«La famiglia immagine di Dio è una sola, quella tra uomo e donna». E ancora: separare i bambini dai genitori, come accade ai migranti al confine con il Messico, è «immorale». Cosa accomuna le ultime dichiarazioni di papa Francesco in tema di famiglia? La coerenza. Anche dell’unica famiglia possibile.
È passata meno di una settimana da quando le parole del Papa in tema di famiglia hanno fatto il giro del mondo. «Fa dolore – aveva detto Francesco, parlando a braccio, alla delegazione del Forum delle Associazioni familiari – oggi si parla di famiglie diversificate, di diversi tipi di famiglia. Sì è vero: famiglia è una parola analoga, si dice anche “la famiglia delle stelle”, “la famiglia degli animali”. Ma la famiglia immagine di Dio è una sola, quella tra uomo e donna». Parole che, insieme a quelle su aborto selettivo – nazismo «con i guanti bianchi» – e infedeltà erano state accolte da alcuni commentatori come una “rivoluzione” nel pensiero di Francesco, ma che in realtà riflettono, né più né meno, la visione cristiana, per giunta già più volte espressa dallo stesso Pontefice. Naturalmente.
A pochi giorni di distanza una nuova dichiarazione del Papa si impone all’attenzione internazionale: separare le famiglie è «immorale». Parola di Francesco e dei vescovi statunitensi, che hanno definito «contraria ai nostri valori» la politica recentemente adottata dall’amministrazione Trump in riferimento ai flussi migratori provenienti dal vicino Messico, straziante anche nelle registrazioni audio diffuse negli scorsi giorni. A dare ragione al Papa, naturalmente, è la stessa storia della Chiesa.
È il 1941 quando, in piena guerra mondiale, Pio XII rivendica il «diritto della famiglia ad uno spazio vitale», in un’epoca nella quale questo viene giudicato un’aspirazione esclusiva dei diversi nazionalismi. Pochi anni dopo gli fa eco Giovanni XXIII, che fin dalla sua prima enciclica, la Ad Petri Cathedram del giugno 1959, incoraggia iniziative internazionali volte «a facilitare […] in ogni maniera la ricostruzione dei nuclei familiari, che sola potrà efficacemente tutelare il bene religioso, morale ed economico degli emigrati medesimi, non senza beneficio degli stessi Paesi che li accolgono». La separazione delle famiglie migranti, infatti, è per papa Roncalli una «dolorosa anomalia», nei confronti della quale «ciascuno ha il dovere di prendere coscienza e di fare tutto ciò che dipende da lui per farla scomparire».
Ai numerosi interventi dei pontefici fanno seguito alla metà degli anni Sessanta quelli del Concilio Vaticano II. Non è un caso che nel vasto campo della mobilità, il tema più affrontato rimanga quello dei ricongiungimenti familiari. Fra gli altri, il decreto conciliare Apostolicam actuositatem sull’apostolato dei laici auspica che «nella regolamentazione dell’emigrazione si salvaguardi nel modo più assoluto la convivenza della famiglia».
Sedici anni dopo è dello stesso parere Giovanni Paolo II, che nell’esortazione apostolica post-sinodale Familiaris consortio sottolinea come spetti «alla Chiesa fare appello alla coscienza pubblica e a quanti hanno autorità nella vita sociale, economica e politica, affinché […] le famiglie vengano al più presto riunite».
La famiglia rappresenta il vero cuore della mobilità. In ogni migrazione, infatti, è coinvolta in prima persona una famiglia. Chi emigra ha quasi sempre un progetto che supera sé stesso: il dovere di mettere in salvo la propria famiglia e di mantenerla unita, l’invio delle rimesse ai familiari rimasti in patria, la necessità di accantonare i risparmi per potersi creare una famiglia o poterla richiamare da lontano per vivere insieme.
Di fronte all’individualismo e al relativismo dominanti, Benedetto XVI ha più volte affermato l’esigenza di un nuovo umanesimo, il cui modello non può che essere il Cristo. Una volta di più ne esce confermato il profondo rapporto che lega le migrazioni, uno dei principali fenomeni che da sempre coinvolgono l’umanità nel suo complesso, e le sfide che oggi le si presentano, su tutte la difesa della vita e dell’unica famiglia possibile. Per le quali lottare non “a singhiozzo” o – e sarebbe ancora più grave – soltanto a determinate condizioni.
Nella foto: McAllen, Texas, 12 giugno 2018. Una bambina di due anni, richiedente asilo onduregna, piange mentre la madre è perquisita ed in seguito detenuta nei pressi del confine tra Stati Uniti e Messico. © John Moore/Getty Images.
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