandali pedofilia: un pensiero sbagliato”